SOMARO

 




1. A chi può servire questo insieme di luoghi comuni,
osservazioni già fatte, anche contraddittorie? Sto
scrivendo queste cosucce perché proprio in questo
stesso modo ho ascoltato, ho osservato nella mia vita:
le conversazioni sono spesso disordinate, raramente
complete, poche volte appaganti e capita che affermazioni
banali in altre situazioni possano, chissà, tornare utili.
2. Sentii una mia amica augurare alla sua bambina la vita
che lei non poté fare; molti anni dopo ho rivisto la figlia,
già mamma, e anche lei augurava un’esistenza migliore
al suo piccolo. Non ho intenzione di generare dei figli
aspettando che siano più contenti: penso di vivere io come
augurerei di vivere loro.
3. Ormai entrando nei musei ho presto la sensazione di
entrare in una montatura per attrarre turisti. Siccome
avverto anche pena per le opere, obbligate a mostrarsi
come burattini compiacenti a idee, stili, storie, eccetera…
io mi ficco subito al bar o nel giardino a respirare un po’
d’aria fresca assieme ai ragazzi delle medie.
4. Mi hanno insegnato che i fatti, le cose concrete se
non fossero pensate, intuite dalla mente non potrebbero
neppure essere considerate; eppure alla testa piace tanto
constatare che qualcosa fuori di lei esiste a prescindere che
sia pensata. Crediamo esista una sola realtà interpretabile
in mille modi, non che questi modi siano la realtà.
5. Uno come me può vivere solo in quest’epoca: qui posso
godermi la vita, avere famiglia, sanità, rispetto senza
grosse fatiche, senza amare, senza passione, divorziando,
abortendo, inquinando, rubacchiando, sentenziando e
rischiando poco d’essere matto, radiato o incarcerato.
Prima o poi arriveranno le conseguenze, ma le passeremo
alle generazioni future come sinora si è fatto.
6. Quando ascolto i giudizi negativi sulla mia generazione,
concordo su ogni aggettivo senza però dargli un’accezione
negativa. Vedo che volentieri veniamo definiti come
indecisi e apatici, come se essere decisi, attivi o operosi
fosse un pregio e come se le generazioni precedenti con
questi loro valori avessero dato prova di virtù e nobiltà
d’animo.
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7. Noi europei seguiremo il destino dell’Italia; è quindi
facile pronosticare che avremo classi dirigenti inadeguate,
un’elevata burocrazia utile ai furbi, regioni amministrate
dalle mafie, una litigiosa convivenza per assenza di
identità, ideali e visioni condivise. Saremmo per contro i
cittadini più adatti ad affrontare il mondo che ci piace dire
vada nella medesima direzione.
8. Sono stato talmente bene nelle mie occupazioni che
mi vergognerei a dirlo, se non fosse che alle persone fa
piacere sapere che almeno qualcuno se la sta godendo.
La mia fortuna si è basata su attività semplici ed
economicamente alla portata di molti; mi spiace pensare
che a tanti la questione sembri più complicata.
9. Non capisco come si possa imparare a vivere seguendo
dei precetti, quando basta tenersi lontani dalle rogne.
Osservando esempi negativi, andando per gli uffici, per
i negozi, incontrando gli isolati, gli annoiati, i fortunati
non trovo esempi da seguire, ma tragedie da cui scappare;
basta non fare castronate che la vita va da sé.
10. Ho imparato abbastanza pensando a Pinocchio: avere
come amici Lucignolo, la fatina e il grillo, ma tenerli tutti
e tre alle dovute distanze, vivere sul filo tra il non rischiare
di diventare adulto e non avere la coscienza troppo sporca,
con passioni momentanee e tanti giochi, attento a non
andare in ospedale o in galera.
11. Molti asseriscono, anch’io a volte, che il mondo attuale
è notevolmente più complesso di qualsiasi altra epoca nel
passato e scioriniamo parecchi dati a favore di questa tesi.
Ma nel passato c’era una altrettanta complessità che non
veniva notata o presa in considerazione. Purtroppo se
crediamo a una storiellina è bene allora essere preparati.
12. Mi sono stati simpatici gli imbranati perché, a
differenza di coloro che hanno stile, mostrano molta
dell’umanità che c’è in loro; ma se mi metto a sbirciare
meglio gli stilosi, m’accorgo che dietro quel paravento
sottile di bravura c’è una goffaggine di livello superiore e
ciò me li rende ancor più gradevoli dei primi.
13. Ci sono termini che mi danno fastidio a sentirli, sono
parole che sento purtroppo declamate e quando anch’io le
uso mi sento a disagio per i luoghi comuni che mi trascino
dietro; l’unica salvezza sarebbe nominarle per scherzarci
sopra o per ripensare i sinonimi ad esse collegate.
Intelligenza, novità, cultura, natura, reale, sincerità,
libertà.
14. La definizione più convincente dell’uomo è quella
che lo vede come un animale perennemente infastidito.
In effetti non si capisce perché nel corso delle centinaia
di migliaia d’anni questa scimmietta si sia agitata tanto;
ci deve essere qualcosa di scomodo al suo interno, un
perenne morbin, per non essersi fermata un istante a
rilassarsi.
15. Non riesco a pensare di poter provare o acquisire nuove
esperienze senza un cambio tra i sinonimi: unica avventura
radicale (oltre al dolore) che riesco semmai a ricordare; non c’è
Paese vissuto, cambio di pianeta, amore, non c’è onda surfata,
che possono rivoluzionarmi se i miei termini, i significati si
combinano alla stessa maniera.
16. Mi dispiace vedere come i furbastri utilizzano le loro
abilità per fini piccoli e mediocri; forse la furbizia nasce e
prospera in un carattere insicuro e bisognoso di continue
autoaffermazioni. Avrei da imparare da loro, peccato che
la loro sottigliezza sia ingenua e la usino solo per esaudire
le grossolane manie della maggior parte.
17. L’errore che io addebito sia ai perdenti che ai vincenti
è che entrambi non hanno saputo o voluto uscire dallo
schema della sfida; i primi avrebbero dovuto fregarsene
o aspettare, i secondi avrebbero fatto meglio a farsi un
amico, invece di uno sconfitto. Scontrarsi risolve il passato
e il presente, ma rovina il futuro.
18. Ringrazio i milioni di anni di vita umana (e non) che
mi hanno preceduto e che mi stanno permettendo anche
adesso di questionare su molte vicende che sento e vedo.
Guai a mettere i traguardi d’oggi prima di ciò che li ha
permessi e che ci accomuna tutti, dal più stupido al più
intelligente.
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19. Praticando abbastanza sport, una sufficiente parte
della mia esistenza è stata semplice e chiara, con
regolamenti facili e valutazioni nette, misure e tempi
precisi, luoghi e squadre definiti, vincitori e vinti innocui.
Ma in una società che si crede complicata questa chiarezza
la si può raggiungere solo isolandosi o credendo in una
fiaba semplice.
20. Le meraviglie della cultura sono un vezzo per meno
dello 0,001% dell’umanità, percentuali da malattia rara.
I colti più intelligenti non si sono persi d’animo e senza
piangersi troppo addosso si sono abituati a lavorare
sapendo che il mondo funziona e funzionava bene anche
senza i loro discorsi. È un comportamento esemplare e
pratico.
21. Visto come evolvono gli uomini non oso pensare a
che complessità arriverà la psicologia nei prossimi cento
anni; forse si amplierà a tal punto che dovrà suddividersi e
assumere diversi nomi per non perdere ogni significato; o
se no seguirà il destino dell’arte che al nominarla allude a
tutto. In molti se lo dimenticano.
22. So di non essere un “intelligentone”, quindi per
risolvere dei problemi prendo a prestito l’intelligenza degli
altri; non so bene se le persone a cui chiedo le soluzioni
siano sveglie come credo, ma poco importa, l’importante
è avere tante risposte; ho imparato che confrontandole e
mettendoci un po’ di buon senso la soluzione arriva.
23. Sento spesso i professori lamentarsi che i loro alunni
non riescono a portare attenzione per più di venti minuti.
Bene, nascerà una generazione di distratti, persone che
non prestano attenzione a ciò che succede. Ma dato che
sono pochi i discorsi che vale la pena ascoltare non credo
che il mondo peggiorerà di molto.
24. Di rado ho sentito una lezione così breve, lucida,
realista come quando – mentre lavoravo come cambusiere
in discoteca – un mio collega cameriere mi disse che
l’ultimo dei problemi è il denaro. Difatti il mondo è pieno
di soldi che non si sa neppure dove metterli: quello che
manca nel mondo sono le buone idee.
25. Una società muore non quando perde una guerra o
subisce invasioni ma quando è la mera quotidianità di
tanti individui; anche un individuo non è tale quando
sopravvive ma quando sa identificarsi con se stesso e sa
raccontarsi. Dubito quindi che una comunità che voglia
prosperare possa evitare un po’ di stucchevole retorica
autocelebrativa.
26. Da piccolo giocando con trattori, cerbottane e fucili
(era il tempo di questi aggeggi), li tenevo in mano non
come giochi ma come dei complici che, tanto era il piacere
di guardarli, mi portavo a letto. Come mi può interessare
un quadro o un libro, se dapprima non mi è amico con una
ruota?
27. Magari un fuoco abilmente acceso faceva sorgere
in genti del passato quello che noi oggi chiameremmo
sentimento estetico più dei loro graffiti da noi tanto
ammirati. Non lo so, mai lo saprò, credo serva solo come
curiosità saperlo e non vedo perché non debba valere
anche per le genti di oggi e di domani.
28. Sapendo che sto vivendo in un’epoca d’abbondanza, mi
chiedo: che stanno facendo in me le ansie, le azioni consce
ed inconsce che per milioni di anni sono state impiegate
dalla mia specie per procurarsi cibo? Me lo chiedo perché
vedo in giro molti comportamenti che credo paragonabili
a quelli di chi ha parecchia fame.
29. Da giovane indagando l’evoluzione dei significati della
voce “arte”, capii che se avessi voluto studiare questo
fenomeno sarebbe stato meglio, onde evitare abbagli,
leggere la filosofia piuttosto che mettermi a contemplare
le opere preselezionate da chissà quali criteri moderni.
Mi posso fottere anni in superstizioni se seguo un termine
senza prima riflettere a fondo.
30. Come posso vivere se ho un carattere, una sola indole,
se ho una precisa personalità? Se sono un generoso,
quando ci sarà bisogno d’essere tirchio, come farò a
trattenere? Quando ci sarà bisogno d’essere generoso,
come farò a lasciare? Non io, ma la temperatura del
momento determina il tipo di recitazione: solida o
gassosa.
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31. Quando lavavo bicchieri di notte per guadagnare dei
soldi per pagarmi le passioni, la gente si chiedeva perché
mi stavo sprecando così. Mi vengono i brividi a pensare ad
una mansione che mi valorizza, per cui ho studiato, che mi
dà un futuro. Stando fuori dal centro sociale ho rafforzato
la mia forza intima.
32. La gente prende sottogamba il comprare e il vendere,
come se fosse un baratto. Invece ogni volta che compro
o vendo cos’è se non un firmare? I soldi sono parole in
fiducia, ossia infinite accettazioni di responsabilità che
accettiamo o attribuiamo agli altri, quindi tutt’altro che
qualcosa da prendere con praticità come si crede.
33. Mi mettono asfissia quei luoghi dove devo mettere
una firma, come gli altari, i notai o peggio i tribunali, le
banche. Metterei volentieri firme false perché è una balla
dire che ci si può informare: non è da irresponsabile,
semmai è da sensati evitare queste camere a gas costruite
su subdoli codicilli e clausole.
34. Quando osservo compiere un’azione cattiva cerco di
capirla collegandola alla complessità della persona o della
situazione. Ma anche se fossi in grado di intendere le cause
che hanno predestinato quel povero ignorante a compiere
una crudeltà, l’orrore per le sofferenze continuerebbe
a farmi combattere contro la fonte più prossima dei
problemi: il capro espiatorio.
35. Se verifico che una circostanza accade a più di 4
persone su 10, quella situazione capiterà anche a me.
Calcolo che nel mondo non ci siano più di un centinaio
di individualità e non mi illudo di essere particolare;
quando vaneggio di sentirmi differente, proprio lì, avverto
d’essere ancora più addentro alla mentalità comune.
36. Mi chiedo se il mondo sarebbe migliore o peggiore se
parecchi facessero come me. Forse sarebbe noioso. La
mia allegria non ha portato con sé spettacoli; la tragedia
invece apre scenari infiniti. Hanno messo in scena più
opere quelli che la vita se la sono rovinata rispetto a me
che me la son goduta.
37. Il manuale del masochista dice: credere tanto in una
meta, porsi delle tappe da superare per raggiungere
l’obbiettivo, lavorare sodo e non perdersi in distrazioni,
non abbattersi per le sconfitte e rialzarsi sempre. Lo usano
quelli che vogliono qualcosa dalla vita perché funziona,
ma alla lunga distruggiamo noi e anche ciò che abbiamo
attorno.
38. Se dovessi immaginare cosa mi mancherà delle
giornate una volta morto, direi gli uomini; adoro i loro
caratteri, i visi, gli atteggiamenti, le smorfie, il loro modo
di socializzare, parlare, pensare; continuerei ad osservare
le azioni che la mia stirpe compie perché sono il più bello
spettacolo che mi può essere dato da vedere.
39. È bene avere qualcuno da aiutare; ed io ho preso alla
lettera, il comandamento di aiutare il mio prossimo: ho
misurato che il più vicino a me risulto essere io. Aiutarmi
è una responsabilità che richiede concentrazione e
disciplina perché a volte mi verrebbe d’aiutare gli altri: lo
faccio già con questo buon esempio.
40. Quando emigro seguo queste regole: pulito, educato,
puntuale; tengo gli occhi aperti, mi adatto ai lavori
mangiandomi un po’ di merda; guai ostinarsi al primo
Paese in cui atterro, seguire le leggi; fingere ed essere
sincero quando occorre per evitare casini; ma soprattutto:
svegliarsi molto presto, tanta fede in cuore, evitare
donnacce e furbastri.
41. Più rifletto sulle epoche passate più mi convinco che
questi tempi non differiscono di molto da quelli precedenti
se non per il fatto che oggi si tende volentieri a esagerare
e a sottolineare ogni differenza. Forse siamo un’epoca
giovane, anche se piena di vecchi… e come i giovani non
abbiamo il senso della misura.
42. Sogno un mondo con bellezza ma senza artisti,
con senso critico ma senza critici, con saggezza
da galantuomini ma senza filosofi. Quanto manca
all’estinzione delle professioni cosiddette spirituali? Se
questi professionisti si accoppiassero tra loro i loro geni
specialistici andrebbero a diluirsi. Solo i preti sembrano
scomparire senza peraltro portar con loro le fedi.
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43. Non posso dire che un uomo, un’epoca sono cambiati
se continuano a dare ai vocaboli che usano gli stessi
significati. È un processo lungo che a volte, per alcuni
termini, impiega generazioni e di solito inizia e va in
parallelo con il cambio di tono e d’espressione che si
adoperano nel pronunciare quella voce.
44. Non sono interessato a sapere se una persona simula
il suo carattere, finge rispetto a che? Alla verità? Quale?
E saputa da chi? Quando? In che lingua? Per favore,
finiamola col crederci chissà cosa: pensiamo a passarcelo
bene, almeno con dignità questo poco tempo che ci
rimane, e grazie per avermi mostrato comunque qualcosa.
45. È simpatico e gagliardo chi si anima e riesce,
nonostante i pregiudizi, ad esprimersi con vitalità
nonostante le sue forme ingenue o volgari; questi possono
fare invidia a chi studia e coltiva lo spirito sperando di
poter godere della vita anche loro. Non saprei chi preferire
tra chi si brucia e chi si rode.
46. Cerco di non dare tormento a nessuno e non faccio
quello che non vorrei che gli altri mi facessero perché
altrimenti fornisco a costoro un vantaggio assoluto: gli
do ragione e diritto, e chi ha verità e giustizia ha forza per
generare danni irrimediabili. Infatti non mi fido di chi non
si pone dubbi.
47. Esclusi i reati penali, per me le infrazioni delle
mie azioni sarebbero solo un aggettivo se non avessi
la convinzione che i miei misfatti potrebbero essere
puniti. Compresa la mia scorrettezza d’animo e senza
vergognarmene tanto, adesso giudico giusta o sbagliata
un’azione cercando d’informarmi sulle leggi e le pene del
Paese dove sto vivendo.
48. Le uniche persone originali che ho incontrato sono
stati i disabili. Noi che lo siamo ma che lo neghiamo non
possiamo avere un solo pensiero o idea che sia solo nostra;
credo poco all’originalità, all’anticonformismo, agli
indipendenti e alle grandi personalità. Negli oggetti adoro
pensare alle copie, all’inautentico e trovo inevitabile il
plagio intellettuale.
49. Io sono grande nelle circostanze piccole e piccolo
sui doveri importanti, il che mi ha portato ad evitare
di intraprendere grandi imprese e mi ha lasciato
sopravvivere divertendomi. Il senso di frustrazione, che
semmai poteva sorgere, l’ho risolto, da buon italiano
ed europeo, con abili filastrocche relativistiche utili a
confondere i metri di giudizio.
50. “Non è bello ciò che è bello ma ciò che piace”, ma
stando vicino alle persone vedo che di solito ci attrae
ciò che piace agli altri. Il più delle volte ci si innamora di
donne perché piacciono agli altri perché non c’è luogo
dove si intasano così tanti luoghi comuni come nel gusto.
51. Perché le illusioni dovrebbero essere meno realiste
delle disillusioni? Perché dire che Babbo Natale esiste è più
da creduloni che negarlo? Le disillusioni sono le illusioni
presuntuose dell’intelletto e non considerano che non
esiste una verità ma ne esistono… chissà e il falso non è
dire affermazioni sbagliate, ma è dirle nel modo sbagliato.
52. Non mi sono preoccupato di far contenta mia madre, le
persone a me care, di contraccambiare all’amore ricevuto
dalle donne, di aiutare i veri amici. Mi sono preoccupato
piuttosto di non procurare guai direttamente ed ho
agito più seguendo l’amor proprio che l’amore per gli
altri. Non capisco ancora come qualcuno possa essermi
riconoscente.
53. Sono cresciuto in un ambiente dove potevo anche
deludere i cari che mi stavano mantenendo senza per
questo perdere il loro affetto. Su queste infinite, nascoste,
piccole relazioni domestiche, sulle sberle o le carezze
ricevute in cucina crescono le migliori o le peggiori
personalità e quindi i cittadini. Come fanno gli storici a
saperle?
54. Non sono stato un generoso eppure credo che qualcuno
da me abbia ricevuto semplicemente perché, da buon
egoista, lascio volentieri agli altri i beni che mi impicciano
e sono tanti. Il calcolo del superfluo deve essere esatto
al centesimo perché c’è molta zavorra accumulata da
eliminare; se poi interessa ad altri, ben per loro.
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55. Devo ancora incontrare una persona veramente
cattiva; al massimo ho trovato tre o quattro figli di
puttana che facevano i cattivi perché erano insicuri. Se
dovessi trovare un difetto della nostra progenie sarebbe
semmai quello di colpevolizzare: occorre anche a me, ed
è in proporzione al credermi un individuo con potere di
libere scelte.
56. Banalizzando: c’è chi genera problemi, chi parla su
come risolverli, chi li risolve, chi non fa né risolve né parla
di problemi. I primi sono i più simpatici ma meglio starci
attenti, i secondi sono intelligenti e furbi, i terzi sono
amorevoli ed ingombranti, gli ultimi sono i più sani ma i
meno socievoli.
57. Ho visto uomini passare una vita beata perché erano
riusciti a scappare in tempo dai pericoli: erano uomini
senza particolari qualità o destrezze ma con il fiuto fine
per le insidie, uditori degli istinti della preda; una vita
attiva di difesa, dove è meglio sapere evitare i problemi
che agitarsi per ottenere chissà che.
58. Se provo un senso di colpa non penso d’essere
necessariamente in torto; cerco semmai di capire se,
in altri contesti, il giudizio cambierebbe. La voce della
coscienza la seguirei volentieri, non al guinzaglio, anche
se fossi io l’offeso; questo perché nonostante la giustizia
segua la complessità dell’epoca l’animo rimane inchiodato
a richiedere risposte semplici.
59. Mi trovo bene a vivere in un mondo tecnologico perché
anch’io mi illudo che con più innovazioni ci siano anche
più possibilità. Per fortuna i giochetti nuovi costano e
siccome sto attento ai soldi per avere più tempo libero e
non lavorare, allora compro poche di queste pseudo novità
tecnologiche che funzionano come droghe.
60. Se dovessi dire quale qualità nel futuro l’individuo
dovrebbe sviluppare per vivere meglio con i suoi simili
direi la discrezione. Eppure a guardare nell’uomo questa
sua caratteristica si vede che l’umanità si è sviluppata ed
è arrivata fin qui proprio facendo il contrario che essere
riguardosa. Infatti quanti sono gli individui capaci d’essere
riservati?
61. Mi sfiora il rammarico di non aver avuto le opportunità
per frequentare grandi maestri. Ma è un cruccio falso,
basato sulle consapevoli ingenuità che possano esistere
dei maestri, che si possano riconoscere e che possano
essere più importanti di mia madre che mi ha insegnato ad
usare il cucchiaio. Guai a inchinarsi a chicchessia.
62. Non ho mai ricevuto una medaglia, una onorificenza;
forse sospetterei: quando gli altri sorridenti mi
applaudono, a me che rimane in mano? Se proprio volessi
ricevere una gratificazione preferirei darmela da solo:
sembra un gioco da deficiente ma non è molto differente
dall’altro sistema che prevede molta più fatica e la
illusione di obiettività.
63. I giochi si fanno seri quando qualcuno soffre… il resto
sono chiacchiere: è per questo che all’uomo piace il dolore
perché restituisce la realtà. Con la sofferenza ci separiamo
dal linguaggio, dalle sue trasfigurazioni ingannevoli: ma
ci stiamo imbrogliando un’altra volta ed è ancora colpa dei
discorsi. La prova: osserva gli animali come soffrono.
64. Le parole sono come scatole chiuse che contengono i
momenti in cui sono state usate; purtroppo non esistono
mezzi esterni, chiavi che le possano aprire: la storia di
un termine ci restituirà fatalmente altri vocaboli, non le
vite che l’hanno utilizzata. È un problema serio perché ci
sentiamo vivi solo passando per i discorsi.
65. Ho incontrato il fanatico, l’imprenditore, il medico, il
pigro, il saggio, il buono a nulla, il furbastro, il taciturno;
non credo che questo mondo sia complesso ma siccome
ormai sembra così allora è bene ascoltarli questi
personaggi perché probabilmente prima poi mi serviranno
e dovrò essere uno di loro anche per solo 5 minuti.
66. Sono nato nella provincia veneta il che significa
probabilmente essere reazionario. Siccome mi sembra
eccessivo vergognarsene o reprimerlo –perché non è da
codice penale– mi è sembrato adeguato fare il terracottaio
figurativo (non certo il politico o il giornalista, o il
professore). Come riparatore invece mi è andata di lusso,
a essere un conservatore.
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67. I soldi, le proprietà, i contratti, i sentimenti, i diritti,
altro non sono che voci e basta una espressione in più o in
meno per cancellare queste apparenti certezze. Lo sanno
bene coloro che per colpa di una clausola, di un errore, di
un inganno, si sono trovati dalla sera alla mattina nella
merda.
68. Pochi si allenano a dubitare perché è l’unico sport che
preferisce tornare indietro e a cui non interessa avanzare;
ma noi abbiamo una réclame nella testa che ci suona
“sempre più in alto!”, nel benessere, nel sapere, nella
bellezza, nei sentimenti. Se il dubbio non riesce a mettere
la retromarcia, lo farà il dolore.
69. Negli oggetti sono attratto dai dettagli lasciati dall’uso,
dal compito; mi interessa osservare le impronte che
mi parlano del passaggio di una vita perché con quelle
circostanze mi sembra di rivederla (sostengono che ciò
vale anche per i discorsi). Eppure sogno di fare qualcosa
che nulla abbia a che fare con la mia vita.
70. Sembrerebbe che ultimamente l’umanità sia afflitta
da spiriti piccoli eppure io assisto al contrario: si è messa
ad esprimere l’assoluto, i moti del cuore, a mirare alto;
è una umanità dei geni dalle vite intense, impegnate,
rivoluzionarie, in cerca di innovazioni, di scoperte. È un
mondo fatto di speleologi professionisti, astronauti e
pochi contadini.
71. Spiegano che ogni verità scritta e parlata, nascendo
da strutture e regole della scrittura, è già compromessa:
ossia qualsiasi verità non usa il linguaggio o una qualsiasi
altra forma per esprimersi, ma semmai è conseguita dal
discorso stesso che la pronuncia. Mi chiedo se questo
capovolgimento di prospettiva possa valere anche per la
felicità.
72. Vi sono dei Paesi in cui si nasce ed è giusto rimanervi,
altri che è bene lasciarli, altri da cui si deve scappare e per
ultimi ci sono i Paesi dove è doveroso prendere le armi.
Quello che mi stupisce è la facilità che qualsiasi nazione ha
di salire e di scendere questa graduatoria.
73. Per raccontare un sacco di fandonie e non pentirmene
non solo ho dovuto esercitare una certa dialettica ma
anche elaborare le frottole in modo che fossero, per
me stesso, meglio della media delle verità degli altri.
Traguardo facile da raggiungere vista la concorrenza sul
lato opposto; è servito un esercizio di cesello, metodo,
dedizione.
74. I mille particolari con cui di solito vengono
ingozzati (poverini loro) gli oggetti di lusso hanno la
precisa funzione di dar valore all’articolo ed ogni loro
minuzia ha solo questo scopo. Loro e i loro possessori
sono imprigionati in un monologo ed infatti non ci
trovo dettagli da osservare, perché il dettaglio apre
all’immaginazione.
75. Noi occidentali siamo venuti a sapere l’ultimo giorno
che stavamo perdendo una guerra durata 20 anni. Mi
sembra coerente: abbiamo mille mezzi di informazione,
satelliti, internet, giornali, riviste, ambasciatori, servizi
segreti, non sappiamo se stiamo vincendo o perdendo una
guerra e buona parte della gente crede di vivere un’epoca
diversa da quelle del passato.
76. Credo di fastidiare poco con il farneticare di questi
paragrafi, giacché sono un segno privato di vita. Quando
osservo gli oggetti che mi stanno attorno, trovo che anche
loro trascorrono il tempo in una singolarità simile al mio
bagolare tra le righe. Nonostante lo scrivere non sia di per
sé pubblico, meglio rimanga prudente.
77. M’hanno insegnato a non affidarmi alle chiacchiere che
ascolto, a nutrire un senso critico, a pensare, ricercare;
ed infatti non ho alcuna intenzione di fare sconti a
chicchessia, neppure a questo stesso insegnamento,
tanto è vero che a volte sento che ci si debba fermare con i
ragionamenti perché mi sembra che stiamo esagerando.
78. Ascolto le persone discutere quando la pensano in
maniera differente su argomenti importanti; ma poi
osservo che le stesse persone vivono e si comportano in
modo molto simile (tra fratelli capita sovente). Questo
significa che le vite degli individui tracimano i loro
pensieri discordanti, ma l’abbondanza delle similitudini
rimane spesso silente accantonata dalle individualità.
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79. L’unica fortuna che ogni uomo dovrebbe avere nella
vita sarebbe quella di poter amare una donna bella,
ma l’abuso che si è fatto della bellezza ha sedimentato
nell’immaginario così tanti luoghi comuni e generato
più danni psicologici di una guerra; così l’unico augurio è
quello d’amare una persona non per il suo aspetto fisico.
80. Ho giocato molto, anche quando sembrava che
lavorassi; ero mosso da passioni momentanee e non mi
confrontavo con chi prendeva le giornate come un tempo
utile per risolvere problemi. Per me gli unici posti dove era
conveniente l’impegno erano le partite, meglio ancora se
inventate, e i veri colleghi erano quelli con cui giocavo.
81. Per capire se una persona è simile a me non esamino
i suoi gusti, le idee, ma guardo ai suoi timori. La paura
non è solo come di solito viene intesa: è la pelle dentro la
quale vivono i corpi. Stesse insicurezze, preoccupazioni,
rendono simili ed accomunano le persone, le epoche e i
popoli.
82. So che le mie paure prima d’essere emozioni derivano
da saperi costituiti quindi non assoluti. Pochi sono i timori
istintivi, sono le culture che mi hanno allevato e cresciuto
che mi indicano i pericoli che devo evitare con questa
emozione. Ho quindi la possibilità di sciogliere i timori alla
fonte senza dover essere coraggioso.
83. È un bene che io sia spaventato dall’aver visto come
alcune persone si sono rovinate l’esistenza per delle
sciocchezze. Da questa esperienza ho capito che non
devo bere alcol, non assumere droghe, non correre in
auto e non mangiare porcherie. Ho capito che non devo
impegnarmi a non far ciò; semplicemente non le faccio.
84. Si dovrebbero astenere quei personaggi che con
sicurezza danno consigli all’umanità. Anch’io lo faccio
qui e ovviamente mi vergogno. A volte mi chiedo se
incontriamo più spettacoli nelle pagine delle riviste, al
cinema o leggendo nei cervelli di spara boiate, perché
vedo più show allo specchio che nei media, con la ciliegina
d’esserne consapevole.
85. Il giudizio su di un quadro avviene spesso a posteriori
ossia quando quell’oggetto che abbiamo di fronte
viene esposto come arte con tanto di didascalia. Sono
le modalità di un’era divisa in specializzazioni: non
mangiamo, non vediamo, non abitiamo più ciò che ci
procuriamo, troviamo, costruiamo ma ciò che altri ci
preparano, ovviamente guadagnandoci.
86. Sono milioni d’anni che la mia specie mangia,
centinaia di migliaia d’anni che ci prepariamo il cibo,
vivo nella parte del modo con il massimo della tecnica,
del consumo e della informazione di massa, non sono
un disastro eppure nonostante tutto l’impegno a
cinquant’anni non riesco a farmi da mangiare saporito.
Considerazione valida altrove.
87. Quando tocco momenti di beatitudine ricordo coloro
che permettono ciò; sono persone che hanno costruito,
regalato e stanno mantenendo le giostre con cui gioco.
Non sto facendo altrettanto per gli altri, lo so, ma questo
comportamento non lo giudico ingeneroso perché il mio
star bene è un esempio responsabile, ossia valuto se
genera danni.
88. Quando ero ragazzo, steso sul letto, guardando il
soffitto mi facevo le stesse domande di adesso: che farò,
chi sarò, dove vivrò, e con chi, avrò casa, sarò mai padre,
che lavoro occuperà la mia vita? Adesso mi fa simpatia
sapere che sono resistito mezzo secolo senza dare alcuna
risposta; spero di morire così.
89. Ascolto la gente lamentare alla filosofia di parlare di
favole campate in aria. Capisco questa critica, condivido
il desiderio di concretezza, tanto che anch’io sono ancora
in cerca di realtà per il mondo che non siano aria fritta,
di concretezze importanti. Ma ad oggi ho trovato oggetti
ancor meno concreti ed utili delle parole.
90. Di questi tempi occorrerebbe avere l’avvedutezza
di finire le storie d’amore mentre ci si ama ancora.
Servirebbero l’esperienza per individuare quando è giusto
farlo, l’intelligenza per agire, la generosità per assumersi
inevitabili colpe e rimpianti, tanto animo per non
ragionarci troppo e chiudere. Bisognerebbe volere il bene
dell’altro, amare la sua vita ed emancipazione.
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91. Osservando gli animali che ho attorno vedo che sono
ossessionati dal cibo. Gli unici ad avere meno questo tarlo
fisso sono i cuccioli che riescono a pensare al gioco; se
questo valesse anche per l’uomo cosa è valso per molti di
noi l’essersi tolti dall’indigenza se poi non continuiamo a
giocare? Significa rimanere affamati.
92. Non mi sembra che oggi abbiano vinto le
emancipazioni, i diritti; certo, sono venute a galla certe
ipocrisie del passato e comunque se guardiamo alla
quotidianità ogni mattone del passato che si è tolto è
stato sostituito con uno simile, che però viene nominato
differentemente. Forse il cambio del nome preannuncia i
veri mutamenti.
93. In qualsiasi discorso il denaro fa cambiare le
prospettive dei partecipanti e riesce a portare tanti sullo
stesso piano di comprensione. I soldi e il linguaggio sono
due invenzioni riguardanti le relazioni tra umani che
sono rimaste importanti nella nostra specie negli ultimi
millenni, tanto da farmi pensare che forse siano la stessa
cosa.
94. Affermano che c’è più originalità negli autori
rispetto a chi li copia; io vedo solo i risultati dell’uno e
dell’altro: a volte trovo lavori eseguiti bene, altre volte
no. Se m’avvicino ad una montagna o ascolto una frase
interessante non mi chiedo se sono stati copiati o se sono
originali, mi sembrano questioni irrilevanti.
95. Vi sono dei brevi momenti in cui tra me e ciò che mi
circonda molto sembra essere conciliato. Forse queste
piccole beatitudini altro non sono che un benessere del
fisico senza disturbo della mente e non il contrario. Ciò fa
pensare che credere separata la testa dal corpo arreca di
per sé fastidi inutili.
96. Mi domando quali sono i libri da leggere, la musica da
ascoltare, le opere da osservare. Ma ad osservarla bene
questa è una domanda miope che guarda caso mi posso
porre solo dopo aver letto certi libri, selezionati da altri
libri, che mi indicano che non ci sono più opere autorevoli
eccetto le loro.
97. Non ho capito cosa sia un’immagine, se è qualcosa
che entra negli occhi, se ci esce, se è già dentro al cervello
o chissà che altro. Se un giorno qualcuno avesse una
spiegazione scientifica certa, riuscirebbe a farmi vedere
diversamente? Se sì, come e quanto prima rispetto
all’esempio di qualcuno che già guarda differentemente?
98. Ero piccolo quando reclamizzavano delle caramelle
fetide vendute in un cofanetto regalo elegante. Ho
l’imprinting che mi fa odiare i fiocchi, le vetrine, le
edizioni limitate, pregiate, le introduzioni, i titoli, le
cornici. Giudico questi addobbi separatamente da ciò che
vorrebbero presentare e sono scettico per i frutti di cui
non assaggio la qualità.
99. Quando si dice che siamo nel secolo dell’informazione
forse si dovrebbe intendere non che la usiamo, ma che ci
crea. Quanta energia sarebbe meglio spesa se si praticasse
con prudenza invece di pubblicare? Le parole sono
macchine potenti: con poche di loro possiamo trasformare
la cameretta in un vasto impero o ci si deprime.
100. Manifesto di un analfabeta anarchico: viva la fine
dell’importanza dei libri, che giungerà per l’eccesso
dei volumi pubblicati; finalmente irromperà tra le
lettere l’anonimato e dilagherà il fraintendimento. Non
capiremmo più il significato di un dibattito complesso;
infine ameremo gli autori liberi dalle loro opere. È stato
l’eccesso di tipografie a imporre un cambio.
101. Quando una fidanzata mi faceva becco dopo poco
ringraziavo, perché faceva allegra se stessa e ci lasciavamo
liberi. Piangevo d’orgoglio, ma bastava un amico al mio
fianco a consolarmi. Ho sentito più amore lasciando che
tenendo. Giudico sano lo star vicino a qualcuno solo se vi è
un evidente e rinnovato beneficio di entrambi.
102. L’intelligente non è chi capisce, chi sa, chi crea ma è
colui che avverte le circostanze e agisce con meno danni
possibili, non solo in quel frangente. Dopo aver visto
quanti guasti hanno generato fino ad oggi le genialate
dell’uomo, meglio sarebbe se ci risparmiassimo di crederci
una società intelligente e abbassassimo la superbia.
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103. Mi darebbe tristezza possedere una casa stilosa
perché mi sentirei attorniato da cliché estetici. Sento
che perderei tempo ed energie per mantenerla e così vale
per tanti oggetti che si aggiungono alla vita che come
zecche succhiano il tempo dei loro proprietari. Quanto è
meglio cambiare d’affitto o al massimo avere un garage
semivuoto?
104. Per star bene con se stessi bisogna star bene con il
proprio gruppo, che se viene a mancare da piccoli lo si
cerca ansiosamente da grandi. Capito questo mi chiedo
dell’infanzia di chi brama fama e successo, se sia il caso
che in così tanti ci dobbiamo sorbire i danni di genitori
poco premurosi.
105. Nel 1933 in Germania vivevano 523.000 ebrei.
Alcuni emigrarono prima del 1933; il 55% scappò dopo
il maledetto febbraio; molti non riuscirono più a venirne
fuori. Non credo alle libere decisioni quindi domani
potrei trovarmi in qualsiasi di questi tre gruppi se non mi
preparo oggi ad ogni evenienza. Non ho ragionamenti, ho
paure.
106. Noi maschietti ci dobbiamo ficcare nella testa che
siamo storia passata, che le differenze tra le persone
non si stabiliranno in base al sesso; cerchiamo almeno di
scomparire con dignità senza fare gli isterici perché non
cadrà il mondo. Mi piace fare sculture di questo animale in
estinzione per lasciare almeno un buon ricordo.
107. Avendo visto la mal parata del mio Paese ho
pensato che l’unica soluzione fosse dare il buon esempio,
emigrando e contribuendo così a svuotarlo di persone e
soldi. Ho la certezza che dare aiuti all’Italia sia un gesto
miope, irresponsabile e dannoso perché è finanziare una
oligarchia, invece di estirparla, lasciandola divorarsi senza
cibo.
108. Dando per scontato che fare politica non sia entrare
in alcuna istituzione ma sia educare i giovani a sentirsi
parte di una collettività e saper gioire di questo, mi chiedo
perché si insista a condannare i politici – atteggiamento
tipico degli italiani- costretti ad una inutilità placcata e
non ci si metta ad aiutarli educando.
109. Sono portato a considerare positivamente il periodo
storico in cui vivo perché osservo che numerose sono
le occasioni in cui la tecnica è riuscita a stordirmi dalla
banalità del campare. Mi è altrettanto chiaro che a
sua volta la noia è solo un recente virus di convinzioni
iniettato nelle vene forse dalla tecnica stessa.
110. Quando osservo un’opera mi soffermo sull’esecuzione
e provo piacere per l’infinitesimo dettaglio ben eseguito.
Se invece l’opera è mal fatta che posso immaginarmi?
La faccia dell’autore nell’eseguirla o con l’insofferenza
per i dettagli o con la faciloneria senza ripensamenti
nel terminarla? Queste stanchezze le trovo già in molti
professionisti, non occorre che pago biglietti.
111. La persona più educata che mi è capitato di
incontrare aveva la capacità di mettersi allo stesso livello
di garbo degli invitati che ospitava, questo per non
metterli a disagio e per farli sentire comodi con il loro
modo d’essere. Quanto meglio starebbe l’umanità se si
diffondesse questo modo di relazionarsi con gli altri.
112. L’intelligenza non serve a sapere come stanno
le cose ma a farle funzionare: non è una macchina
fotografica, è un cacciavite. Meglio usare l’intelligenza
non per intendere i problemi ma per gestirli, l’ingegno
sta nell’amministrazione, nel sapersi condurre, quindi
qualsiasi cosa, pianta ed animale sono intelligenti e geniali
a loro modo perché sanno comportarsi.
113. Se il piacere provato per le arti fosse stato perché
sembravo un intenditore allora l’unica speranza per
continuare ad ammirarle sarebbe stato il vantaggio di
sentirmi distinto dal popolino. Ringrazio il cielo di non
aver creduto alla cultura utile ad esibirsi. Senza averlo
ancora letto amavo Bourdieu che sapeva individuare le
piccolezze dei colti.
114. Prendo atto che le persone osservano con soggezione
le opere d’arte quando invece dovrebbero porsi alla
pari. Non c’è nulla di sbagliato nel pretendere da chi si
propone: le opere d’arte, se non soddisfano l’egoismo
dell’osservatore, sono l’egoismo dell’autore. Questa
melensa reverenza nei confronti delle opere è un
malcostume che promuove distinzioni e schifezze.
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115. Sembra paradossale ma proprio ora che i discorsi
hanno invaso la mia vita e che le esperienze comuni che
vivo non sono altro che narrazioni fatte davanti allo
specchio mi appare il sospetto che questa loro avanzata
sia il frutto di una loro silenziosa impotenza per non poter
essere semplici cose tra le cose.
116. Sento di perdere una persona cara quando ormai la
rivedo come un’estranea, non quando muore o non la vedo
più. Ma questo consueto sentimento di perdita, essendo
una morte ancora più reale di quella dei corpi, ci rende
entrambi liberi da quel passato d’amicizia o amore ormai
perso. Ci riaccomuniamo se assieme ci dimentichiamo.
117. La mia denigrata e declamata individualità ha
i piedi d’argilla non appena un malessere serio mi
sopraggiunge. In questi momenti solo la vicinanza delle
persone mi può risollevare, mentre la solitudine farebbe
passare il problema in tragedia. Il mio star bene da solo è
dipendente dal mio benessere, che in gran parte è fortuito.
118. Le dinamiche interne alla famiglia determinano
i soggetti che la compongono, ma alcuni pensano
addirittura che l’individuo altro non sia che un
ingranaggio interno allo svolgersi di un dramma o
commedia familiare. Sembrano follie, eppure mi trovano
d’accordo, basta però definire prima chi sono i familiari.
Dove iniziano e dove finiscono le mie parentele?
119. Non ho dubbi che sia nocivo alle nazioni
quell’individuo, come me, che non tollerando dosi
normali di doveri cerchi d’essere il più possibile scevro da
dipendenze e coercizioni. L’umanità non va avanti perché
qualcuno desidera essere svincolato, semmai perché
ognuno porti la sua croce (che bella prospettiva!) in nome
di una meta comune. Ringrazio.
120. Il lavoro è una bestia da tenere molto sotto controllo.
Da una parte sembra necessario, ma molti benefici che ci
procura non sono così necessari; d’altra parte però sembra
schiavizzarci; inoltre, molte delle conoscenze, delle
relazioni che instauriamo con altre persone si instaurano
proprio grazie all’attività che facciamo. Come tenere al
guinzaglio il lavoro?
121. Una certa storiografia indica che vi sono dei passaggi
nevralgici nello sviluppo dell’umanità ritenuti necessari
per potere essere giunti all’epoca attuale e che vi siano
delle opere lasciate da alcuni uomini, artefici o testimoni,
che attestano tutto ciò. Io credo che questo modo di fare
storia abbia contribuito a convincerci di poter essere
importanti.
122. Mi spiegano che Dio dall’alto dei cieli crea, guarda,
punisce, perdona, concede, eccetera. Molte azioni rivolte
al suo creato, ma sembra poche azioni rivolte alla cura
di se stesso: una cena, lunghe passeggiate, una dormita,
prendere il sole. Ci raccontano di divinità che pensano solo
a noi, per forza viviamo da ipocondriaci e viziati.
123. In teoria su ciò di cui non si sa bene sarebbe meglio
tacere. Se si fosse seguita questa regola l’umanità non
avrebbe potuto pronunciare una sola frase. Invece
ascoltando i discorsi della gente e osservando come
vive sembra che sparando e udendo una valanga di
insensatezze salti fuori una sintesi che ci fa campare.
124. La sessualità delle donne viene vissuta tanto
differentemente rispetto ai maschietti che in una vita
di coppia mi sembra improbabile che i desideri di
entrambi possano essere appagati. Su questo argomento,
per quanto mi sforzi di pensarci, ci sono così tante
superstizioni, equivoci, luoghi comuni che non trovo una
soluzione che non implichi tormenti.
125. Quando a casa devo preparare l’attrezzatura per
andare a navigare in mare non mi chiedo quale vela sarà
meglio armare; semplicemente carico tutto in macchina e
cerco di non dimenticare alcunché. Sarà poi la situazione
del mare a scegliere per me. È meglio avere diverse qualità
anche per passare bene la vita in terra.
126. Per eseguire un manufatto originale, inedito, non
mi scervello in cerca di qualche genialata. Mai sono
riuscito a copiare fedelmente qualcosa (il Rinascimento
italiano insegna); se a questo aggiungo una tempistica
d’esecuzione incompatibile con la commercializzazione,
il risultato insolito è garantito. Il vantaggio sta nell’aver
pazienza e modestia, quindi tempo e silenzio, lavorando
sodo.
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127. Vedo uomini di cultura non essere ascoltati pur
avendo consigli che potrebbero aiutare gli altri, e vedo
le persone comuni che vorrebbero essere ben consigliate
ma rimangono indifferenti ai primi; si dice che le
specializzazioni hanno scollato le persone tra di loro, ma
io trovo che si siano separate a parole non nei fatti.
128. Da giovane sono stato per alcuni anni in vacanza,
senza impegni, ed ho visto che avere parecchio tempo
libero è sano e non annoia; tende però a rammollirmi la
mente sensibilizzando il corpo. Sono state alcune passioni
e lo sport che, prevedendo autodisciplina, hanno saputo
lasciarmi bagolare senza farmi perdere la forza di volontà.
129. Sembra che il contemplare, l’ammirare, il provare
meraviglia richiedano di vedere più volte lo stesso oggetto,
di abitare il luogo, di ripassare: ci vuole tempo prima di
togliersi le superstizioni, le aspettative da turista. Avendo
osservato molto mi sa che anche l’osservare stesso sia una
cartolina come altre che ricalca pregiudizi a volte peggiori.
130. Un veneziano si muove per la sua città osservandola
meno di un turista che ci passa una settimana. I locali
non guardano dove passano: raggiungono, evitano ma
non osservano e così quel posto rimane per loro in una
silenziosa concretezza e non entra nelle parole che come
un incendio travolgono tutto in altro fuoco.
131. Ho sentito alcuni chiedermi come riuscissi a passare
le giornate lavorando poco senza annoiarmi. Io li fissavo
negli occhi per capire se erano fatti o se fingevano perché
ancora non mi capacito di come le persone, da schiave,
possano chiedere ad un liberato: ma non si annoia a non
aver catene? Erano dei veneti.
132. A chi si lamenta della musica contemporanea
perché incomprensibile, elitaria, complicata chiederei
se riesce a trovare un qualche gusto che sia condiviso
dalla maggioranza in un mondo che gode nel dichiararsi
relativista e complesso. Un relativismo e una complessità
di facciata perché poi in nome di qualche andazzo alcune
opere vengono celebrate altre scartate.
133. Forse anch’io, se mi sentissi appartenente ad un
popolo, avrei paura degli immigrati. Sono e sono stato
più volte immigrante e ammetto che avere solo la salute
da perdere mi dava una forza, un coraggio che mi faceva
vincere sui residenti, specie se meno colti. Ora che mi sono
rammollito, meglio se presto emigro.
134. Chi è stato dipendente e poi ha aperto un’impresa sa
che prima aveva un padrone, ora ne ha mille: i clienti. Così
gli intellettuali quando hanno voluto fare gli impresari per
emancipare le loro idee sono passati ad essere servi del
mercato che guarda ai suoi affari e li valuta dai ritagli di
giornale.
135. Ciò che sta vivendo, dalla pianta alla rana, dal virus
all’alga, se in un modo o in un altro è giunto fin qui allora
è maestro di vita e non occorre aggiungere valori per dar
senso a ciò. Essere qui non è affatto scontato dato che
sono innumerevoli quelli che non ce l’hanno fatta.
136. Una ragazza che riuscì a rifarsi una vita dopo
aver superato un matrimonio orribile mi regalò questa
massima: “Quando attraversi la strada e ti investe un
camion, se rimani viva hai tre possibilità: non passare più
alcuna strada; oltrepassarla e rischiare un’altra volta la
vita; guardare bene a destra, a sinistra e poi traversarla.”
137. Dico che ho agito con volontà e autonomia anche se
non confido che esistano la facoltà e l’abilità di volere,
di scegliere e decidere: mi affido come molti all’ipotesi
d’essere padrone delle azioni, obliando certi argomenti e
prove, perché facendo così posso avere una motivazione,
un impulso propositivo. Essere coerente non mi
porterebbe vantaggi.
138. Io non so che ci inventeremo quando la scienza
consegnerà le prove irrefutabili riguardo la non
colpevolezza di chi ha commesso dei crimini, dimostrando
che ogni comportamento criminale è imposto da
condizioni limitative e quindi non è commesso
deliberatamente. “Scusateci, ma dobbiamo castigarvi
comunque perché se no la società peggiora”: questo
diremo ai condannati?
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139. Ci sono così tante occupazioni che si possono fare
e godere nella vita che dedicare più di 5 ore al giorno ad
una sola attività mi sembra eccessivo. Anch’io quando
ero preda di forti passioni dedicavo molte ore a un unico
impegno e ho potuto constatare una limitazione della
vitalità e sintomi da istupidimento.
140. Sentii di ricevere affetto stando davanti al duomo
di Orvieto tanto quanto tra le braccia di una ragazza.
Non vedo nessuna sostanziale differenza. L’amore tra le
pelli profuma un po’ di stanchezza e l’opera ti illude di
estensioni. In questi casi i discorsi servono solo a stare lì di
fronte o abbracciati di più.
141. Dalle storie d’amore mi appare che non esiste una
fine chiara, leggibile della relazione; nessuno dei due “ex”
amanti ha in mano il libro impresso del rapporto che è
stato: ogni pensiero al riguardo è la stessa relazione che da
quando inizia non finisce. L’unica fine, forse, è la morte di
entrambi i corpi.
142. Ho l’abitudine, sfogliando per la prima volta un testo,
di osservare se è pieno di citazioni, riferimenti storici e ha
un linguaggio specialistico. Se ha queste caratteristiche,
essendo io ignorantello, penso che sia meglio iniziare
con i classici. Raramente ricavo conoscenze utili dalla
saggistica eppure, se non ci fosse, i classici non sarebbero
capibili.
143. Sto sbagliando ciò che altri hanno già errato, come
chi scivola sul ghiaccio dov’è appena caduto un altro.
La vita è un ripetersi di errori, forse con piccole, lente
correzioni e questo esserne consapevole è una piccola
parte che si sforza di aiutare il resto a non farsi troppi
danni. A questo serve pensare.
144. La storia ci ha consegnato una filosofia che trascura
la conduzione della vita nei suoi semplici momenti. I
pensieri illuminanti dell’Occidente non raggiungono
la strada e le persone apprendono a condurre la vita
ascoltando chi passa e, a volte, qualche scienziato. Questa
filosofia è morta d’avarizia e forse serve più così che da
viva.
145. Sono anni che riparo vele e posso affermare che
sempre più spesso le riparazioni servono solo per
confortare, rassicurare il cliente che ha paure, insicurezze,
fisime riguardanti il suo materiale. Constato che sudo
di meno ma parlo di più perché faccio da psicologo e,
scocciato da ciò, alzo i prezzi giustificandomi con altre
rassicurazioni.
146. Se deduco mi sembra di muovere la mente seguendo
qualche regola e perciò presumo che quel che ne esce
per forza debba essere sensato; ne escono cosucce, ben
congegnate, che però incominciano a sgomitare con altri
pensieri. Cerco convivenza tra i miei pensierini, ma il
cervello non è grande e sorgono contrasti e gelosie.
147. È interessante osservare come una sciocchezza
campata in aria si faccia strada come conveniente o
convincente in un gruppetto coeso ed isolato di auditori.
Questo mi fa sospettare che forse anche le rare prime
cognizioni dell’umanità si siano costituite con modalità
simili. Ma quale conoscenza mi permette di guardare la
nascita delle prime conoscenze?
148. Ho letto un amante dell’arte scrivere poesie su opere
e pittori; poche righe che provengono da uno sguardo
esatto, franco, mai superficiale. Condividerei ogni
sentimento di quella sensibilità se non fosse che ravviso
che sgorga da un universo di irresistibili pregiudizi. Ma
solo così ci si approfondisce: chiudendosi dentro ad un
cerchio e scavando.
149. Quando vedo degli idioti che vanno al potere, a
medio termine non mi spavento perché so che la loro
idiozia arrecherà danni tali che porteranno il loro sistema
alla morte. Quindi a breve termine bisogna o scappare o
nascondersi aspettando o favorire le loro iniziative più
stupide perché possano cadere da soli più velocemente.
150. Anch’io partecipo alla trita credenza che la mia stirpe
possa seguire o non seguire la natura, farle bene o del
male, uscirne o rientrare; ascolto: “torniamo alla natura”,
come se ne fossimo usciti un mercoledì, meglio forse un
festivo. Siamo bravissimi a raccontarcela come ci fa più
comodo; bisogna farla fruttare bene questa qualità.
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151. Trovo invidiabili le divise da lavoro: c’è quella del
dottore, dell’imbianchino, del prete o di Batman, del
surfista, dello stravagante, dell’idiota interessante,
del ricco; mi sono impegnato nel cambiare abito il più
possibile per partecipare ai mondi che vado vedendo
e sognando. Mi è difficile accettare che non si possano
vivere più vite contemporaneamente.
152. È ormai insopportabile vedere gli artisti obbligati
ad avere l’ispirazione, gli attori dover sembrare credibili,
i giornalisti essere informati, gli stilisti essere sempre
originali; tutti usano nascoste maestranze e tecniche
facendosi il mazzo per stare ai tempi. Dovrebbero
scioperare per liberarsi da questi obblighi di facciata;
tanto dopo ci sarebbe comunque bisogno di loro.
153. Il fatto che i libri siano costituiti da vocaboli
stampati, inamovibili, non adattabili al momento, ha
fatto dimenticare che un discorso ancor prima d’essere
vero o verosimile, credibile o persuasivo deve non stonare
e per ottenere ciò deve essere in sintonia con ciò che lo
circonda, ossia armonizzarsi con le circostanze e i tempi.
154. Per dire liberamente discorsi inutili ed altezzosi ed
essere pure ascoltato con interesse mi è servito coltivare
una buona retorica imitando i modi che hanno gli altri
sparloni nell’esprimersi con persuasione. Se tengo una
faccia di bronzo e un piccolo codazzo il gioco è fatto, me lo
dimostra il 70% di ciò che studiamo.
155. Si dice che ogni creazione è figlia della sua epoca e
quindi ci parla del suo tempo. Guardiamo le opere che
vengono create oggi: parlano del nostro, del tuo tempo?
Si continua a rispondere di sì volendo far coincidere
astrazioni. Per me nessun oggetto parla, noi ascoltiamo le
voci che gli mettiamo in bocca.
156. Non è vero che nella vita il vincente sia il più forte.
Raggiunta una certa età la meta della affermazione se la
pone un carattere probabilmente complessato. Per essere
forti basta essere stati stimati ed amati da piccoli, non
occorre dimostrarlo, soprattutto con delle vittorie che
sono spesso delle buffonate con tanto di medaglietta.
157. Una volta una ragazza mi telefonò infuriata perché
gli avevano piantato un’antenna per le telecomunicazioni
davanti a casa. È il difetto di tutti comprarsi la bicicletta e
non pedalare, ottenere soddisfazioni evitando la pochezza,
parlare senza semplificare. Io mi sono specializzato al
quadrato su queste ipocrisie che vado a navigare per non
pensare fesserie.
158. Dentro i miei limiti ho cercato di sfuggire alla
mediocrità, ma il massimo che ho ottenuto è stato poter
scegliere a quali preconcetti consegnarmi per poter
campare. Quel poco di consapevolezza ottenuta mi
ha reso cauto, mentre la rimasta cecità mi ha lasciato
intraprendere stupidaggini, iniziative ordinarie che non
sono andate poi tanto male.
159. Mi sono tolto dall’inferno che mi avrebbe generato
credermi una individualità e ho scoperto che le mie falsità
ed ipocrisie servono a non discriminare difetti e lati
oscuri altrimenti repressi o sopiti. Magari non fossi un
individuo… sarei un parlamento, o meglio, un’assemblea di
condominio dove tutti i litiganti possano prendere almeno
la parola.
160. Ho letto che c’è chi ipotizza un secondo mondo,
parallelo al nostro, costituito da una enorme, infinita
biblioteca. Lì dentro tutto è libro, caratteri, cataloghi;
in questo mondo spero ci sia un racconto che parlerà di
un’altra interminabile biblioteca fatta di dossi, scogli,
venti e nessun libro. In questi tre mondi credo di vivere.
161. Forse sono cieco ma io non vedo i molti cambiamenti
nel mondo, nella società e nelle persone che si continuano
volentieri ad annunciare. Ipotizzo anzi che lo scontento
comune della gente sia dovuto proprio al fatto che sente
ogni giorno gridare al cambiamento mentre poi si rende
conto che ogni giorno vive come prima.
162. Prima o poi la collettività, visto che sta credendo
alle verità delle scienze, dovrà farsi carico del problema
dei crimini, che in gran parte sono ancora addebitati alle
persone responsabilizzandole e punendole per quello che
fanno di illegale. Ma quanto potrà reggere questo sistema
se dalla scienza verrà sminuito il potere delle libere scelte?
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163. Ti incuriosisce capire i differenti comportamenti
ed atteggiamenti che gli individui possono adottare a
seconda delle situazioni? Ma se fossero le occasioni a
creare gli individui allora facendo questo tipo di ricerca
saresti già entrato in una circostanza che plasmerà anche
te: questo però non ti va? Non puoi usare metodi senza
esserne posseduto.
164. Stimo l’anonimia e suppongo che uscirne significhi
perdere le possibilità e l’indipendenza che dà l’essere
ignorato. Se mi immaginassi rinomato, mi avvertirei
fermo, morto impalato. Mi riconosco vivo quando sono
buttato, gettato, perso nel mondo e nell’esistenza vaga;
qui la coscienza si fa più attiva, viva e al buio trovo le mie
forze migliori.
165. Qualsiasi comportamento delle persone, dal più
banale al più tremendo, lo voglio osservare per portarlo
con me, sia perché un giorno mi potrà essere utile come
esempio, sia anche per saperlo riconoscere e fermarlo in
tempo. Non mi serve a molto credere che gli squilibrati, i
religiosi e gli stupidi siano solo gli altri.
166. Sembra, frequentando mostre e musei, che gli
artisti odierni (definizione scomoda) scimmiottino ed
ammicchino nelle opere a concetti estetici come degli
impiegati precari del sistema arte che li nutre con le
briciole. Ma questo è solo uno dei tanti teatri presenti, ed
è bene saperlo perché il mondo è pieno di gente veramente
capace.
167. Basterebbe impegnarsi sulle faccende che sto facendo
-qualsiasi esse siano (meglio se insulse)– e raggiunto
un buon livello lasciare tutto agli altri, che la vita
assumerebbe un profilo significante. Mi hanno ficcato in
testa l’idea della vita come nascita e morte, come viaggio:
tanti stereotipi che mi attirano come le foto delle isole
caraibiche.
168. Ripetono che la società è complessa e che i problemi
vanno risolti affrontando tale complessità. Se fosse così
sarei d’accordo. Ma non pensano che la complessità non è
un fatto ma una sensazione, ed è proprio con questo stesso
modo di ragionare che l’uomo ha portato a generare i
danni che ora vorrebbe risolvere.
169. La bellezza dell’Italia è tanto superiore rispetto
alle altre nazioni del mondo che diventa inevitabile
che a questa eccezionalità debbano corrispondere dei
contro perché non arrivi ad essere un Paese perfetto. Gli
italiani, uomini di scorrettezza e di stile, compiono questo
riequilibrio rendendolo un Paese soffocante per lavorarci,
ma ottimo solo per le vacanze.
170. Veritiere sono le scolaresche che mostrano d’annoiarsi
nei musei; dubito infatti che una persona possa trarre
beneficio dall’osservare decine, centinaia di opere d’arte in
una mattina. I musei dovrebbero essere smilzi ed esporre
pochissimo, altrimenti stanno esercitando bodybuilding.
Ma vivo nell’epoca dell’ingordigia infinita che trova nel
cervello il posto migliore per scaricare ogni eccesso.
171. Scappare dalle città per avvicinarsi alla natura,
uscire dalle campagne per vivere nel mondo tecnologico:
sembrano azioni opposte, eppure altro non sono che
un passeggiare per la stessa stanza leggendo differenti
racconti. Non c’è luogo più o meno tecnico, più o meno
naturale per l’uomo, semplicemente nell’uno o nell’altro si
sta meglio o peggio.
172. Ci sono operai e imprenditori che sono operai
e imprenditori e altri che facendo gli operai e gli
imprenditori non lo sono perché appena hanno tempo
vanno a ballare salsa e merengue. I primi se vengono
licenziati o falliscono sono fottuti, i secondi ringraziano
il cielo. Le passioni possono salvare anche un destino
ordinario.
173. Spesso maleducatamente non ascolto le persone
quando mi parlano, ad eccezione che nel lavoro dove
procedo in un binario. Il sentimento di colpa che provo
per non aver prestato attenzione stimola poi una fervida
immaginazione per cercare di recuperare il perduto, che fa
tracimare di significati quelle poche lettere che mi illudo
di ricordare.
174. Si è creduto che la fotografia potesse esprimere la
vita e così, affascinati ma insoddisfatti dalle immagini
che non riescono a contenerla, si è passati a fare della vita
stessa una immagine, il che ci ha riportato ad essere ancor
più bisognosi, ansiosi di istantanee. Risultato: invece di
vivere passiamo il tempo a fotografarci.
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175. Se chiacchierando mi accorgo che qualcuno pensa che
“fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” sia uguale o
simile a “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto
a te” considero che l’interlocutore sia accecato dal bene,
e, annuendo, non gli spiego la violenta differenza e me la
svigno.
176. L’antropocentrismo è talmente radicato in me che
non intuisco come poterne uscire. Non scelsi di nascere
figlio d’Adamo e ci morirò. Mi chiedo se torneranno
ere senza uomo, se le specie riusciranno a tornare a
essere indeterminate. Comunque sia, se scompariranno
gli individui, le differenze, le alterità il nostro mondo
evaporerà in un vuoto.
177. Quando vedo qualcuno entrare in un negozio penso
che stia andando a comprare delle immagini, non della
merce, e più soldi vengono spesi più quelle fole diventano
chiacchiere. Pochi prodotti possono ancora considerarsi
mercanzia, la maggioranza sono zuccheri che ostruiscono
il cervello. Meglio disinquinare prima la testa, la Terra si
pulirà subito di conseguenza.
178. Mi trovo in sintonia con le persone che, quando i loro
raccolti vanno in disgrazia, attribuiscono il governo della
vita al caso mentre, all’arrivo dei frutti, si consolano delle
loro fatiche o si danno merito per aver saputo cogliere la
fortuna. Mi chiedo se ci sia un’alternativa più umana di
questa prima di demonizzarla.
179. Non sono indovino ma, se intuisco una situazione di
squilibrio, mi aspetto un riassetto. Quali sono i limiti della
sopportazione? Della tolleranza? Per il mio corpo? Per un
popolo? Sono domande che per me indicano già un errore
perché cercano l’ultimo punto prima della caduta. Mi
sento più padrone di me distante dagli estremi.
180. Da ragazzo mi sentivo vivere come dentro ad una
navetta spaziale senza saperla pilotare e senza magari
sapere che c’è anche una stanza dei giochi o delle torture.
Mi hanno abbastanza educato a lavorare, a studiare, alla
salute, alla bontà ma poco a vivere; da qui sorge la mia
maniacale osservazione delle esperienze altrui.
181. Essendo nato tirchietto e avendo presto capito che
se non potevo ripararmi la Vespa da solo dovevo pagare
qualcuno, non ho agito sulla rimozione del difetto ma anzi
l’ho conservato per diventare un bravo artigiano, così da
ripararmi da me i tanti giochi che mi difendevano dalla
noiosa quotidianità e dai costosi desideri comuni.
182. Sento dire che vivrei in un’epoca dove la verità viene
detta dalla scienza. Io non sono tanto attratto da queste
verità; per me la scienza funziona o non funziona, mi aiuta
o non mi aiuta, tutto qua. Se volessi sentire delle verità
ascolterei l’umore, nuoterei in mare o meglio andrei a
trovare un amico.
183. Quando facevo sculture in un nascosto retrobottega
di un rivenditore di piastrelle, i clienti del negozio che
passavano casualmente curiosavano le opere per 2-3
minuti. Credete che se le stesse opere fossero esposte
al Prado la gente si fermerebbe più tempo? Ha senso
contare, cronometrare i visitatori? Che valore ha lo stare
ad osservare?
184. Sento invocare l’unità, il dialogo dei saperi. Mi
sembra un buon proposito; ma ciò non è già presente?
Io mi sento già connesso con i saperi che abitano con
me queste città formicaio. Esiste uno scienziato che ha
esercitato solo la scienza nella sua vita? Non ha imparato
altro? Non sa prepararsi un caffè?
185. Gli scienziati si rifiutano di concepire la scienza
come qualcosa di retorico perché convince con delle
prove e ragioni verificabili. Ma per quanto e per quanti
sopravvivrebbero queste dimostrazioni se non fossero
anche retoriche? Nessun sapere è slegabile dal resto
perché si rifanno comunque a delle persone e l’idea di
specializzazione è una assurdità.
186. Sono emigrato da un popolo che chissà se esiste,
perché non ha voluto o creduto di esistere e che sta
estinguendosi, andandosene e implodendo, finalmente;
con tutto ciò faccio opere sognando come se vivessi in
diversi imperi immaginari. Sono questi stati d’animo che
portano all’eclettismo o a questo stile non c’è scampo per
nessuno?
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187. Decidono che la mia cronica incomprensione delle
donne, dopo anni di distacchi, dipenda dal fatto che ho
un cervello troppo basico, limitato ed egoistico per poter
capire e saper ascoltare le complessità femminili. Capito
questo allora non mi resta che avvisarle di abbassare le
loro aspettative di comunicazione e pazientare se non ci
arrivo.
188. Sembra che il desiderio, la speranza di apparire nei
mass media prenda ogni classe sociale e tipo di individuo.
Sembrerebbe che la gente sia diventata scema e sogni
di entrare in un tritacarne. Ma basta staccarsi dai video
e andare dal meccanico e si scopre che questo orrore è
ancora solo un piccolo film.
189. Esiste un postulato indiscusso relativo ai linguaggi,
ossia che siano fatti per comunicare, esprimere,
manifestare, svelare; è perciò che le voci alzano il volume
della retorica, delle persuasioni e desiderano essere
ascoltate. È tanto difficile constatare che ogni istante
passiamo al lato di cose che ci cambiano la vita senza
degnarle di uno sguardo?
190. Quando mi sono o mi hanno licenziato dai 26 lavori
fatti finora l’ho potuto fare sorridendo solo perché in
generale non mi prendo responsabilità. A molti sembra
una mancanza di forza, di carattere o d’altruismo ma
vedendo come stanno vivendo i responsabili e che
combinano ringrazio Iddio di non aver preso ancora
questo vigore.
191. Raramente ho aiutato e forse non ho dato grandi
tormenti, solo perché mi sono volentieri fatto gli affari
miei; facile. Forse, nella confusione e senza rendermene
conto, avrò fatto dei favori e dei dispiaceri ma credo in
dosaggi omeopatici. Il problema non è il bene o il male, ma
la quantità e la misura.
192. Non esistendo per me uno spettacolo più vario
dell’uomo, mi reputo un miracolato se considero che
talune di queste scene posso portarmele appresso,
come una borraccia per il ristoro, grazie a delle semplici
imitazioni, e che con qualcuna riesca anche a far sorridere.
Avverto che altre mie passioni discendono dal piacere per
i comportamenti.
193. Mi piacerebbe scrivere il più piccolo significato,
un “sema” che non possa riferirsi ad altro da sé, non
interpretabile, non confondibile; invece ogni segno che
digito rinvia ad altri sensi; sogno di incontrare un qualcosa
che non mi parli, che non indichi nessun’altra cosa se non
se stessa. Troppe voci ascoltate echeggiano di continuo.
194. Ascolto discorsi che parlano di loro stessi cercando
d’avvisarmi dei loro poteri ed inganni, …intanto li sto ad
ascoltare e loro, furbamente, tramite me si diffondono.
Ma se sopraggiunge un dolore molte di queste voci
d’improvviso svaniscono. Forse la sofferenza è più
detestata dai discorsi che da noi stessi, ma ormai siamo
quasi tutt’uno.
195. Ecco, sono uscito dal mare: avrei invece potuto
imparare a pensare o a scrivere meglio o a plasmare bene
una scultura. È stato meglio buttarmi in acqua. Il mondo
non svanirà affatto se scrivo male: ci saranno altre frasi
che lo ricreano. Non dà alcun fastidio che questi capoversi
creano immagini solo a me.
196. Mi reputo essere natura; è la natura ad illudersi
che posso pensare, e quindi avverto come naturale ogni
azione, anche quelle che vengono definite come innaturali.
Non bado ai risvolti contraddittori di credermi a volte
uno, altre volte nessuno. Se sono stretto dentro al mio
individuo, chiedete alla natura di uscire dal suo incubo.
197. Per me è difficile scrivere e leggere perché le parole
si susseguono una dopo l’altra, non si presentano
contemporaneamente come un oggetto che lo si può
cogliere anche solo standoci vicino. Quando i discorsi
riescono a darmi una visione d’impatto non sono già più
loro ad essere presenti perché evaporano nelle immagini
che richiamano.
198. Siccome per star bene so arrangiarmi, per evitare i
problemi invece ho bisogno dei consigli degli altri perché
le rogne possono tendermi tranelli ed insidie ed è bene
tenersi aggiornati. Il difficile non è ascoltare le disgrazie
altrui, ma capire quando sono recitate non per ingannarmi
ma magari perché hanno digerito male la colazione.
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199. Il giornalismo è l’abilità di vendere notizie e non
differisce dal commercio: la maggior parte vende quello
che gli passano, qualcuno invece si pone dei dubbi sugli
avvenimenti e compie personalmente delle ricerche;
quello che non capisco è come possano trovare così tante
indicazioni senza farsi domande sul modo stesso che
hanno di indagare.
200. Se qualcuno avesse veramente a cuore riferire un
fatto dovrebbe porsi delle questioni che gli impedirebbero
di parlare come si era proposto. Siccome il linguaggio
per come è fatto ci obbliga quando parliamo ad essere
dei grandi o piccoli cazzoni, ognuno dice la sua a seconda
delle righe o del cronometro che s’è prefissato.
201. Osservo la gente mentre guarda le fotografie che
le riguardano: aleggia un sentimento di inappagamento
che una volta non riscontravo. Non dipende solo dal fatto
che in molti siamo piuttosto esigenti con le foto, tante ne
abbiamo viste; sembra che le istantanee, come i filmati,
incomincino a essere inadeguati a ritrarre la nostra vita.
202. Dopo aver nuotato in mare non posso tradurre
quella nuotata con un racconto perché nessuna parola è
salata e bagnata; eppure, nonostante ciò, non prenderei
consapevolezza di alcuna esperienza se io non avessi
dentro di me le narrazioni che, per quanto manchevoli, ne
parlano. Se “nuotando” io non avessi questo verbo, che
starei facendo?
203. L’astrazione nasce dalla superstizione che vi sia una
differenza tra realtà e immaginazione. Ma per superare
questo preconcetto bisognerebbe prima far venir a galla
la credenza che fa dell’immagine qualcosa che raffigura
la realtà e quindi ripensare la visione e il guardare nel
suo complesso. L’oggetto che esemplifica meglio questa
credenza è la fotografia.
204. Se mio nonno mi leggesse penserebbe che l’unico
problema che ho, è crearmi dei problemi inesistenti.
Ciò significa che ho fatto bene il nipote, cambiando il
paradigma di quali siano i problemi. Oggi spero di togliere
i suoi problemi reali e i miei immaginari cercando di capire
cosa sia vedere una realtà o un’invenzione.
205. Se mi confronto dentro il quadro storico della mia
civiltà mi giudico un banalotto rispetto ai personaggi
importanti; se invece allargo lo sfondo fino alla preistoria
i grandi del passato mi appaiono ridicoli ed io mi sento
alleggerito nell’indeterminatezza. Quindi per garantirmi
una certa sensatezza scelgo la prospettiva dove collocarmi
e non essere collocato.
206. Capii i conflitti della mente quando da piccolo sognai di
toccare con il polpastrello dell’indice il confine, la pellicola
nera, la membrana ultima del limite dell’universo; ma mio
fratello mi ruppe il sogno chiedendomi: “… e dietro quella
fine che c’è ancora?” Da allora non risolvo i paradossi, anzi
lascio vive le loro componenti.
207. Poi in seconda battuta li risentirò volentieri, per
adesso sono assordato dagli aggettivi contundenti:
onorificenze per geni, storie imprescindibili, pensieri
fondamentali, teatri dove si applaude, bande rock mi
sembra abbastanza esaltate, guerre importanti. Qui,
oggi, camminavo tra pietre laviche anonime che non
fanno protagonismi, nessuna di queste partecipava a quei
baracconi per spettatori fatti.
208. Che bello leggere una filosofia che pretende di
comprendere la verità. La mia parte savia sentenzia che
è una distorsione ottica crederlo possibile ma non ho
intenzione di perdermi le vertigini che dà la sensazione di
vedere con il pensiero la verità; rinunciare a questi deliri
sarebbe per me più folle che prestarvi attenzione.
209. Ho sentito gli impegni della quotidianità un po’
insopportabili ma anche inevitabili. L’unica maniera per
non farmi abbattere da loro fu assumerli come pausa tra le
mie dedizioni. La quotidianità ha un effetto sedativo che
mangia senza accorgersene i decenni della vita: grande
è il compito per eliminare più routine possibile da ogni
giornata.
210. Non mi dà sollievo il sentire vergogna per aver detto
una boiata, quindi subito una sequela di sentimenti che
nascono dalla mortificazione intavolano un gioco che
porta ad un calcolo su come quella imprudenza possa
essere salvata, trovando un posto logico che non la vuole
bruciare ma rileggere. Vorrei di me salvare ogni presente.
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211. Se un popolo come quello veneto per secoli ara i
campi con i buoi e le sue mani e abbassa il cappello di
fronte al signore quando arrivano i schei… sono tre le cose
che fa: rimane a lavorare, non smette di bestemmiare e
seguita ad aver fame anche se è vestito da padrone.
212. Quando pensiamo alle civiltà del passato crediamo
che ci fosse una società più unita e meno complessa
e frammentata dell’attuale; è una cantilena che le
generazioni si ripetono volentieri dato che del passato
si ascoltano le storie mentre del presente si crede
d’osservarne i fatti, è così che continuiamo a credere
l’attualità tanto differente.
213. Viste le palesi divergenze tra le parti in me, forse non
sono neppure un individuo come viene inteso; e neppure
un puzzle i cui pezzi formano un disegno sensato; chissà
magari un luogo dove alcune occorrenze, senza necessaria
coordinazione tra loro, risiedono interagendo e favorendo
momentaneamente il vivere tra altre circostanze; siamo
individui diplomaticamente.
214. M’hanno spiegato che i problemi della schiena
derivano dal fatto che per milioni d’anni non eravamo
eretti, ...chissà… ma allora anche i problemi del cervello
derivano dal fatto che la testa non nacque per pensare
come oggi dovrebbe? …e il fatto che la mia fitta la sento
solo io da che cosa è dovuto?
215. Al dottore non si richiede di essere un grande uomo
per essere bravo, neppure all’insegnante. Ci chiamano
per dare prestazioni e quindi c’è da chiedersi a che serva
oggi essere un uomo con onore: serve a far sì che nessuno
ti chiami e riuscire a vivere sostenendo la propria inutilità
significa possedere grandi capacità.
216. Il piacere che provo nell’ascoltare chi non crede ai
fatti ma solo alle interpretazioni si trasforma in panico
quando questa relatività si fa presente in ambiti dove
voglio che mi diano solo certezze, come nella giustizia,
nei soldi o riguardo la salute. Chissà se le disinvolture e le
insicurezze d’altri tempi erano tanto differenti.
217. A me non sembra che i valori stiano sparendo;
semmai non assisto più ai modi con cui prima si
pretendeva che questi meriti si dovessero esprimere.
Non è finita la nobiltà d’animo, il coraggio, l’amore per
il popolo, l’amicizia o la fede; tutto ciò è finalmente
approdato all’anonimia che, invece di sbandierarli, li
rafforza.
218. Allevare ed educare sono tra le poche azioni valide,
molte altre le sono subalterne, ma la questione è capire
cos’è che alleva ed educa e cosa no. Forse viviamo in
un’epoca che per dogma prescrive il saper ricevere
educazione da qualsiasi episodio. Quindi la domanda è:
come insegnare che dà molto si può imparare?
219. Io non immagino come si tengano insieme due
irrinunciabili idee: la consapevolezza della relatività
dell’umano (che crediamo porti con sé la morte delle
illusioni e dei valori stabili condivisi) e il desiderio e la
necessità di una società tra uomini uguali, che funzioni.
Spero di non vedere annullarsi a vicenda questi due cari
ideali.
220. Con il linguaggio provo a capire il mondo. Ma pure
i discorsi fanno parte del mondo e quindi anche una
qualsivoglia bagolata, se compresa con il mio intendere,
mi può far cogliere una parte di realtà. Ma questo
strumento stesso come lo capisco? Con altri discorsi…con
che altro? E qui il cacciavite-linguaggio si spanna.
221. Sembra immorale dover chiedere alla legge se sia
giusto o no fare qualcosa perché dovrei già sentirlo,
avvertirlo dentro di me. Ma vivo in una società che si
nutre di complessità e quindi rende impossibile poter
introiettare la cultura giuridica. Con queste rigide
condizioni posso vivere onestamente solo se consulto, non
se mi ascolto.
222. Vi sono degli argomenti che fanno intendere
come uno ragiona; uno di questi è l’idea di Natura o
Universo. C’è chi pensa che sono innanzitutto definizioni
e ciò prevede che come tali sono comprensibili. Questi
personaggi sembrano i più intelligenti ma poco empatici,
ma conoscendoli meglio si scopre che sanno abbandonarsi
a sublimi contemplazioni.
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223. Le parole non stanno lì per loro stesse, quando le
guardiamo il loro corpo svanisce, infatti questi grafemi
si leggono, non si osservano. Questo non fissarsi sulla
presenza, pensando ad altro, si è tanto incarnato in noi
che ormai gli occhi soffrono di retinopatia perché servono
a poco dato che abbiamo sempre l’attenzione altrove.
224. Ho la sensazione che i vocaboli vivano in un assillante
complesso di inferiorità rispetto agli altri enti e che
sperino di superarlo decretando che il modo reale è il loro
perché creato da loro. Le parole assomigliano un po’ ai
bambini abbandonati o non amati che passano l’esistenza
a cercare il proprio senso d’essere.
225. Dicono: “viviamo in tempi più complessi rispetto alle
epoche precedenti”. Quindi la vita di un antico pastore
dovrei considerarla meno complicata di quella di un
indaffarato uomo d’affari d’oggi; considerare il contrario
sarebbe ancora da dimostrare. Ma qualcuno le ha mai
contate queste benedette azioni che fa un capraio e quelle
di un manager?
226. Dicono che sia più facile svolgere certi compiti
semplici rispetto ad altri, ma il metro della facilità non
sta nelle faccende stesse ma nell’umore che abbiamo nel
farle; i sentimenti che ci accompagnano facendo qualcosa
spesso dipendono dal territorio. Se la gente è soddisfatta
la complessità si fa semplice, altrimenti il semplice risulta
complesso.
227. Quando mi relaziono con gli stranieri l’unico suono
che riesco a biascicare, annuendo, è “yes” e qualche
frase confezionata. Parlando con il mio idioma (abusata
confidenza che porta con sé la superstizione che le
conversazioni sono portatrici di pensieri che provengano
da una mente) vado spedito al contraddittorio credendo
d’avere tante idee da esprimere.
228. Il denaro subisce molti fraintendimenti. C’è chi lo
venera, chi lo demonizza e chi crede di poterlo controllare.
La maggioranza lo pensa come un mezzo, quindi come
distinto, sparato dall’uomo. Ma i soldi altro non sono che
voci, come molto del resto, e come i discorsi vivono di
circolazione, pratiche, condivisioni, risposte, esperienze,
regole.
229. Vomito pensando alle formulette per dividere e
giudicare ancor di più gli uomini; una acida e deflagrante
menzogna è mettere in relazione la persona con le sue
provate capacità. Rabbrividisco quando sento che qualche
scuola elementare crede all’algoritmo meritocratico e
stimola i bambini a dovere dimostrare che sono capaci.
Chi mi affitta un lanciafiamme?
230. Per me è ovvio che milioni di altri individui abbiano i
miei stessi sogni, perciò prima di attivarmi per realizzare
una aspirazione vado a conoscere di persona chi l’ha già
provata e vedere se sta meglio o peggio. È facile non farmi
fottere da immagini accattivanti e tenerle dentro di me
come semplici cartoline.
231. Nel sud dell’Europa preferisco lavorare aiutato dalle
macchine, perché se aspettassi le persone non potrei finire
i compiti. Adoro osservare, chiacchierare, giocare con la
gente, ma per avere tempo libero per stare con gli amici
devo chiudere presto il laboratorio. Amore ed impazienza
per gli umani di qui: così è continuata la mia artigianalità.
232. Non mi perdo la possibilità di pensare vero ed
incontrovertibile un pensiero solo perché storicamente la
verità è scemata. Non desidero sentirmi obbligato dalle
censure della storia o da qualsiasi editto culturale a non
credere alle verità stabili solo per coerenza. L’incoerenza
mi permette di transitare per relativismi e certezze, senza
annacquare dove passo.
233. Per fortuna mi sono accorto presto che nel termine
“natura” si sovrapponevano travisamenti, luoghi comuni,
false giustificazioni e soprattutto pigrizie mentali: tutti
alimentati dal credo dualistico declinato in mille modi:
cultura-natura, uomo-oggetto, interno-esterno, eccetera.
È incredibile constatare che nonostante da secoli si
cerchi di contrastare la mentalità cartesiana essa vinca
potentemente tra la gente.
234. Vige ancora la concezione che vuole l’uomo diviso in
hardware e software; sono secoli che si parla di cambiare
questo paradigma per concezioni più unitarie, ma i
tentativi sembra non facciano presa. Anch’io non vedo
spazio per panteismi e allora esagero proponendo una
persona non divisa in due ma in mille, chissà, magari
c’azzecco.
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235. In me la perdita delle illusioni o il prevedere che
quello che andrò a fare servirà a ben poco non genera
disaffezionamento alla vita o inattività, anzi: agire
disilluso mi lascia uguale sovranità e fantasia. Il motivo è
che anche il disilludersi è illusorio però è abbastanza tipico
di questi tempi perché sembra imparziale.
236. La precarietà dei miei lavori, una buona manualità,
il non avere un futuro pianificato sono stati e sono la mia
ricchezza perché se cambiano gli eventi non ho molte pesi
per spostarmi. Metterei le ruote a tutto, specie ai miei
pensieri: se non si muovono loro, poco utile è stato aver
mosso il resto.
237. La precarietà e il non senso che declamo per la mia
vita sono dei vezzi, perché si reggono su di un ordine
sentimentale e familiare che ho ricevuto amorevolmente
da piccolo e che mi ha tanto stabilito quanto anche
concesso gratuità nello stile di vita: sono i privilegi che la
famiglia mi ha concesso.
238. Mi fa bene considerare che la fortuna consista
nell’essere nato in un Paese senza guerre, avere salute,
valori, passioni, buona volontà. Mi è indifferente sapere
che vi sia ipocrisia, falsità o finta modestia in questa
considerazione: bado che funzionino nel momento in cui
devono servirmi. Ci sono considerazioni migliori esenti da
questi possibili giudizi?
239. Ho il privilegio e la fortuna d’essere nato sano, in
un paese in pace e da famiglia educata e benestante.
Come risolvere il problema che non tutti partono così
avvantaggiati? Molti ci stanno provando giustamente
nonostante che su cento privilegiati e cento svantaggiati
la percentuale d’allegria, intelligenza, serenità d’animo e
vitalità è la stessa.
240. È evidente che se avessi delle condotte che generano
preoccupazione a qualcuno o recano danno andrebbero
rimosse; ma detta questa ovvietà io non credo di dover
cambiare i miei atteggiamenti verso una loro maggiore
ragionevolezza, devo semmai trovare gli equilibri tra e
nei miei comportamenti. Fatti salvi gli altri, devo anche
salvare me stesso.
241. Una persona che desidera godere nella vita non può
che arrivare alla conclusione che il suo proposito potrà
essere raggiunto solo con dei limiti. Ma non appena si
accosta il termine piacere a temperanza subito si grida alla
repressione: questo è il tormentone che purtroppo da un
secolo convince e che genera solo danni.
242. Preferisco ascoltare tanti medici con opinioni
differenti e divergenti che uno solo con le sue certezze;
non mi danno fastidio omissioni, faziosità, relatività, anzi
mi aspetto l’incompletezza di qualsiasi informazione,
perché più aumentano le discordanze più è necessario
saper discernere; qua sta lo scoglio di questa stagione:
puoi vivere se usi la tua testa.
243. Sento molti scagliarsi contro il pensiero dominante
orchestrato dai poteri forti economici con informazione
controllata e politici compiacenti. A me sembra che
nessuno di questi controlli il mondo, anzi semmai li vedo
comandati, loro come noi, da altri poteri che purtroppo
sono gli stessi: le paure, le insofferenze e le avidità, spesso
dei maschietti.
244. Sostengono che siamo schiavizzati da pochi
potenti: meno male che qualcuno si sarebbe preso
l’onere di comandare il mondo (che patetica illusione)
perché io sono preso dalle mie passioni. Meglio andare
in cortiletto ad incontrare gli amici o farsi un bel giro in
bici che tormentarsi la vita facendo i piccoli grandi come
Napoleone.
245. Quando scrivo le parole bello o bellezza lo faccio a
sproposito (non mi capita di farlo solo con questi termini);
però nessuno ancora mi ha ben convinto sul senso e uso
appropriati di questi vocaboli. Poco importa…ignorando
tutto ciò continueranno ad esserci cose belle a prescindere
di noi che le vediamo o le nominiamo.
246. Di solito tra gli artigiani non c’è bisogno di
presentare un lavoro ben eseguito, ma questo silenzio
davanti ai propri manufatti è considerato come il sintomo
del vuoto di pensieri. Mi chiedo se ci sia qualcosa di più
superstizioso di credere che un manufatto possa riportare
le idee di colui che lo avrebbe concepito.
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247. Non mi sembra di augurarmi del male quando non
evito di vivere con delusioni ed insuccessi. Sono quasi
più preoccupato dei buoni esiti, dei favori, perché so che
possono intontirmi; inoltre, vedere alcuni successi di certi
propositi è stato più noioso rispetto ai paesaggi dei mitici
fiaschi. Magari potessi permettermi un’esistenza con soli
fallimenti.
248. La non attitudine al vincere mi ha portato distante
dallo sport strutturato da traguardi, allenamenti, gare,
applausi, alimentazione, e così mi sono tolto da ciò che mi
sembra ormai una carriera più che altro. Non seguendo
questo andazzo i risultati che ho ottenuto sono stati
fantozziani con il vantaggio, riguardandomi, d’essermi
fatto qualche risata.
249. Non ho il diritto ma il dovere d’essere contento e visto
che pochi me la regalavano la felicità l’ho dovuta sgrassare
con la soda caustica per disgorgarla dalle teorie che
ingorgano il cervello. Il passo in avanti in questo compito è
stato quando mi hanno spiegato, e ringrazio, che la felicità
è un parolone.
250. Non fotografo i bei momenti perché presagisco che
vedrò solo una brutta bugia; preferisco vedere le immagini
degli altri, mi sembrano più reali. Ma mi sto sbagliando,
perché non esistono gli originali e le copie, le vite vissute e
quelle perdute; tutto sta nel presente, verrebbe da dire, o
anche questa è una preclusione.
251. Sto leggendo che un animale più è specializzato
più rischia l’estinzione perché è meno adattabile ai
cambiamenti. Forse è il motivo per cui le nostre vite si
ammalano al primo starnuto. Però in questa epoca la
specializzazione dei singoli non sembrano portare danno
all’insieme. Ci perfezioniamo singolarmente per non
specializzare la specie; bella prospettiva!
252. Ascoltando i vecchi mi sembra che per loro fosse più
facile vivere: la vita scorreva via facile anche se era difficile
poterla vivere bene. Ora l’esistenza si è fatta macchinosa
anche se è più fattibile poter trascorrere bene molti
momenti. Sembra che abbiamo rotto un vaso di vetro per
ottenere tanti frammenti di cristallo.
253. Sto con l’idea che, così come cambio nazione,
posso cambiare comportamento; suppongo siano state
le tante carezze ricevute ad avermi tolto le paure dei
cambiamenti. Adesso però arriva il difficile: far vivere le
parti e i caratteri differenti che nel frattempo ho stimolato
e che richiedono più spazio; ora, più che altro, servirebbe
mediare.
254. Oggi insegnano che per agire si deve essere flessibili,
saper lasciar fare agli altri sfruttandone i risultati,
l’importante è ragionare, osservare, ascoltare; a me
insegnarono il contrario: essere determinati, desiderosi
d’azione propria, non di riflessione; constato che entrambi
abbiamo combinato guai, speriamo che chi verrà domani
adoperi un metodo che non lasci troppe schifezze.
255. Meglio non schernire l’ingenuità degli altri perché
si finisce per esserlo noi stessi, dato che di questi tempi
quelli che sembrano ingenui a volte recitano e non lo
sono affatto. Ma io credo che anche quando apprezziamo
l’ingenuo ci mettiamo dalla parte di chi pensa di non
esserlo e questa è un grande ingenuità.
256. Ogni frase che scrivo è un’inutile scempiaggine,
eppure in qualche momento mi è servita a vivere. Non
sono tempi per pensare grandi genialate; il problema
non è salire nella classifica dei pensatori, pur pensando
qualcosa di utile per gli altri; mezzi se ne hanno fin troppi
oramai: è semmai urgente saper distinguere quelli buoni.
257. Ogni vestito che indosso è legato a una persona
perché mi sono spesso messo i capi che gli altri mi
passavano, avendo comprato molto poco, eccetto
che scarpe, calze, cappelli… e ovviamente mutande.
Faccio quello che vedevo fare dagli immigrati albanesi,
marocchini, quando ero in Italia: erano pratici e non
badavano a questi vizi.
258. A volte ho giocato con qualcuno immaginario; lo
faccio perché non me lo vietano. Appartengo a quella
categoria psicologica che tende a praticare le possibilità
che si aprono nella mente anticipando e gestendo poi le
inevitabili conseguenze dell’uscire dal senso comune;
giocare da solo in compagnia mi ha permesso di
spassarmela anche quando lavoravo.
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259. Purtroppo le iniziative per le quali ho combattuto
erano anche le più sbagliate; adesso appena avverto che
sto usando molte energie per un progetto, intuisco che
tanto ardore serve per sostenere ciò che non si regge da
solo; quindi ora prima valuto se la strada è in discesa e
solo dopo inizio a pedalare.
260. Ciò che mi piace della scultura intesa
tradizionalmente è il suo essere tra le arti quella più
limitata ad esprimere l’illimitato e la più reticente a
farsi carico della complessità a cui sembra essere giunto
lo spirito. Mi piace quando un oggetto si oppone alle
intelligenze e sta in piedi con le sue debolezze.
261. Ho potuto conoscere i nostri Down ed ho capito che
sono degli angeli in quanto hanno la testa e il cuore sulle
nuvole. Dopo di loro ci siamo noi, i normaloidi pieni di
boria, di inutile intelligenza, spesso strafottenti anche
quando siamo umili perché vuoi o non vuoi ci sentiamo di
una razza superiore.
262. Se ritengo di vivere in Occidente allora è come se
vivessi dentro ad un sottomarino: un coacervo di tecnica,
dove ogni spazio, ogni centimetro è riempito di macchine,
aggeggi che hanno una funzione. Per viverci e non
lavorarci solo, l’unica sarebbe studiare. Oppure anche
vivere fregandosene e non imbarcarsi in questi cunicoli di
ipotesi.
263. Dopo essermi studiato le varie teorie sulla libertà e
sul libero arbitrio sono arrivato alla penosa conclusione
che se una nuova tesi mi dovesse convincere essa non
potrebbe determinare grossi cambiamenti sul mio modo di
prendere decisioni: sui temi importanti sono grandicello
per permettermi di lasciare i miei preconcetti. Ormai
lavoro solo di restyling.
264. Poiché mi capitava che ciò che mi appagava poteva
svanire se disapprovato o giudicato male da qualcun
altro, mi sono impratichito ad alzare polveroni con un
po’ di dialettica e retorica per mascherare e celare i miei
sogni e sensibilità. Queste pratiche, essendosi sviluppate
pretestuosamente, mi si sono rivoltate contro, riuscendo
ad autoconvincermi, rimbambendomi.
265. Ai giovani viene spiegata l’umanità dicendo che nella
storia ci sono delle personalità che creano avvenimenti
rilevanti, che sono l’espressione di idee, sentimenti,
ideali o delle circostanze loro e dei contesti che le hanno
permesse. Ossia una sequela impressionante di luoghi
comuni logori, che però stanno lì perché non c’è alcun
candidato altrettanto convincente.
266. Non potrei intraprendere certi lavori, ad esempio
il pilota, il giudice, il broker o il politico dove bisogna
prendere decisioni con la rapidità dettata da una
strumentazione, da un regolamento o da un sistema. Non
riesco a pensare bene se sono costretto dalla situazione e
demanderei volentieri queste decisioni alle macchine che
fanno meglio.
267. Stando attento a ciò che mi può servire, osservo che
la scienza è ottima a fornire tanti mezzi, strumenti ed
analisi ma meno a darmi consigli. Frasi sentite al bar come
“donne e buoi dei paesi tuoi” possono salvarmi la vita
come un defibrillatore; non devo capire la fonte dell’aiuto
ma la sua efficacia.
268. Quello che più mi atterrisce della creatività non sono
tanto le realizzazioni che a volte possono anche sembrare
interessanti, ma ricordarmi le vite delle persone che
settimanalmente continuano a partorire opere su opere,
applaudite o dimenticate, perché devono essere fantasiosi,
ingegnosi e mai smetterlo; ho lavorato con muratori con
vite e professioni più libere.
269. Non c’è grande differenza tra avere un trapano
e studiare bene. Ferramenta e biblioteca aiutano
l’emancipazione perché mi agevolano ad alimentare tanti
interessi differenti. È facile constatare come ciò che è
liberatorio nella mia vita è stato economico e facilmente
disponibile, mentre la maggioranza degli uomini si
affatica ad intasarsi di inutilità e complicatezze.
270. Con le numerose generazioni dei popoli che hanno
abitato la Terra si potrebbero avere le idee chiare su cosa
evitare per non rovinarsi la vita. Eppure la gente si ostina
ad inseguire, a cercare la felicità quando basterebbe,
ascoltando il passato e l’amor proprio, non fare azioni
autolesionistiche. Non so perché evitiamo la semplicità.
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271. Quando osservo degli atteggiamenti goffi li
percepisco quasi derivati da una estraneità al mondo,
mentre la disinvoltura, la spigliatezza possono sembrarmi
un adeguamento alle forme di una società che ci vuole
brillanti e pronti. Adoro i disabili perché il loro essere
imbranati per me è un segno di grandezza e di sublime,
divino, menefreghismo.
272. La mia morte è stata più volte procrastinata dalla
scienza medica: che dovrei fare? Starmene ad incensare
la scienza o la vita sempre e comunque? Se qualcuno mi fa
un regalo il mio dovere è apprezzare il gesto godendomelo,
non inchinandomi davanti al dono o al donante.
Altrimenti non si chiama regalo, ma debito.
273. Di fronte alle meraviglie e ai miracoli delle scienze
qualsiasi arte produce opere da vecchia rincretinita.
Questo avviene perché le arti accettano di competere
sul terreno delle scienze. Eppure basterebbe far poco e
meglio senza voler creare, inventare o scoprire; ma questo
metodo non eccita, non incuriosisce, non risolve, non
sfama una società avida.
274. I brutti ricordi che non posso e neppure vorrei
dimenticare, cerco di inquadrarli, senza distorcerli, in
una storia inventata più complessa, in modo che la loro
negatività, avvolta da un contesto di significati più ampio,
si alleggerisca. Il tormento del rievocare, ovviamente
rimane, ma impattando in una maggiore complessità di
spiegazioni ha effetti attutiti.
275. Sembra che ci siano persone avanzate o arretrate
tecnologicamente. Ma l’uomo è nient’altro che un
crogiuolo di tante tecniche, quindi è stupido fare la
classifica di chi è più o meno tecnologico. Siamo esseri
tecnici, allora è meglio che impariamo dai libretti delle
istruzioni piuttosto che credere di poter fare a meno della
tecnica.
276. Quando pretendo risolvere un problema velocemente
divento pragmatico sapendo in partenza che in realtà non
lo risolverò a fondo; quando desidero risolverlo alla radice
mi faccio consigliare bene dal silenzio e dal sonno: non
agisco subito, ma chiedo opinioni con pazienza e buona
volontà. Se voglio non risolvere un problema inizio a
parlare molto.
277. Da giovane non ho perso le giornate a dimostrarmi
indipendente da casa lasciandomi crescere i capelli o
sbattendo la porta della cucina; le forme di emancipazione
dell’adolescenza le vedevo come faticose ed inutili
perdite di tempo; l’assenza di un padre e un forte amor
proprio m’hanno permesso d’essere stato serio su ciò che
preferivo.
278. Alcuni libri mi hanno insegnato a questionare le
evidenze, a crederci senza darle per scontate, o per
transitare a successive superstizioni (si spera almeno,
se non migliori, almeno più intonati). Stesso discorso
vale per i tanti miei utensili: mi hanno aiutato a riparare,
migliorare da me i giochi, le passioni mie e degli amici.
279. Sento le discussioni artistiche vane perché troppo
spesso prendono per evidenti concetti per nulla scontati.
Chi l’ha detto che l’uomo, ancor peggio un individuo, ha la
possibilità di creare qualcosa o che un’opera debba essere
vista e quindi esposta (da chi?) perché è bene osservarla?
Nel passato ad esempio queste idee non venivano credute.
280. Sto vivendo un’epoca esclusiva che infatti sforna
stimoli d’ogni tipo; a causa di questa assordante
produzione noi omuncoli ci distogliamo da quelle poche
facili formulette che garantirebbero una vita comune
quanto meno allegra. Credo ci voglia poco per migliorare il
mondo quindi non capisco se siamo masochisti o sordi per
non abbassare il volume.
281. Quando ricordo i veneti avverto un sentimento
di normale affetto; ma se poi li rivedo alla televisione
riascoltando il mio dialetto, osservando la mimica di quelle
facce provo l’orgoglio per un popolo nato bifolco, avido di
diffidenza e di proprietà private, negato per la concitata
apparizione televisiva, detentore di una dannata saggezza
solo lavorativa.
282. Mi stimo non utile, sia alla generazione passata che
a quella che verrà, e quindi sicuramente ho deluso e non
servirò alle persone. Ma ho imparato presto a sopportare
le facce indifferenti o scontente di chi si aspettava
qualcos’altro da quello che facevo. Vivere e morire per se
stessi è il rimproverato lusso dell’infruttuosità.
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283. I miei sostentamenti non li ho eretti sulla libertà.
Allora perché la invoco tanto, questo termine che ha mille
definizioni? Per sfuggire almeno in parte dalla becere
pigrizie che divorano gli spazi del cervello e in pochissimo
fanno perdere l’appetito nelle azioni. È uno stratagemma
illusionistico, ma va preso seriamente perché altrimenti
non funziona.
284. Quando cammino, come venti minuti fa, sulla polvere
morbida e rossa e lave taglienti di ex vulcani ridotti a
dune secche, in questo posto atlantico e marziano che
mi ospita, a volte mi appare un’immagine d’armonia; per
incontrare queste prospettive devo ripassare per dei posti
e lì, voltandomi, emerge un paesaggio fine ed equilibrato.
285. Mi sento imbarazzato quando qualcuno viene a
trovarmi nell’ultima casa che ho preso in affitto, di solito
spoglia e non accogliente. Non capisco che ci stiamo a fare
dentro ad una scatola intonacata se non per mangiare,
lavarci e riposarci; poi passa il tempo, si muore e si sono
fatte solo queste tre cose.
286. Per cambiare l’Italia si dovrebbero rimpiazzare gli
italiani. Forse allora ho capito perché alcuni idioti ce
l’hanno a morte con gli immigrati, perché immaginandosi
licenziati sanno che il Paese cambierà in meglio proprio
grazie alla gente venuta da fuori, e non perché saprà
amare meglio quella penisola, ma perché ameranno di più
loro stessi.
287. Sono consapevole che qualsiasi iniziativa che
vorrei intraprendere è vana ed inutile e quindi non mi
sbalordisco dei drogati e degli annoiati; purtroppo però mi
fa orrore stare male, allora per non soffrire decido che mi
devo inventare qualcosa che mi impegni; occupandomi mi
passano queste stupide voci e riesco a trovare dei valori.
288. Osservo volentieri gli uomini che hanno figli;
ascoltando le loro motivazioni a volte mi avverto anomalo,
altre graziato, mai sfortunato. Pochi decenni fa si
sfornava prole e andava come andava e queste riflessioni
erano astrusità; a vederla da quel passato la società e io
sembriamo asfittici, ma anch’io penso lo stesso delle loro
facilonerie.
289. Ho visto alcuni uomini che per amore hanno
commesso le peggiori nefandezze o hanno rovinato la
propria esistenza e quella degli altri. Quando voglio bene
a qualcuno cerco di lasciarlo stare, senza appesantirlo con
i miei sentimenti; lo sento, lo vedo volentieri spronandolo
perché innanzitutto stia bene con se stesso e si sappia
arrangiare.
290. L’insicurezza nel genere umano è a tal punto radicata
ed atavica che, specialmente noi maschietti, fin da piccoli
e per il resto della vita non facciamo altro che circondarci
di mezzi, aggeggi, simboli, per sentirci accettati da un
gruppo. Molti hanno criticato questa tendenza al gregge,
ma il suo contrario sembra ancora più omologante.
291. Nella parte della testa dove preparo le valigie per
gli anni a venire la voce “incertezza” richiama sinonimi
contrari come “padronanza” o “gestione”, mentre
“certezza” si riallaccia ad “abnegazione” ed “esitazione”.
Credo d’essermi appiattito alle storielline di moda, così
che ti credi contento se giri come una trottola credendo
che la fai ruotare tu.
292. Per me ogni azione si trasforma in una prigione se
fatta per lungo tempo. Anche una affascinante attività,
la più sentita libertà o passione; non c’è occupazione
per me che valga la pena essere vissuta per gran tempo.
L’aver visto mio padre come un sasso dopo morto mi ha
insegnato che è meglio muoversi.
293. Le azioni spesso ripetute hanno in me un effetto
soporifero sull’attenzione e le consuetudini tendono a
rendermi disattento; da ciò capisco che ci sono alcuni
aspetti dell’esistenza che l’abitudine mi rende scontati, ma
che indubbi non sono. Questo atteggiamento da zapping
è una frenesia più fastidiosa del tedio e dà più danni che
vita.
294. Non è un problema per me vivere di miraggi, il
mio scopo non è entrare, stare nella realtà, perché
qualsiasi ente è e sta nel reale. Il mio obiettivo è riuscire
a sostenere l’equilibrato ossimoro delle illusioni pratiche,
dosando consistenza e sogni, evitando di procurarmi
botte scivolando nelle allucinazioni o anchilosandomi nei
congelati realismi.
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295. Mi è capitato raramente di dialogare argomentando,
la più comune tra le conversazioni è il monologo e di
solito non si ascoltano ragionamenti ma si confrontano le
personalità e i caratteri. La scena dove due uomini parlano
procedendo dialetticamente nelle deduzioni ricorda il
teatro dell’assurdo. Il parlarsi è anche il credere di non
fraintendersi.
296. Le merci sembrano animali in cattività tanto sono
pressate da mille luoghi comuni banali che vanno dal
dover essere create e poi osservate, pubblicate, esposte,
valutate, vendute, eccetera. Provo pietà per loro e penso
alle loro sorelle orfane, le cose qualsiasi sparse per il
mondo che se ne stanno belle libere dai piedistalli umani.
297. Siccome credo che i delitti commessi sono
involontari, fosse per me le carceri andrebbero
svuotate; ma purtroppo riempite un secondo dopo
perché l’involontarietà deve valere anche per gli stupidi
repressori. Con il mordersi la coda delle assurdità l’uomo
riesce a migliorarsi di un millimetro ogni secolo, e quindi
qualche metro lo abbiamo già fatto.
298. Contale una ad una le azioni, sia gesti che parole,
che fai durante i minuti del giorno e ti renderai conto
che come te anche il peggiore dei criminali per campare
deve muoversi, comportarsi benevolmente tra le cose e le
persone nella stragrande maggioranza delle volte. Ciò ti
renderà ancora più detestabile il male.
299. Non mi reputo tollerante se sono clemente o
permissivo, la tolleranza non è per me accettazione o
flessibilità: è semmai il poter rimanere assalito, saper
restare infastidito, intransigente senza risolvere questi
sentimenti sia nella direzione della bontà che della
cattiveria. Sono tollerante quando tutta la conflittualità
rimane attiva e perdura solo dentro me stesso.
300. Presto mi accorsi che nessuna faccenda mi avrebbe di
per sé nobilitato ma anche che non avrei raggiunto alcuna
soddisfazione senza il duro impegno. Quindi per me
applicarmi non è comunque prioritario perché è utile solo
in seconda battuta dopo che si è già attivato uno spirito
consapevole di sani obiettivi, sennò meglio oziare.
301. Che differenza c’è tra me e questo pollo sulla tavola?
Sia che accetti le distinzioni ad oggi prevalenti sia che le
abiuri, in ogni caso incorro in gravi difficoltà nei pensieri
e nelle condotte. Ma senza fanatismi, con una dose di
ipocrisia posso mangiarmelo e così con questa scioltezza ci
ammazziamo tra di noi.
302. Avendo riscontrato che molte delle persone più illuse
che avevo incontrato si credevano e si vantavano d’essere
dei praticoni, capii che per me la formula sarebbe stata
vivere consapevolmente di inganni, di immagini, usando
la pragmaticità per poter mantenere vive le mie fole e la
prudenza per misurare quanti sforzi per raggiungere ogni
miraggio.
303. A me sembra di non aver vissuto un’esperienza se non
me la racconto a modo mio. Secondo gli altri aumento,
aggiungo, ometto; secondo me rivedo per poter rivivere
quei momenti usando i “fatti” solo come pretesti per
cucirmi da me le mie giornate: questo comune trucco può
essere rischioso e lo prendo con accortezza.
304. Anche un occhio poco preparato può notare che oggi
nell’ambito artistico la raffigurazione del corpo umano è
eseguita o con distorsioni stilistiche per inseguirne una
supposta interiorità o da tecniche moderne come cinema
o fotografia per riprodurne l’esteriorità. Ci consideriamo
troppo complessi e importanti per accontentarci d’essere
raffigurati dalla mano di un comune artigiano.
305. Viaggiando ottengo mediocri benefici; lo spostarmi
non mi “apre la mente”, anzi: la accarezza con curiosità
prestampate, convalida apparenti aperture, cambiamenti,
osservazioni con l’illusoria prova d’aver visto, verificato
tutto sul posto. Il prendere aerei è stato utile solo per
togliermi dei probabili futuri rimpianti, ecco qua. Ha
senso cambiare di Paese, non il viaggiare.
306. Forse perché mi sento più preda che cacciatore,
a me il termine “rete” incute un po’ angoscia. È una
trappola sproporzionata: un predatore, infiniti predati.
Se dovessi usarla non la vedo facile da utilizzare se non
per i pescatori. L’oggetto in sé è oscuro nella sua perfidia,
amorfo finché non viene calato a mare.
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307. Gli oggetti brutti mi sono meno antipatici di un
tempo; ora li divido in quelli che vengono ostentati e quelli
che rimangono in casa. I secondi mi risultano simpatici,
i primi mi fanno provare tristezza per le persone che li
espongono e che li guardano con ammirazione. Che ci
posso fare, sono un retrivo.
308. L’Unione Europea se fallirà sarà perché qualche
presuntuoso facilone pensò di fondarla sui contratti, i
commerci, le norme, fatti molto concreti e non su delle
idee campate in aria come sarebbero l’amicizia, la fiducia,
il capirsi. Hanno fatto i praticoni come quelli che pensano
di conquistare le donne con il macchinone ed il villone.
309. Non c’è spazzatura che una intelligenza non possa
trasformare in sublime lezione e pensiero. Ma così facendo
il linguaggio si è fatto come la farina bianca: troppo
processato e colto per essere ben tollerato dagli umori
della pancia. La soluzione starebbe in opere e parole umili,
ma manca la voglia di lavorare la terra.
310. Non mi dispiace vivere in un mondo fatto di voci
anche se le parole non sono leggere come sembra perché
escono ed entrano da corpi. Sembrerebbe meno faticoso
parlare o ascoltare che zappare la terra, ma non è così;
forse per questo adoro i lavori manuali dove c’è silenzio e
tutto è più semplice.
311. Se ascoltando una persona intelligente scorgo il suo
corpo depresso valuto che non possa essermi da buon
esempio nonostante i suoi utili argomenti, perché ho
bisogno che la salute e la mente suonino all’unisono senza
particolari eccellenze dall’una o dall’altra parte. Preferisco
imparare come vivere da un equilibrato taratello che da un
genio scomposto.
312. Quando da piccolo amavo e studiavo con passione gli
animali ricordo che non osservavo tanto le creature simili
a noi per capire il valore della loro e della mia vita; cercavo
invece nelle formiche o nelle zanzare le risposte alle mie
domande. Sicché sin da piccolo capii che la morte è un
evento facile.
313. Mi dicono che l’arte sia iniziata in qualche caverna
per passare poi nei templi, chiese, quindi palazzi, musei,
recentemente gallerie, case private ed infine ovunque.
Ma questa panoramica è viziata dalla superstizione di
interpretare come arte certi oggetti del passato secondo
i criteri odierni. È il solito atteggiamento sfacciato di
un’epoca piena di sé.
314. Il teatro e il cinema per me sono opposti per il potere
e i luoghi che evocano. Il teatro posso averlo ovunque, la
mia cucina ma anche il metro quadrato che contiene una
persona possono essere il palco che presenta una scena. Il
film invece mira all’infinito, ottimo per far sognare e non
dubitare.
315. Un sentimento che onoro per la sua semplicità
irriducibile è la vergogna. Nonostante i miei allenamenti è
difficile rimanere nel suo disagio; è consuetudine rovinare
questo affetto imparando a non imbarazzarsi di provarlo,
ma se vi si intromettono astuzie, infatti, il suo morso si
squaglia. La vergogna è l’evidenza d’essere sopraffatti,
persi nella vita.
316. La vergogna credo sia uno dei pochi sentimenti
originari dell’uomo osservando quanta varietà di elementi
si dipanano e si configurano quando si presenta. A partire
dalle sue ricadute si decide chi siamo in quel momento:
buoni, cattivi, ingenui, furbi eccetera. È disarmante
vedere come la biologia scaturisca dalla chimica e la
chimica dalla fisica.
317. Le recenti preoccupazioni per le intelligenze artificiali
mi sembrano assurde. Mi chiedo cosa ci sia nella mia
mente che sia naturale, una volta che ci siamo ficcati
nella zucca la differenza tra natura e cultura. Chissà che
stravaganti prove psicologiche dovranno sopportare
queste poverine macchine per dirsi o dirci d’essere o non
essere umane.
318. Se ci fosse una evidenza, una prova, anche solo
un accordo, sulla logicità della vita, non avrei dubbi
nell’usare le mie forze per sabotare questo valore dato
che lo considererei un limite al potermi costruire valori
provvisori. Mi piace procedere nel quotidiano seguendo, di
volta in volta, quello che immagino sia o faccia meglio.
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319. Se vaglio ed enumero le forme e i mezzi con cui posso
esprimermi e relazionarmi, dalla voce alla scrittura
alle arti dinamiche e non, c’è solo un linguaggio che mi
appare – per quanto visto come limitato e difficile da
interpretare – poter essere leggibile nelle varie epoche
storiche ed è quello delle espressioni del corpo.
320. Ho la cattolica sensazione che ricevere lodi possa
essere depauperante perché essendo appagante smorza
i desideri, fonte unica d’ogni azione; questo è un
esempio di retorica masochista, che dà adito a solitarie
tragedie e piacevoli martiri. È presente in me, non va
sprecata, posso anche adottarla in calcolate dosi utili per
autoimmunizzarmi dalle recidive.
321. Meglio se interrompo gli impegni o le passioni quando
arrivano soddisfazioni maggiori di quel che speravo;
non è per evitare dei piaceri, tutt’altro: ho imparato che
le gratificazioni in alti dosaggi sono alcoliche così che,
attratto dalle lusinghe, tendo a proseguire perdendo di
vista la moderazione e ricevendo, alla fine, più danni che
benefici.
322. Ogni affermazione che ascolto mi fa pensare al suo
opposto o alle sue possibili aporie o contraddizioni; lo
faccio anche e soprattutto con i miei pensieri e sono ormai
affezionato al fastidio e alla noia che mi danno quando li
rileggo. Sono disagi sinceri che ritengo si nutrano della
delusione per qualsiasi presunta constatazione.
323. Si dice che il mondo attuale è complesso perché
la tecnologia favorendo molte funzioni particolari,
ha complicato la vita nel suo insieme. Io credo invece
che le società nel passato non erano più semplici o più
complesse: erano come le vivevano allora e se oggi
vivessimo più felicemente, questa ipotizzata complessità
ci apparirebbe semplice.
324. Non è vero che il mondo è complesso e che la vita
è difficile di conseguenza. La vita è difficile se viviamo
scontenti e perciò vediamo un mondo complicato, ma un
pezzo di pane è complicato quanto un microchip e forse
per un ingegnere felice è più facile fare il secondo che il
primo.
325. Sono consapevole che osservando un qualsiasi ente
sia inevitabile che innanzitutto risuonino in me le voci
che sono circolate nella mia mente legate a quell’oggetto
e che gli occhi seguano queste tracce; mentre per la
contemplazione mi illudo che l’oggetto rifiuti tanto
baccano e sento come se lui irraggiasse le immagini che lo
descrivono.
326. I pregiudizi degli europei: quando apprezziamo gli
altri lo facciamo rispetto ai nostri parametri. Abbiamo
impiegato secoli per portare i nostri valori in cielo, tanto
che adesso per tirarli in basso sembra che debba cascare
il mondo: come tutti le altre stirpi di oggi e ieri. Eppure la
vita procedeva prima anche senza popoli.
327. Il mio desiderio di cambiare attività e il non riuscire
a stare fermo in un luogo più di qualche ora è una
compulsione; preferisco però ancora sfruttare questa mia
inclinazione fino a che non mi arreca troppi danni: questo
difetto della mia personalità sta dando frutti, aspetto di
coglierli tutti e poi poterò l’albero.
328. È da quando sono bambino che ad ogni avvenimento
sento pronunciare l’aggettivo “nuovo”: una nuova
scoperta, una nuova musica, una nuova era, eccetera.
Questo continuo assillo ormai lo percepisco più come un
obbligo che come una liberazione dal passato. Le cose
sono cose, vecchie o nuove, che cambia? L’importante è
che oggi, adesso, esistano.
329. Ho la sensazione che solo da poco tempo l’essere
umano usi la ragione per risolvere le difficoltà. Questo
lo ricavo dalla osservazione che quanto più i problemi si
fanno seri tanto più questa funzione del cervello lavora
peggio. Forse in passato avevamo problemi che non
potevano essere risolti con la ragione ma con altro.
330. Perché i preconcetti sono così empatici? Perché la
loro infondatezza non li porta alla rapida estinzione?
Forse se fossero così dannosi come ci sembrano sarebbero
già morti o forse sono una dannosa piccolezza, utile però
all’equilibrio della vita della conoscenza: vivendo in osmosi
con altri saperi non sono e non possono essere tanto
nocivi.
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331. Ascolto volentieri con ironia e relatività qualsiasi
discorso a meno che non venga proferito da un giudice,
da un medico, da una forza dell’ordine, dalla mia
banca. Dentro questi uffici si svolgono mansioni non
interpretabili dai congegni della mia mente. Non c’è
differenza tra luoghi, c’è la possibilità che generino o
allevino le sofferenze.
332. Non ho provato un piacere duraturo per qualcosa
che non riconoscevo o già non mi apparteneva in qualche
sua parte; spero quindi che diversificandomi aumentino
anche le possibilità che possano arrivare le soddisfazioni.
Essere un animale altamente specializzato nel piacere a
me non arreca frutti, meglio che mi diversifichi per essere
preparato alle eventualità.
333. Considero che la fama mi arrecherebbe disgrazie
perché sarei incapace di gestire i suoi effetti allucinatori;
il desiderio di diventare famoso però è un potente
moltiplicatore di forze e di illusioni che sarebbe bene
considerare. Credo che la soluzione stia nel rimanere con
la speranza di un riconoscimento, ma facendo sì che non
arrivi.
334. Quando ho idee poco chiare su di un valore o un
comportamento mi rivolgo a osservare i corpi: se constato
che il corpo soffre, è triste e si incupisce capisco che
sono di fronte ad un disvalore. Tengo in considerazione
l’aspetto del corpo, singolo e sociale, perché lo posso
osservare e mi parla chiaramente.
335. Osservando il corpo dei dotti appare evidente che
sono viziati da un eccesso di lettura. Chissà se la sapienza
smetterà di essere trasmessa, imparata solo dalla scrittura
e si metterà a fare esercizi. Non posso non osservare quelle
schiene ricurve, quei colli bloccati e chiedermi: ma non si
guardano? È tanto mediocre, inutile chiederselo?
336. La mia prima impressione riguardo alle persone è
spesso sbagliata: raramente c’azzecco e non capisco il
perché. Le persone che da subito intendono
gli altri sinceramente mi spaventano e mi chiedo come
fanno e soprattutto… per l’altro che incontro è meglio
conoscerlo, crederlo di conoscerlo o lasciare dei sani dubbi
tra me e lui?
337. Lavorando come aiutante imbianchino per anni con
un signore che fu assassino e pappone e mi sono reso conto
che i giudizi sulle persone non hanno nessuna valenza.
Solo quando subisco dei danni diretti e inequivocabili mi
sento giustificato a giudicare e, nonostante ciò, avverto
che sto usando la parte più chiusa di me.
338. Constatando che cambiando le regole di uno sport
cambiano i vincitori, capii che vincere era facile: bastava
inventarsi dei giochi adatti alle mie bravure; quindi
prima era fondamentale conoscermi, poi avere un po’ di
creatività e alla fine sembrare convinto del risultato per
persuadere gli altri. Con questi ragionamenti è avanzato il
mondo vittorioso.
339. Nelle discussioni a volte faccio l’avvocato del diavolo
difendendo idee di cui non sono convinto. Lo faccio
con passione, credendo in quello che vado dicendo. Mi
sembra corretto questo comportamento e non lo trovo né
polemico né retorico. Seguo le procedure, i ruoli delle parti
come nei tribunali, perché così si ottiene più giustizia.
340. Uno stile di vita anomalo, stravagante o
anticonformista ha un notevole dispendio di energie
per mantenere, difendere la sua diversità; la mia libertà
(termine fantasma) la penso indisturbata dentro il
conformismo: mi impegno in questa direzione con
responsabilità e buona falsità con me stesso. Che dovrei
fare? Seguire i miei proclami? Sarebbe frenante, eccessivo.
341. Vivo felicemente in una pseudounione di Stati
che ha: giornali, libri di storia e lingua non in comune;
capitali, tribunali, parlamento, polizia ed esercito solo
regionali; senza costituzione, inno e squadra nazionale. Si
condividono normative commerciali e la moneta. Un luogo
perfetto per sognare utopie, uno Stato o un luogo che
ancora non esistono.
342. Quando a scuola andavo male non copiavo, e non per
onestà o orgoglio, ma perché quella era la via più veloce
per uscire da quel supplizio. Ho continuato poi a non
posticipare le sconfitte per poter lasciar spazio ad altro.
Sono l’uomo più pigro al mondo eccetto che sul togliermi
patimenti e procurami soddisfazioni.
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343. Qualsiasi iniziativa viene da una vita,
indifferentemente che desideri esprimerla. Molti creando
vogliono dar voce alla propria individualità firmandosi ed
intanto appare questa volontà più che la loro personalità.
Questo impegno è amabile perché manifesta una certa
generosità ma tende a ripercorrere le forme comuni delle
espressioni perché crede che qualcuno stia ad ascoltare.
344. Un pensiero che mi porta presto o tardi ad un
malessere non è valso la pena produrlo. Credo di pensare
correttamente se uso bene il mio corpo, non quando
genero chissà che idea. Scrivo queste frasi non perché
siano belle o giuste, ma perché camminerò o nuoterò o mi
comporterò meglio dopo di loro.
345. C’è una contraddizione che non posso risolvere
dovuta al contemporaneo amare ogni carattere del
prossimo e detestare quei comportamenti che implicano
la sofferenza ad altri. Questo dilemma genera in me
comportamenti e giudizi equivoci, ambigui, e rimango
in questa palude perché valuto che è il prezzo che devo
pagare per osservare la mia specie.
346. Che fanno tutte le creature se non sostenere
la propria esistenza? Non è forse questo genere di
sentimento il più naturale? Se un singolo quotidianamente
sente la vita più pesante di quello che riesce a sollevare
è abbastanza presuntuoso richiamarlo alla forza della
volontà o indicargli esempi di riscatto. Non sarebbe meglio
lasciarlo stare?
347. Vivo in una società che pensa alla massima
prestazione che può dare un materiale conduttore e
ogni rotellina d’ingranaggio e contemporaneamente
considera ampie parti della popolazione come dei cessi da
nascondere. Non è colpa di nessuno, sono solo almeno tre
culture differenti che convivono mangiandosi tra di loro
dentro il cervello di ogni isolato.
348. Molti ambiscono a fare delle loro passioni una
professione, ma lavorare significa campare in un ambito
che ha le sue regole, ruoli, eccetera; piuttosto che
rendere quotidiano un amore mi sembra più liberatorio
lavoricchiare per meno tempo possibile, con lavori casuali
e poi andare a fare quello che capita in mare o in terra.
349. Credo che le cose attorno a me siano variegate e
che questa varietà contenga anche chi la rinnega. In una
visione del genere, molto mi pare lecito (eccetto generare
sofferenza), compreso il dare e il darsi limiti a cui sono
affezionato vivendo in una stagione di eccessi. Limitarsi è
benefico, se genera delle opportunità.
350. Sono poche le persone che mentre parlano fanno
attenzione al loro stesso parlare, al loro tono di voce, ai
gesti, ai termini o espressioni che adoperano. Sembra
che capiti lo stesso anche a certe forme di conoscenza che
mentre cercano di spiegare i fatti del mondo non riflettono
sul modo con cui lo fanno.
351. Fare opere figurative di questi tempi è uno spreco di
tempo, segno di limite, di chiusura, di pochezza, quasi
una viltà. Ma c’è qualcosa che può essere non uno spreco
di tempo, non chiuso, grandioso, senza marginalità,
coraggioso? Sì, solo illudendosi. Ma allora ci si può illudere
(molto di più) con le ingenuità figurative.
352. Conto che non riuscirei a conciliarmi bene con me
stesso e con la realtà che ho attorno se non avessi un
corpo sano e privo di continui disagi. L’attenzione che il
patimento richiede per sé medesimo supera di gran lunga
l’attrazione lieve delle contemplazioni e delle passioni.
Non ammiro chi non ha questo limite.
353. Quando ero piccolo molti mi ripetevano che prima
o poi avrei dovuto mettere giudizio. Da allora non ho
cambiato granché di importante nella mia testa, anzi:
semmai mi sono incaparbito e sinora credo mi sia andata
bene; non capisco se me lo dicevano per portare iella o
perché speravano nel “mal comune mezzo gaudio”.
354. Provo noia per me stesso quando non voglio
sottostare alle regole per il reiterato desiderio di libertà o
mosso dall’ossessione di iniziare… cosa, non lo so neppure
io. Il solito morbin in me prende questa forma, in altri
chissà. Pochi ne sono privi ma non li vediamo perché ai
nostri occhi sono come trasparenti.
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355. Se pensassi alla vita migliore possibile sceglierei
la mia senza alcuni momenti bui: questa sembrerebbe
un’affermazione patologicamente narcisistica, eppure
altro non è che l’espressione di un cristiano ossia una
persona che ha dentro di sé l’inferno, il paradiso, il
purgatorio, il giudice, il condannato e l’avvocato: un
destino segnato da sproporzioni, euforie e depressioni.
356. Tra idealismo e realismo sto dalla parte degli idealisti
nella vita, ma nella quotidianità sono il più becero dei
realisti. È l’apertura temporale che determina la mentalità
che adotterò nell’argomentare; più l’intervallo per pensare
è breve perché ristretto dal risolvere una necessaria
contingenza, più la mia testa si chiude ad ogni apertura e
idealità.
357. I più vasti paesaggi li ho visti leggendo la
Fenomenologia dello Spirito, mentre il luogo più angusto
che mi sia capitato di praticare sono state le carte della
burocrazia. Suppongo che queste due esperienze abbiano
determinato le mie attività, le persone che ho preferito
frequentare e i Paesi dove ho scelto di vivere lavorando.
358. Mi piace illudermi di poter percepire i fatti in modo
immediato e indeterminato, senza alcun aggettivo. È un
giochetto che dura un istante, appena si palesa che ogni
oggetto è già lì, con i suoi precostituiti immaginari ad
aspettarmi; sostengo comunque questo sogno perché è
bello pensare che l’esterno mi si apra come inedito.
359. Le persone colte spesso suppongono essere le uniche
che possono riconoscere i pregiudizi e i luoghi comuni
imperanti, eppure ascoltandoli non li vedo portare
questo loro affrancamento nella vita pratica, forse perché
armandosi di cultura ci si impregnano a tal punto che
ne rimangono imbrigliati. Ma poi questa cultura vuole
veramente liberarsi dai pregiudizi?
360. So che se seguissi i miei appetiti mangerei le
peggiori porcherie di un supermercato; l’unico modo
per nutrirmi e non avvelenarmi è comprare non ciò che
mi piace ma quello che fa del bene al mio corpo. Vorrei
sapere chi e quando m’ha diviso in due visto che la bocca
ammazzerebbe l’intestino e viceversa.
361. Storia di ragazzo cristiano moderno di provincia: alle
elementari mi dissero che Dio sapeva tutto e mi eccitava
sognare di essere come Lui; alle medie Dio mi sembrò
una disgrazia perché credeva di sapere tutto e voleva
illudermi; alle superiori altre illusioni vennero da sole e mi
fecero delirare facendomi credere d’essere un dio.
362. A volte costa fatica parlando con la gente dire la
verità, primo perché considero ambigua ogni situazione,
che non sia dolorosa, compreso lo scegliere dal menu e
poi perché è meglio se mi invento qualcosa di decente che
ripetere ovvietà. Se non ci sono urgenze riceviamo meno
vantaggi nel dire come stanno le cose.
363. Quando decido di allenare il mio corpo devo cambiare
con frequenza tipi di esercizi e di sforzi per evitare di
squilibrare alcune parti e di abituarmi troppo a certe
fatiche con il risultato di non progredire. Il cervello
sembra abbia più resilienza e maggiore resistenza: questo
purtroppo è un grande inganno della mia epoca.
364. La sensazione più netta di dire ed ascoltare solo una
valanga di pretesti è quando parlo con la donna che amo
riguardo al nostro rapporto. In questi casi è talmente
evidente che i discorsi servono solo da cortina di fumo, che
ormai parlo e ascolto per lasciare che i corpi decidano il da
farsi.
365. Credo sia meglio se imparassi a dividere i sogni in due
specie: quelli per i quali è giusto lavorare per realizzarli
e quelli per i quali è decisamente meglio svilupparli solo
al mio interno. Attenzione però: se sbaglio con i primi la
conseguenza è la frustrazione, ma se sgarro con i secondi
posso rovinarmi.
366. Non confido nelle storie che spiegano il passato;
riconosco che gli storici scrivono le loro ricostruzioni in
buona fede ma per me rimane incerto che una narrazione
possa descrivere, come se essa stessa non fosse già un
fatto che aggiungendosi modifica tutti i precedenti. Non
fidandomi mi concedo comunque anch’io al fascino della
storia.
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367. Quando parlo contro la storia sputo sul piatto dove
mangio perché è la storia che mi ha permesso di uccidere
la storia. Sono gli storici che mi aiutano a relativizzare la
mia attualità, i miei gusti, la mia mente. Fosse la storia
una farsa, una visione ridotta su basi scientifiche vale la
pena crederci.
368. Non ho letto o ascoltato una notizia giornalistica
che mi abbia aiutato a migliorare la mia vita. Nonostante
ciò leggo volentieri i giornali perché vivo un’epoca che
crede ai fatti come questioni note, evidenti, passibili di
essere riportate, descritte. Addentrarsi nella lettura dei
quotidiani è come ascoltare la messa dei nostri tempi,
dobbiamo praticarli.
369. In tempi di invadente informazione e proliferazione
visiva io non sono capace di selezionare i messaggi
a cui vengo esposto ed elaborare su di essi una mia
analisi, trovando una sintesi che si adatta alla mia
situazione. Sapendo ciò spengo gli apparecchi e rimango
disinformato, tanto vedo che alla fine so quanto gli altri.
370. Non so perché ma i luoghi dei cambiamenti storici
li immagino silenziosi; le tanto rumorose rivoluzioni e
lotte sociali non mi evocano affatto trasformazione. Ciò
che sperimento è che le azioni dirompenti esterne solo mi
distraggono e non mi cambiano, mantenendo la mente
nello stesso stadio di prima. Le rivoluzioni avvengono di
notte, dormendo.
371. Sembra che quando valuto la falsità, l’ipocrisia,
l’ambiguità e loro sinonimi come risorse del carattere
da utilizzare intelligentemente e da non poter scartare
io stia giustificando comportamenti bassi e moralmente
riprovevoli. A queste comprensibili accuse l’esperienza
mi insegna che non devo rispondere perché se si vuol
intender questo è bene che lo lasci pensare.
372. Quando sono nato sono stato accolto e aiutato per
diventare quella singola persona che sembro di essere
dandomi i mezzi per determinare la mia vita da solo,
potendo anche rifiutare lo stile di vita di chi mi stava
aiutando. Ma questa emancipazione non mi ha impedito di
rifare sostanzialmente gli errori dei miei genitori.
373. Mi diverte constatare che addizionando le età dei
presenti ad una cena si arriva facilmente ad ammontare
secoli di esistenze che non si aiutano consigliandosi.
Convivo con una umanità che somma centinaia di miliardi
di anni di vite che non riescono a fare vivere decentemente
i 90 anni di una vita di uno qualunque.
374. Da qualche secolo accade che dobbiamo imparare
quasi da zero a campare perché volendo essere individui
affrancati mettiamo in questione le tradizioni con il
risultato di doverle ricostruire molto simili non sapendone
trovare o inventare di nuove tanto differenti, così come ad
ogni nuova partita di scacchi le prime mosse sono spesso
le stesse.
375. Davanti a qualcosa che ci piace o non ci piace un
bravo critico può farci cambiare idea; e così infatti accade:
cambiamo idea, ma la sensazione rimane, anche se fosse
azzittita. Da quando nel mondo dominano i discorsi vince
chi convince; ma è una vittoria di Pirro perché perde
troppe cose dietro di sé.
376. Ho lavorato fianco a fianco anche per anni con
alcune persone e nessuna di queste sono stato capace
di convincere riguardo alcune mie idee. Osservo che il
parlare, anche se pacato e rispettoso, non avvicina molto
le visioni tra le persone; solo gli esempi e il tanto tempo
passato assieme riescono in questo miracolo.
377. Ebbi un amico con cui spesso parlavo e nonostante
ciò ci fraintendevamo, fino a quando tra noi non furono
presenti ed implicite le basi per il poterci intendere.
Da ciò capii che se volevo parlare con le persone l’unica
possibilità era ammettere d’essere equivocato e intendere
ben poco. È una buona consapevolezza da avere.
378. Sento la fortuna di vivere un tempo dove la stessa
sera sulla medesima strada posso trovare due cinema
dove vengono dati spettacoli assolutamente differenti: dal
più colto e raffinato fino al più banale e lurido. Mi chiedo
come vada nutrita questa varietà perché temo non possa
continuare come semplicemente ha fatto fino ad ora.
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379. Aveva ragione un rappresentante: quel poco che
sembra sia riuscito a fare è partito da fatalità e ha preso
direzioni inaspettate rispetto alle vaghe intenzioni iniziali;
neppure credo di aver colto le occasioni che mi capitarono,
ma mi sono spesso illuso del contrario. Non sento mie
molte delle cose che in teoria ho fatto.
380. Non credo che si possa creare alcunché se non
ragionando superstiziosamente, convincendosi che si è
liberi di fare. Se adottassi questo criterio allora definirei
come autori più volentieri i restauratori e i contraffattori:
rimangono anonimi, curano i dettagli, non si credono
autori né tantomeno creativi, convincono tacitamente,
sono raffinati, usano molta esperienza e pazienza.
381. Mi piace l’analogia delle imprese con le navi: più
sono grandi, tanto più è il loro abbrivio e la lentezza nelle
manovre. Ho scelto per me l’imbarcazione costituita
da una muta aderente e come motore ho le mie mani e
le gambe: piccole traversie, poca spinta, basse spese di
mantenimento e uno a bordo.
382. Ho conosciuto chi faceva della coerenza un valore
della vita e mi sembrava assurdamente condizionato nelle
scelte da ciò che aveva detto o pensato; ho visto anche
come gli incoerenti soffrono dovendo ininterrottamente
inseguire il vento. Meglio sarebbe lasciar scegliere agli
eventi, ma la vedo dura continuando a credere di avere
una identità definita.
383. Mi piacciono le bandiere issate; mi è costato
procurarmi i pali proporzionati alla dimensione dei miei
drappi e fissarli a terra. Una bandiera sventola se è tenuta
da un palo e, se è fatta di tessuto giusto e grande, è bella
anche quando si muove con poco vento. Il palo non è un
guinzaglio.
384. Il peggio di me l’ho forse dato dentro all’ambito della
serietà, mentre poche volte mi sono vergognato di aver
fatto ridere di me o di essere passato per buffone. Adoro
far ridere e fare imitazioni, è un modo per vivere non
inutilmente il poco tempo che abbiamo e per osservare i
sorrisi della gente.
385. In me la creatività cala con l’aumentare di alcune
certezze; la peggiore persuasione è la quotidianità vissuta
dentro casa, impegni, vacanze, parenti, fidanzamenti,
cinema, compagnie. Dentro quest’ordine di idee mi
sembra impossibile far altro nella vita che mantenermi
a galla aspettando la vecchiaia; ma proprio gli anziani
m’hanno insegnato a scappare da tutto ciò.
386. Le vite ordinarie fatte di usanze anche accomodanti
non mi disturbano, anzi mi mostrano l’accettazione della
semplicità dell’esistenza. Spero che le poche stranezze
che ho vivano solo per appagare il mio narcisismo, il che
forse le rende tollerabili. Ci sono tanti modi per non farsi
schiacciare dalla normalità senza raggiungere i deliri delle
stravaganze.
387. Vivendo fuori dai libri, le frasi sentite al bar, come:
“Un uomo si vede da che ora si sveglia la mattina”, mi
sono servite tanto quanto altre più filosofiche. Non mi
pongo il problema di essere un banalotto; spero di gestire
la banalità già presente nella vita, sperando che non ci sia
solo questa.
388. Ultimamente si sta pensando di finirla con i mestieri
che generano danni anche a lungo termine, ma quasi tutti
i lavori sono deleteri per sé o per gli altri e quindi alcuni
dovranno cambiare mestiere mentre i più invece dovranno
apprendere a vivere. Ma ormai il vivere facendo poco
nulla, significa oziare, parola blasfema.
389. Non mi sembra proprio che ai matematici venga
chiesto di usare formule facilmente comprensibili
alla maggioranza della gente, quindi non vedo perché
la filosofia dovrebbe essere più comunicativa delle
altre scienze. Questo è il pegno necessario per le
specializzazioni che creano distanze tra le persone e per
adesso i vantaggi vengono preferiti agli svantaggi.
390. Non do colpa delle sventure umane alla natura
che prima ci illude e poi ci inganna, e non addebito alla
società il creare situazioni sconvenienti agli individui.
Cerco di non pormi questo problema perché so che se
solo nominassi il termine “colpa” mi sentirei fottuto da
qualcuno o mi sentirei io stesso in torto.
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391. Chi critica la religione le addebita fenomeni che non
sono verificabili, come se per lo svolgimento delle pratiche
scientifiche non ci fossero elementi non verificabili; a me
sembra però più naturale credere o no a seconda della
situazione (osservando la quotidianità dei credenti e
degli scienziati non mi sembra che si comportino tanto
differentemente).
392. Cerco di non togliermi i difetti ma di presagire
semmai come possano non danneggiarmi. Ogni mio
aspetto è una inclinazione, devo saperla prendere dal
verso giusto nella convivenza con gli altri, che poi è il
convivere con me stesso. Non devo agire riducendo,
perché poco va gettato, semmai posizionato con misura e
con fantasia.
393. Anch’io ho l’innata tendenza umana di ingigantire
le questioni irrisorie per scandagliare ogni possibile
dettaglio; alcuni lo fanno di professione come gli avvocati,
gli scienziati; negli incarichi produce ottimi risultati
essere pignoli, ma poi davanti allo specchio ogni neo,
chissà… magari meglio farlo analizzare e ogni piacere va
declamato se no è come perso.
394. Coloro i quali guardando gli occhi spenti dei giovani
d’oggi privi d’ogni interesse gridano l’allarme del degrado
spirituale hanno la mentalità impigliata dentro allo
stereotipo della giovinezza come tempo delle azioni. Noi
vecchi non possiamo cogliere il teatro dei giovani che
è più sottile e complesso delle facili commedie esibite
orgogliosamente da noi rimbambiti.
395. I libri non mi sono serviti a capire molto, piuttosto a
diluire nella mia mente le bestialità che a tutte le ore mi
vengono iniettate. Non ho sentito di comprendere di più
leggendo chi ha pensato con prudenza e buon senso ma
almeno ho smesso di sbattere la testa sulle solite travi più
basse.
396. Allo zio hanno messo un’anca in titanio; ora cammina
senza dolori. Io voglio mettermi qualcosa di simile
dentro il cervello magari che sia commutabile a seconda
delle occasioni; voglio anche non pagare, che non abbia
controindicazioni, che sia reversibile e che io possa
collocarmela da solo. Ad ora ho trovato l’attenzione nelle
ore diurne.
397. Avendo avuto l’onore di aver lavorato, da
immigrante, come imbianchino nei cantieri, sono entrato
ed ho vissuto in un ambiente dove i libri non esistevano e
il senso dei giorni era chiaro ed evidente. È stato per me
come vivere in un paradiso, perché le problematiche che
avevo prima si palesarono come oziose insensatezze.
398. Nel caso del cibo insegnano che devo contenermi
se voglio la salute del corpo, ma nel caso del cervello
ci spronano ad essere voraci, a capire il più possibile
a superare i limiti anteriori. Ed infatti soprattutto per
le città se ne vedono di questi corpi molli con sopra un
testone che s’inclina pesante.
399. Molti valori stanno cambiando, così appare; nel
mezzo del cambiamento che può durare secoli si sente
confusione o incertezza… In alcune epoche l’avranno
sentita gli imperi imprecando contro i barbari, in
altre le tribù supplicando le divinità. Oggi gli individui
biasimandosi; ma quanto spazio ha un solitario per
sopportare le mutazioni di una società?
400. Visto che per me è un piacere poter vedere ed
ascoltare di tutto eccetto che il male, e poiché non mi
capitano tragedie, davanti a me ho spesso uno spettacolo
vasto e gratuito. Forse è proprio il rifiuto categorico delle
sofferenze a mettermi in risalto il resto come un qualcosa
da non potermi perdere.
401. Ho conosciuto ragazze che avevano una tale bellezza
da indurle a credere che qualcuno avrebbe potuto risolvere
e riempire le loro giornate. Anche una generazione può
arrivare a scaricare le proprie responsabilità ai posteri;
i moventi di questi disimpegni quotidiani non sono
l’egoismo o le ideologie sbagliate ma una spensierata
mancanza di amor proprio.
402. Riconosco che i computer sono bravi in molte delle
mansioni in cui io sono negato ed incapaci in ciò in cui io
sono abile; dovrei quindi sentirmi lusingato di non essere
rimpiazzabile da una macchina nelle mie qualifiche,
eppure io anche qui preferirei mi trovassero un sostituto
se questo significasse più tempo per navigare.
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403. Impazzirei se vivessi in un mondo dove le mie
pulsioni sono difficili da attuare o se fossi in difficoltà nel
muovermi liberamente o nell’essere equiparato. Eppure
le donne patiscono tutto ciò quotidianamente e la loro
reazione non è la pazzia. Ma loro vivranno a lungo mentre
noi ci estingueremo perché invece di aiutarle giocavamo.
404. Per misurare il livello dei valori etici, civici di un
popolo è sufficiente vedere il livello di corruzione, di
malaffare che tollera senza ribellarsi. Sono balle che
basta protestare, sentirsi indignati o arrabbiati: questi
sentimenti possono essere simulati, le azioni fisiche no.
Questo discorso vale anche per altre situazioni e per i
singoli individui.
405. La scienza ha una visione del mondo complessa. Lo
spirito scientifico si esaurirebbe dopo un secondo se le
questioni fossero prese alla buona. È una visione contraria
ai sempliciotti, un sistema mentale che parla volentieri a
chi è complesso come o più di lui, e tollerante con gli altri;
quindi paradossalmente è superficialmente complesso.
406. La psiche va elaborandosi non perché la persona
sta costruendo se stessa ma perché l’ambiente scarica
le sue problematiche nell’unico posto dove si crede che
le soluzioni possano essere risolte: l’individuo. Ma il
paradosso è che il mondo non è caotico ma è creduto tale
dalle persone che poi devono ordinarlo al loro interno.
407. Purtroppo non mi è ancora capitato di incontrare
qualcuno che abbia avuto la libera, nobile disinvoltura
di decidere volontariamente e senza pressione alcuna di
scendere la scala sociale abbassando la sua qualità di vita
dopo essersela guadagnata con ingegno, fatica e senza
fortune. Sicuramente al mondo deve esserci una creatura
senza troppe paure indotte.
408. Ormai abbiamo visto così tante immagini che nessun
video, foto, tantomeno quadro e peggio scultura riesce a
rappresentarci così come vorremmo. Siamo insoddisfatti
non di noi stessi, ma della nostra immagine che
vorremmo ci rappresentasse al meglio. Io so che questo
ragionamento è un bluff e per scherzarci sopra vi lascerò
un fedele autoritratto.
409. C’è chi nella vita non si preoccupa delle spese perché
punta a guadagnare di più per vivere con disinvoltura
e senza restrizioni. Io invece sono un campione per
abbassare i costi fissi e non mi piace sbattermi per i
profitti; punto all’autarchia e non lo faccio per le balene,
ma loro mi stanno ringraziando.
410. Per vivere con dignità ci rimane solo la cortesia come
alternativa ad un sapere comune ormai improponibile?
Forse le buone maniere non sono un ripiego, ma la
realizzazione, la pratica di una sapienza che ormai è
troppa per essere saputa. Che cos’è la gentilezza per
sperare che ci siano meno sapienti e più galantuomini?
411. Lessi di un poeta che chiedeva di non parlare delle
sue opere e nel caso lo si facesse di abusarne riferendo
cose da lui mai scritte o sbagliate. Raramente ho sentito
una affermazione tanto liberatoria come questa. Tutelare
l’autenticità, originalità, integrità delle proprie opere non
è forse il segno di una mentalità piccola, stitica?
412. Classi dirigenti inette ce ne sono in molti Paesi, ma in
Italia hanno potuto depredare felicemente perché tutti ce
ne siamo disinteressanti preferendo campare e rinviare.
Sto generalizzando? Ovvio, come non potrei visto che
uso il linguaggio? Che dovrei fare? Nominare uno ad uno
gl’italiani onesti e disonesti? Non sarebbe anche questa
un’altra generalizzazione?
413. Nei Paesi del Sud non è vero che non si trovano
professionisti: si recupera un dottore, il notaio, l’idraulico,
un poliziotto; chi arriva dal Nord vedendo nome, divisa,
studio, clienti si immagina, sbagliando, che sappiano
fare; invece ci si è intesi male sulle parole. Nel Nord capita
uguale ma con faccende ben più importanti.
414. Mi chiedo se c’è qualcosa che posso dire di serio
senza alcuna premessa. Al di là di molte superficialità che
escono dalla bocca, ci sarebbe un mare di precondizioni,
di requisiti che varrebbe la pena anticipare prima di
cominciare a parlare. Facendo così il linguaggio sarebbe
perfetto ma avrebbe meno bisogno dei toni cortesi.
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415. Un’amica che aveva in dono l’individuare esattamente
ogni mio difetto, dopo aver sentito l’ultima sparata che
mi era venuta in mente, mi qualificò come gran cazzaro.
Avendo calcolato il mio narcisismo, strafottenza e
ignoranza sapeva che qualificandomi così avrei scritto
un libro di sole cavolate. Sapendola imbattibile nelle sue
previsioni mi sono messo all’opera.
416. Mi piacerebbe scrivere una frase inequivocabile,
anche solo una parola con un significato e non mille
come al solito. I numeri sembrano avere questa grazia
ma osservando bene anche sulle cifre ognuno dice la
sua. Facciamo ogni sforzo per rendere chiare le norme, i
contratti ma dimentichiamo che poi c’è qualcun’altro che
li legge.
417. Sostengono che nell’area di Chernobyl dopo 30 anni
le radiazioni di 400 bombe atomiche hanno fatto meno
danni alla flora che una eventuale presenza umana.
La tristezza di questa osservazione sta nel fatto che
abbiamo imbrattato il pianeta in cambio di comprarci una
Mercedes, lavorare 12 ore al giorno, avere nevrosi e dare
gomitate.
418. Se dovessi indicare la fonte che sta alla base dei
dolori psicologici, direi il sentimento o la sensazione
d’esclusione, ossia la mancanza delle condizioni che
garantiscono l’incolumità. Viceversa l’inclusione nel
gruppo o anche il solo sentirsi accolto (esempio la
compagnia dei mistici con dio) genera energie incredibili.
Per questo vivere in città arreca danni.
419. Le città sono state centri di aggregazione ma adesso
che la socializzazione si sta incastrando in un telefono,
quando ci vado non faccio altro che spendere e non mi
capacito di come vengano considerate ancora luoghi di
opportunità; mi sembrano delle fiere in tanti sensi e i corpi
impecoriti dei suoi abitanti parlano chiaramente.
420. Suggeriscono: “Trasformi la vita non se fai chissà
cosa, ma se la vedi in maniera differente”, d’accordo,
perché i fatti sono fole (eccetto che i dolori) e non
prenderli come tali significa farsi fottere dagli slogan degli
altri: ma di che hanno bisogno le mie immagini per farle
credere a me e agli altri?
421. Più l’arte viene capita, parlata, intesa, sentita più ci
si allontana da quell’oggetto e più si rimane attaccati alla
punta del nostro naso. L’unica maniera per contemplare
un’opera è esserne indifferenti, lasciarla dove sta,
interessandoci di cose più importanti. Solo così essa
può generare i suoi effetti benefici; tutto il resto sono
arroganze recenti.
422. Quando qualcuno dichiara di parlarmi
“sinceramente” non so bene se mi sta prendendo in giro.
Io questo avverbio lo accolgo con ironia o come pour
parler, sapendo che è impossibile essere sinceri. Allora
ascolto e rispondo anch’io “sinceramente” perché davanti
a me ho una persona ed è giusto, doveroso mettermi a
dialogare alla pari.
423. Mi insegnano che il corpo ci parla e che dobbiamo
imparare ad ascoltarlo, ma avendoci provato ho vissuto la
paradossalità di questo insegnamento perché confidavo
che non mi parlasse tramite le voci della mia epoca (che
altre avrei potuto ascoltare?) che sono proprio quelle che
m’hanno portato alla necessità di doverlo ascoltare. Tema
complicato.
424. Non faccio misteri né pubblicità su ciò che faccio
perché l’umanità è già altrove e se ne frega se ad
ascoltarmi ci siano un cane o uno stadio di persone. Mi
impegno su ciò che mi illude, non mi occupo di réclame e
quindi né impedisco né agevolo, perché perderei tempo e
verrei distratto.
425. Ho dovuto impegnarmi a godere senza che mi
sorgessero i rimorsi. Data la mia educazione veneta è stato
difficile evitare di starmene al sole senza che giungesse
la noia che tende a combattere ogni stato d’agio. Molti si
adattano facilmente ad attività sventurate, per il vanto
d’essere attivi; soffrire per vivere intensamente, ossia
masochismo.
426. Per cambiare le pratiche quotidiane sarebbe meglio
se ci fosse meno propaganda per le strade. Ma siccome
l’ammutolirsi non servirebbe molto la soluzione arriverà,
questa sì, silenziosamente, proprio dall’eccesso: un
parolaio che sta già portando ad una sana, reciproca
sordità tra bottegai e fruitori, ognuno convinto di sentire
quel che desidera gli venga detto.
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427. Osservando le mie consuetudini non mi sembra
di aver un destino differente o di fare qualcosa di tanto
più importante rispetto ad un sasso. Intendo che molti
sentirebbero perdere il gusto della vita pensando a ciò,
ma io no, anzi: trovo scioltezza e mi aspetto di tutto
dall’inventarmi di non sentirmi vivo, umano, pensante.
428. Un sempliciotto come me non dà ascolto alle
dimostrazioni che gli giungono seguendo il criterio della
ragione; io seguo il criterio dell’autorità: esamino il tizio
che mi parla… sbircio il suo viso sorridente, come passa la
giornata, il suo tono di voce, la sua emancipazione. Persone
come me preparano guai, meglio che mi autocensuro.
429. Se qualcuno mi convincesse che la libera volontà è solo
un’illusione, non cambierebbe in me un granché: le mie
giornate si basano troppo sul credere di poterle decidere e
scegliere tra possibilità, che non rinuncerei alla falsità di
tutte queste pratiche. Cambierei idea solo se l’alternativa si
dimostrasse migliore nella gestione della mia quotidianità.
430. L’ideale sarebbe che sapessi valutare gli uomini
o quantomeno fossi cauto nell’esprimere giudizi
positivi sapendomi incapace d’obiettività. Invece
quando ho previamente ben valutato che il mio
giudizio, probabilmente errato, non potrà in alcun
modo danneggiare me o altri, mi prendo i piaceri del
sopravvalutare le doti delle persone; preferisco queste
soddisfazioni a quelle dell’oggettività.
431. Mi interessa, come una delle tante stranezze
dell’umanità, sbirciare i sinceri amanti dell’arte: noi
mortali siamo campioni nell’inventarci affari importanti
e più ci crediamo più prendiamo spunto per crearne altri;
così alla fine lo spettacolo si infittisce e diventa una realtà
inestricabile per chi ci vive dentro così da fargli passare
bene il tempo.
432. C’è una moda o esigenza nell’esibire atteggiamenti
allegri, euforici: grandi sorrisi, voci squillanti e intonate
all’insegna della positività. Abbiamo questo tic -ogni
epoca ne ha avuti- l’allegria non richiede esternazioni, ma
meglio avere questo che chissà quali altri. Inoltre tengo
cara l’ipotesi che producendo tanta aria fritta alla fine si
condensi un gioia vera.
433. Se mi figuro una discoteca mi viene in mente un
luogo assordante, puzzolente di sudore e costoso; eppure
quando ci andavo tutto ciò non mi infastidiva, anzi, mi
divertivo. Spesso ho sputato sul piatto dove avevo appena
mangiato volentieri. Doppiezza? Il problema non è essere
doppi ma non accettare che gli altri possano esserlo.
434. Capita che un cuoco venga preso per creativo
e l’architetto per commediante, mentre il muratore
per architetto e il notaio per scrittore. Non c’è da
meravigliarsi, da sempre i termini cambiano casella
eppure continuiamo a sognare di fare l’astronauta, il
calciatore, il ricco per scoprire che facendoli faremo e
verremo visti per tutt’altra cosa.
435. Lessi un libro che domandava se era possibile
indicare con il dito un albero specificando dove inizia e
finisce esattamente. ¿Ma perché alle elementari non fanno
giocare i bambini con queste lenti per mostrargli in due
minuti che nella vita parlando dovranno inevitabilmente
approssimare e quindi è bene che imparino a non essere
approssimativi?
436. In una rotonda stradale vedo un monumento; sta
lì – come il vicino marciapiedi, oggetti di passaggio – a
fare ciò che tutti dovremmo fare, tornare utili se capita di
servire e sembrare belli se fatti per bene. Mi chiedo chi si
è avvantaggiato nell’averla pensata più complicata di cosi,
e perché gli permettiamo questo privilegio.
437. Se bastasse vedere quello che mangiamo per capire
il livello di civiltà che abbiamo toccato, il giudizio sarebbe
tra i peggiori. Sembra che pur potendo avere tutto,
preferiamo mangiare le peggiori schifezze avvelenate
che consente la legge. Ma questo è un racconto miope:
abbiamo sempre mangiato la stessa percentuale di
porcherie e gustose delizie.
438. Raramente mi danno fastidio i discorsi parlati
anche se sono stanchi, banali perché il semplice sentirli
pronunciare da dei mortali me li fa amare nonostante
quello che esprimono, poiché c’è un viso che li sta
pronunciando; lo stesso dovrebbe valere per gli scritti
eppure quel mezzo, la stampa, capace di resistere mi
rende diffidente.
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439. Se dovessi ripensare alle frasi che ho sentito
riguardanti una buona e sensata conduzione della vita
direi che prese una ad una sono piuttosto insipide,
nonostante nell’insieme mescolandole tra loro molte mi
sono state utili. Non può esistere una frase che possa
essere perfetta a tale scopo solo un gesto virtuoso ha
questa possibilità.
440. L’espressione più pura che ho conosciuto della
mediocrità non è tanto fare, realizzare cose mediocri,
che anzi può essere segno di grandezza di vedute, quanto
il cercare di attorniarsi di persone più modeste o più
prestigiose con il fine di sembrare meno ordinario degli
altri. La mediocrità pura mescola insieme insicurezza,
vigliaccheria ed arroganza.
441. I Paesi sono come le scarpe, non si può dire quale
sia migliore o peggiore, bisogna provare a viverci.
Molto andrebbe provato prima di assumerlo, ma la vita
dell’uomo non inizia senza mezzi, perché non siamo noi
a tenere loro ma sono loro che ci reggono in vita, come i
paesi e le scarpe.
442. I soldi non servono a vivere ma sono essi stessi vita,
poiché sono pensiero, come lo è la mia automobile o gli
occhiali. Cosa dovrebbero essere? Oggetti? Mezzi? Quando
impugno una forbice io vedo che tra la mia mano, il mio
sguardo e lei c’è perfetta amicizia e similitudine, come tra
occhio e naso.
443. Da piccolo sognavo una macchina che potesse
cambiare il passato per poter eliminare gli eventi brutti;
adesso non aspetto più questa invenzione avendo capito
che basta cambiare l’esposizione degli eventi e la strada
in salita diventa in discesa. Ma anche questi diventano
trucchetti perché nel frattempo ho appreso che devo
anche convincere gli altri.
444. Nel Veneto ho visto l’inutilità della ricchezza: tutti
quei soldi fatti in una generazione non sono riusciti a
generare cultura, politica e soddisfazione. Ma questa
è una fiaba sbagliata, la verità è che noi veneti non ci
siamo veramente arricchiti perché non siamo cambiati
molto: atavicamente siamo poveri di spensieratezza, di
appagamento, di riposo.
445. Frequentando persone che stanno da diverso
tempo, a detta loro, in situazioni intollerabili non riesco
a capire se questi abbiano un potere di sopportazione per
me inconcepibile oppure se vi siano forze malefiche che
impediscono loro di scappare, o se stiano esagerando o
recitando: credo che ad agire sia una mescolanza di queste
ragioni.
446. Suppongo, spero di non essere l’unico a non
apprendere dagli errori se questi non mi provocano danni
immediati; dato che gli sbagli a volte, generano danni
nel tempo, nel frattempo, la presunzione d’innocenza
derubrica decisioni nefaste come pecche normali. L’amor
proprio è più forte dell’intelligenza ma quest’ultima ha
maledettamente la meglio a medio termine.
447. Evito di raccontare la giornata scandendola con gli
eventi che normalmente sembrano riempirla: sveglia,
lavoro, pranzo, sport, cena, dormire; solo al nominarla
questa sequenza mi fa desiderare di ardermi vivo pur
di fuggirla. Ma non occorre nessun fuoco perché le
narrazioni si uccidono con altri racconti e per generarli ci
vuole impegno e fantasia.
448. Il mio star bene, allo stesso modo della mia libertà
e spensieratezza è un castello di carte inventato; non c’è
granché della mia contentezza che sia vero: è il prodotto di
un gioco di frasi, ben incastrate tra loro, dove un termine
tira fuori l’altro fino a che esce quello che consento sia
l’ultimo.
449. Di solito è bene guardare agli errori del passato per
non ricaderci, eppure le poche persone piene di vitalità
che ho osservato avevano l’abilità di non rivolgersi ai loro
fallimenti se questi potevano far perdere loro la libido
di intraprendere altre iniziative. Non era resilienza, era
semmai una sana cecità, erano accecati dalla vita.
450. Sostengono che nel passato dentro alla famiglia
si svolgeva gran parte della vita di un uomo; adesso
sembrerebbe che quella tradizione sia finita e le
persone vivano separate in una società complessa ed
individualistica. Io vedo il contrario, le famiglie rimango il
baricentro, siamo più altruisti e la complessità… dipende.
Sto dicendo delle insensatezze?
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451. Ogni volta che osservo una folla mi chiedo come
sia possibile che tanti egoismi non si scontrino; non
mi sorprendono gli amanti, i soci quando si lasciano,
mi stupisce vederli insieme. Mi spiegano che questo
meravigliarmi per le unioni non è altro che il culto della
individualità; a me sembra un rito della ragione.
452. Mi reputo una persona e lo sono fintanto che questa
impalcatura rimane in piedi. Basterebbe però anche un
solo gesto sconsiderato per esibire tutta l’instabilità di tale
concezione. Di solito è il terrifico, quello che toglie il fiato,
di cui non si può parlare e non si vuol pensare il grande
demolitore delle idee.
453. L’arte aveva abilmente e da tempo anticipato un
desiderio di innovazione adesso dominante nella vita.
In realtà lo ha fatto solo una certa arte, quella descritta
dai critici e storici; altre opere continuavano ad essere
prodotte senza intraprendere nessuna novità ed
infatti non sono state storicizzate; meglio per loro non
partecipare a questa storiellina.
454. Il pensiero che mi allarma di un imminente
rincoglionimento è quando mi sento al centro di qualcosa
di importante. Per uscire da questo deliquio l’antidoto è
pensare alle infinite periferie del mondo dove si ripetono
azioni inutili e suoni inascoltati: se guardo a questi posti
ritrovo quella giusta misura che mi fa sentire bene.
455. Se il vento è forte, costante e l’oceano ha onde pulite,
alte non esagerate; se sei in giornata giusta, con il corpo
in forma, hai due amici con te in acqua e vivi in un posto
dove tutto ciò non è raro da permettertelo spesso, allora
sei in paradiso. Tutto il resto sembra l’inferno.
456. L’educazione è il sapersi comportare, il che significa
sapere assumere dei comportamenti a seconda delle
occasioni; a volte l’occorrenza può chiederci di fare i
fessi, altre volte di aiutare un nemico. Ma fintanto che
siamo persone tutte d’un pezzo per dimostrare o ottenere
chissà cosa, difficile essere educati. L’educazione vuole
osservazione, disinteresse e risorse.
457. Per me è evidente che le passioni sono una grazia
del cielo che mi arriva inaspettatamente, senza motivo
o sforzo, ma è altrettanto realistico ammettere che
impegnandomi su diversi fronti non ho ostacolato che mi
giungesse un qualche slancio, la cui direzione ed intensità
è impossibile che io sappia, e poco mi interessa saperlo.
458. La creatività è uno dei tanti modi per dare conforto
alle individualità desiderose di fuggire dalla omologazione
e si basa sulla superstizione che un individuo sia libero e
capace di creare novità. Nulla di più patetico ma anche
di comprensibile pensando alla tenerezza delle illusioni
umane utili a farci passare il tempo senza noia.
459. Registi, cantanti, scrittori: deve finire l’epoca di
questi narcisismi, hanno già dato, grazie; ora abbiamo
bisogno di bravi idraulici onesti. Se a qualcuno venisse
voglia di girare un film, molto bene, ma lo proietti per i
suoi trenta amici senza farne una professione: rovinerebbe
lui, le sue amicizie e pure l’opera. Promuovo condotte
sbagliate?
460. È questa società in cui vivo che mi fa sentire i dolori, i
piaceri del corpo anche se credo che tutto si svolga dentro
di me. Sono questi vissuti di quello che credo essere il mio
corpo a voler cambiare le regole della società; così facendo
la società agisce tramite me per migliorare sé.
461. Se immagino la giusta misura, l’equilibrio di un
comportamento, poche volte ottengo una risposta esatta
da una dimostrazione. Il miglior modo per me per trovare
la bella misura è usare la vista e spegnere il cervello. Devo
vedere, rifarmi ad un esempio per poter valutare se la
situazione è bilanciata. Presumo sia abbastanza comune.
462. A catechismo mi insegnarono che il senso della vita
non va cercato nei piaceri: è vero, con l’aggiunta però che
i piaceri non servono a dare significato ma valore, facendo
star bene invece di fare intendere. Alcuni personaggi
sono geniali a lenire le disgrazie e quindi mi sembra che
cerchino di non farle finire.
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463. Il mio benessere campa su un vocio condiviso che,
raggiunti certi risultati e in assenza di malesseri, mi fa
dire: ecco, sto bene. Come chi va a visitare Parigi e gli
sembra di averla vista perché è passato per la torre Eiffel,
anche sulla cosa che crediamo più prossima a noi facciamo
i turisti.
464. Sono anch’io un consumatore e anch’io campo sul
sistema dei consumi senza il quale molte mie agiatezze
finirebbero, eppure ho delle prudenze sugli acquisti perché
mi sembra che le conseguenze dell’acquistare oggetti non
siano da sottovalutare. Le immagini sanno imbrogliare
bene la realtà alle persone: questo mio comportamento è
critico, equilibrato, accondiscendente o remissivo?
465. Adoro quando vado a nuotare in mare e tornato a
casa mi butto a letto, pulito e insemenìo; il bello di certe
azioni è che sembrerebbero non aver bisogno di voci; poi
però mi accorgo di osservarle, di ricordarle come ora solo
grazie ai verbi; ma è solo un film perché manca l’intero
oceano.
466. Il cristianesimo delle origini me lo immagino
semplice, comprensibile mentre l’attuale mi sembra ormai
troppo intricato. Spero che la scienza apprenda la lezione
per non fare la stessa fine, inizialmente è stata ed è ancora
utile ai più, finirebbe se divenisse interessante a pochi.
Molto di ciò che è elitario è destinato ad appassire.
467. Sento dire che vivo in un’epoca nichilista, priva di
scopi, di valori e ascolto la gente lamentarsi per la loro
qualità di vita; poi mi metto ad osservare con calma i
comportamenti dei singoli e mi sembra che non se la
passino male. Non giudicherei dalle sentenze come una
persona o una società sta.
468. La decadenza dei valori, il tramonto dell’Occidente
e il nichilismo esistono nella misura in cui vengono
condivisi. Vengono invece presentati, non come
interpretazioni collettive, ma come resoconti descrittivi
della realtà. Esibendoli sotto questa veste si anticipa
l’accettazione, dandola per inevitabile. È il tormentone
che odo da quando sono piccolo, ossia che tutto sta …boh.
469. Ogni volta che succede un evento in un paesino
di campagna (crolla un tetto, grandina forte, prende
fuoco il panificio) se ne parla come se fosse il finimondo.
Identicamente questa attualità forse priva di giuste
proporzioni circa ogni dieci anni strilla che nulla nel mondo
sarà come prima, eppure io ritrovo tutti fatalmente uguali.
470. Ho più volte sognato una storia differente costituita
da episodi slacciati che non dovrebbe più chiamarsi storia
perché non basata sui nomi, date, imprese, opere. La
poesia perlomeno ci prova ma mi rendo conto che il sogno
è irrealizzabile perché ogni narrazione è inevitabilmente
descrizione e quindi prevede soggetti, riferimenti, sensi e
quindi storia.
471. Per me natura e cultura sarebbero termini
sovrapponibili. Ma visti i tempi in cui mi trovo – dove
vengono intesi per separati, anzi in conflitto – e facendo
la vita che fanno tutti e trovandomi decisamente bene,
quando parlo cerco di non confondere questi vocaboli.
Rifletto sul fatto che sui discorsi si stanno facendo le guerre.
472. Il giudizio odierno concepisce l’ornamento e la
decorazione “secondari” rispetto alle opere “importanti”
dell’uomo (come se quest’ultime non fossero miniature di
un apparato di idee che sta a monte). Ma la terra ha bisogno
di gente che orna, non che trasforma il paesaggio; abbiamo
necessità di campi liberi o ben coltivati non di città.
473. Non mi sono specializzato in un mestiere perché riesco
meglio ad eseguire lavoretti facili da trovare che chissà
perché mi appassionano anche se solo momentaneamente
dato che sono ripetitivi e dopo poco stancano. Ringrazio
coloro i quali per quarant’anni hanno avuto entusiasmo per
la medicina o per l’astronomia. A me questi amori durano
mesi.
474. Sento dire che il mondo ha bisogno di un nuovo
umanesimo: ma questi due vocaboli, “uomo” e “nuovo”,
nel nostro encefalo trasportano concetti molti pesanti,
immagino quindi sia difficile cambiarli in corsa. Forse se
si pensasse meno all’umanità e alle novità ci sarebbe più
spazio perché qualche interessante sinonimo finora escluso
iniziasse ad insinuarsi.
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475. C’è una partita tra questi che abbiamo pensato come
avversari: il mio corpo, il mio pensiero (o anima o spirito),
la società, la mia individualità; siccome da questa disputa
vengono fuori molte assurdità, a me non rimane che
tifare per il perdente del momento sperando che almeno il
match sia bilanciato e non sanguinante.
476. Le teorie sulla libertà mi sembrano esternazioni da
schiavi. Posso dire questo: 1- riesco ad immaginarmi le
espressioni di un uomo emancipato, 2- studio le possibili
situazioni in cui mi sentirei schiavo, 3- non mi sento di
indicare alcun schiavo ma solo azioni ed atteggiamenti da
schiavi. Questo ragionamento vale per altre idee assurde.
477. Come può l’arte uscire dalle argomentazioni?
Rispondere a questa domanda significherebbe aggiungere
all’arte altre definizioni; allora come liberarla dalle
spiegazioni se poi ci ripiomba? Smettendo di volerla fare
per farla guardare. Se si fanno opere per esibizione o
per ragionarci sopra allora l’arte certo non muore, ma
svanisce qualcosa di più importante: la discrezione.
478. Durante un secolo si è ripetuto che non esistono
i fatti ma solo le interpretazioni; purtroppo l’averci
convinto di questo non è servito a molto perché ora
sono le spiegazioni che vengono prese come fatti. Ci si è
dimenticati che l’insegnamento doveva essere preso per
utile e non per vero, essendo appunto una interpretazione.
479. Le circostanze possono essere complicate o semplici
e possiamo spezzettarle in tante parti o riunirle in
pochi elementi. È in base alla nostra predisposizione
nell’approcciarle, a come normalmente vengono
raccontate e descritte che le derubrichiamo a facili o
le eleviamo a complesse. Allora perché ci piace tanto
acconsentire così frequentemente all’affermazione
“viviamo tempi difficili”?
480. Vivendo da solo è stato inevitabile chiedere consiglio
agli amici in momenti difficili, quindi mi sono dovuto
togliere alcune vergogne e scrupoli. L’importante era
avere la forma per poter essere riconoscente per quanto
ricevuto. Le domande agli amici le ho fatte con tono
sommesso, ma erano esplicite. L’amicizia è una pratica,
non una dichiarazione.
481. Se faccio un favore cerco di camuffarlo perché mi
piace pensare di aver lasciato libertà di comportamento
tra me e l’altro cristiano. Mi è capitato di rinfacciare alcuni
piaceri fatti proprio quando ho voluto far pagare il conto;
ma nei favori dividere gli esseri umani tra amici e clienti
significa avere un cuore piccolo.
482. Se contassi le illusioni che sono riuscito a scrollarmi
di dosso guardando in faccia la realtà apparirebbe che
mi sono disingannato solo di ciò che potevo perdere
senza perdermi: i sogni che mi permettono di campare
illudendomi, obliando realtà indigeribili sono inviolabili
perché nessuna verità, consapevolezza può esistere se
prima non ci sono io.
483. Mi sono chiesto più volte il significato del
comprendere perché, se per caso allude al capire, allora
mi sembrerebbe una attività che seleziona, piuttosto che
includere. Non ho una esigenza reale, diretta di sapere,
conoscere è secondario al piacere, mi interessa avere a
disposizione più risorse possibili perché possano tornarmi
utili in certe circostanze.
484. Si è molto insistito perché un’opera non sia solo
quell’oggetto che ho davanti ma sia anche quel mondo che
l’ha permessa. Ma è chiaro che non spendo energie per
indagare quel mondo se la sola cosa che ho davanti non
ne vale la pena. Prima viene la generosità delle opere, poi
l’intelligenza dei lettori.
485. Chi pensa che l’Europa non potrà svilupparsi come
nazione per il motivo che è sorta da interessi e non da moti
ideali dei popoli che la compongono non ricorda che anche
gli imperi inizialmente furono creati per interesse e solo
dopo molto tempo fu necessario generare una retorica di
sentimenti patriottici utili allo Stato.
486. Chi l’ha detto che per affrontare il futuro dobbiamo
unire i nostri paesi in imperi? Di che futuro si parla? …
economico? militare? emancipazioni? È il vizio di chi
legge troppo: se non progrediamo, se non facciamo archi
di trionfi mentali, se non viviamo nel rinascimento non è
valsa la pena. Vado immediatamente a nuotare.
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487. Essendo nato europeo –ossia senza patria– e
in aggiunta italiano –ossia attore– immagino che il
mio destino di individualista sia già segnato. L’unico
contributo che mi resta da dare alla comunità è quello di
esprimere al meglio le potenzialità della mia personalità:
che pochezza. È un sogno l’avvento di una comunità che
mi coinvolga.
488. La generazione dei miei genitori ha idolatrato
troppo la giovinezza, il creare, l’intraprendenza, la
vitalità. Quando erano giovani non si rendevano conto
che ragionando così si stavano preparando una vecchiaia
difficile e così ora infatti li sento lamentarsi. Sono sicuro
che anch’io su qualche tema che adesso ancora ignoro sto
scavando la mia fossa.
489. Crescendo nel Veneto ho verificato che i moventi
dello sviluppo economico non sono così semplici da
intendere come potrebbero sembrare. Il più delle volte le
motivazioni degli imprenditori scaturivano e maturavano
nell’orgoglio tra i parenti, per l’insistenza della moglie,
tra gli sguardi degli amici, nella gelosia tra i fratelli, nelle
pretese dei figli viziati.
490. Sempre più sono gli uomini liberi che ricordano
con emozione la loro evasione dalla galera: la fuga dalle
13 ore quotidiane di lavori forzati, la mezz’ora d’aria
per il panino, la settimana annuale di permesso premio
eccetera. È il vantaggio di scappare dall’imprenditoria
padana, se riesci a disintossicartene ti sembrerà di
respirare la libertà.
491. Se la complessità di una azione corrisponde alla
difficoltà con cui la facciamo è facile prevedere che
di questo passo fra pochi anni zappare risulterà più
complicato che il teletrasporto. Così come oggi mangiare
poco risulta più difficile e necessita di più informazione
che il mangiare tanto, il che avrebbe fatto inorridire mio
nonno.
492. Questa idea della complessità del mondo è una fissa
che pervade molte menti: molto viene sentito, visto come
complesso; di questo passo nessuna persona semplice
sarà in grado di gestire quello che pensa sia una realtà che
di reale ha poco. Già li vedo gli scafati che aiuteranno la
gente per rubargli il portafoglio.
493. Chi pensa di togliersi dei pregiudizi crede di poterli
riconoscere. Io commetto spesso questa scemenza
ingenua, anche adesso, ma c’è poco da vergognarsene o da
smettere perché non ho tante altre alternative: qui non si
tratta di dimostrare d’essere svegli o umili ma di vivere al
meglio con quello che mi passa il convento.
494. Un dottore mi disse che di solito campano di più
quelli che temono di morire; mi piacerebbe contare le
molte volte che l’umanità nella storia dei suoi popoli
si è creduta prossima alla distruzione, nel mio piccolo
ne ho già vissute due: quella della guerra nucleare
e dell’inquinamento. Quindi non è ipocondria, ma
sopravvivenza.
495. Se una persona ama il teatro, la letteratura, il cinema
dopo alcuni decenni di giusto apprendistato dovrebbe
lasciare le biblioteche, i musei, i teatri per passare ad
apprendere ad essere un bravo ed onesto elettricista o fare
bene del buon burro. A me invece capita di vedere che le
prime frequentazioni escludono le seconde.
496. Per operare serenamente nel settore culturale l’unica
maniera è ammettere che si sta lavorando per campare.
Come portare avanti quelle illusioni che animano
questo campo se si osserva che il 99,99% dell’umanità
è indifferente ai nostri valori, canoni e consuetudini
culturali? Ma per vendere i suoi prodotti questo settore
deve regalare anche i paraocchi.
497. Quando apprezzo o partecipo a qualcosa che la
maggioranza delle persone non apprezza o ne è esclusa
devo vigilare se per caso si stia nascondendo in me una
qualsivoglia forma di protagonismo. Chi ha amor proprio
deve eccedere di cautele perché è un attimo innalzarsi
sopra gli altri e diventare in breve un limitato.
498. Il dolore tanto è più forte tanto non può essere detto
ma solo provato. Nessun’altra cosa mi può raggiungere
saltando il linguaggio come il dolore ed è per questo che
non lo sopporto, perché nessuna fantasia può scioglierlo;
temo invece che molti lo desiderino nelle forme più
differenti perché sono eccitati dalla sua concretezza.
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499. Mi piace praticare lo sport dilettantistico: è una delle
poche attività dove la pratica è insostituibile e prevale
sulla teoria. Posso dire di conoscere un esercizio solo se
riesco ad eseguirlo, anche se ho capito poco riguardo la
sua dinamica o non riesco a spiegarlo. Poche operazioni
hanno oggi il privilegio della dotta ignoranza.
500. Quando sono in compagnia di un tizio ironico mi
sento più a mio agio non solo perché vengo lasciato più
svincolato ma specialmente perché posso credere che
costui sia capace di nascondermi qualche meraviglia. I
pensieri più profondi, le promesse più stabili, gli ideali più
elevati me li aspetto più dall’irridente che dal serio.
501. L’arte figurativa è intesa ormai come un’arte del
decoro, come qualcosa di vile che ripete perché non sa
innovare. Mi chiedo: che concezione di uomo sta dietro
all’arte innovatrice? Sicuramente un uomo capace di fare,
di decidere; ma questo tipo di persona è emancipata? Per
me no, ma evidentemente sono io ad essere arretrato.
502. Mi piace sapere che per riconoscere la vera cortesia si
raffina l’attenzione e lo spirito di osservazione; infatti sono
piccole, quasi impercettibili diversità negli atteggiamenti
che segnalano le buone maniere vissute come una
semplice formalità di distinzione sociale o come il segno
visibile di un animo gentile. È uno scarto tra sinonimi e
millimetri.
503. Quando leggo i giornali declamare il potere delle
scienze, l’importanza delle arti, la vastità del pensiero
ipotizzo che paradossalmente la mistica abbia un criterio
più corretto delle proporzioni dato che invece di scoprire,
indagare l’universo lo ascolta e ne tace, sentendolo come
incommensurabile ed imperscrutabile per l’uomo. Quindi
in ogni modo siamo degli esaltati.
504. Mi avvertono che il mio egoismo non fa bene alla
società ma mi chiedo se sia il caso di darle il bene in cui
più crede. A me premono le genti e vedendo come stanno
mi sembra più responsabile non seguirle e non osteggiarle
ma lasciarle andare velocemente dove vogliono, non
mettendomi di traverso.
505. Quando sono andato a verificare di persona una
notizia ho spesso riscontrato discordanze tra quello che
vedevo e quello che mi era stato annunciato. Fidarsi è
un malinteso che ogni generazione ripete e che fin dalle
elementari bisognerebbe imparare ad individuare, non per
sospettare delle informazioni ma per sapere che stiamo
regalando la realtà.
506. Ultimamente c’è la paura dell’esclusione, ma questo
timore si basa sulla innocente ingenuità che gli altri
pensino al nostro esonero quando invece o non pensano
affatto a noi o anch’essi hanno fifa d’essere esclusi. Inoltre
mi sento più insicuro nella fatua partecipazione che nella
reale esclusione; l’animale vive tranquillo quando non si
sente osservato.
507. Le discussioni tra filosofi a volte fanno bene alle
persone (anche se fossero solo per far girare il cervello
a vuoto… un po’ di cyclette non fa male a nessuno), ma
soprattutto mettono in salute i ragionamenti che vengono
iper spremuti. Siccome tra l’uomo e i suoi mezzi nasce
filiazione, fanno bene ad entrambi.
508. Ma se tutto fosse natura forse allora la Signora ha
problemi di schizofrenia nel lasciar credere ad una sua
parte, la nostra specie, che possiamo sia seguirla sia
andarci contro. Per queste strane possibilità che si lascia
ci sarebbe solo da ringraziarla, se non fosse che poi ci fa
venire i sensi di colpa.
509. Il linguaggio della scienza facendosi più tecnico
e complesso sarà meno comprensibile. Anche il
cristianesimo è stato vittima della stessa parabola: lo
avviarono bene le donne romane, schietto e semplice ed è
finito con i maschietti astruso e aulico. È il nostro destino:
partiamo bene ma poi non ce la facciamo a non esagerare.
510. Il fatto che il cristianesimo non riesca più a
comunicare circa le normali, banali abitudini delle
giornate come le ricette, le canzoni, il tempo libero, la
ginnastica è per me l’esempio più evidente di come sia
pericoloso ed irreversibile per qualsiasi sapere – sia esso
religione, arte o scienza – staccarsi dal linguaggio della
trita quotidianità.
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511. Non mi aspetto da un mortale che mi dica la verità
a meno che non sia medico, ingegnere, eccetera. Le
bugie io le chiamo “raccontini” e le valuto bene: se
sono responsabili, se sono di buona qualità. Non è facile
raccontarle in modo che possano non danneggiare e
lasciare la voglia di essere riascoltate.
512. Non mi è indifferente se qualcuno esegue bene o
male un oggetto perché io potrei essere quella persona e
per ciò ne va, sia pur in parte, del mio benessere. Decido
di andare a nuotare: se sto bene io forse, anche se solo in
questa immaginazione, potranno star meglio i tanti che
mi assomigliano.
513. A pelle mi sono simpatici gli artigiani e antipatico
chi si propone come creativo: che poi a conoscerli meglio
quasi tutti sono persone piacevoli. Non riesco a togliermi
questo pregiudizio perché con i primi ho spesso imparato
a lungo mentre con i secondi, dopo un’occhiata di
ammirazione per le loro intuizioni, tutto finiva lì.
514. Non tollero per me lo stile di vita della maggioranza
dei miei coetanei e so che non vivrò certe loro esperienze.
D’altro canto so che ho aspetti che gli altri considerano
perlomeno discutibili; ad esempio mi piace convivere
castamente sia con l’invidia che con la vergogna, ossia
animarle, sentirle vive sapendo di non seguirle.
515. Quando eseguo un mestiere manuale non ragiono
tanto. Semplicemente le mani si muovono da buon
italiano; forse in quei momenti non sono io l’esecutore,
infatti sia durante che poi mi sembra che le manifatture
avvengano anche senza di me. Quando faccio l’artigiano
svaniscono dei luoghi comuni che riappaiono non appena
si accende il parolaio.
516. Consigliano che riguardo a certi argomenti si parli al
plurale: verità, popolo, storia non esistono perché semmai
ci sono state le verità, i popoli, le storie. Se fosse così non
vorrei sembrare presuntuosetto, ma anch’io mi vorrei
considerare plurale. Infatti ci sto provando, ma non è così
semplice pensarlo per me, figuriamoci in generale.
517. Per intraprendere nuovi lavoretti o seguire una
nuova passione non mi sono serviti tanti soldi, solo idee
e abbastanza tempo libero. Per avere idee mi servono
osservazione, curiosità e impegno: tutto ciò è gratis,
quindi nessun problema; per avere tempo è bastato andare
dove la gente è libera con poco e intrufolarmi tra loro.
518. Se c’è una circostanza che fa imbestialire molti degli
artigiani che ho conosciuto, bravi in ciò che fanno, sono
le interruzioni che fanno perdere tempo alle loro mani:
chiamate, carte, fattorini, malattie, domeniche. Mentre
chi non sa fare un cavolo vive in un mondo perfetto
quando è immerso nel casino dei commenti, complimenti,
condivisioni.
519. Se c’è qualcosa di insopportabile è il rispetto per le
citazioni, per gli autori, il virgolettato. Sono condotte
giuste e serie dentro alla pochezza di chi si sente autore di
quello che dice e di quello che fa. Ovvio che poi abbiamo
le galere piene, le code dagli psicologi, nei musei e nei
mausolei.
520. Io non provo sconforto davanti alla parcellizzazione
di ogni sapere e alla consapevolezza che la vastità dello
scibile umano mi rende impossibile sapere ciò che altri
sanno; questa vastità non mi inibisce alcuna iniziativa,
anzi mi stimola gli appetiti; semplicemente riconosco
d’essere un nascosto omino anonimo che scrive pensieri
inutili e anche copiati male.
521. Non posso sapere cosa sia il bene, posso però
ricordare le situazioni in cui mi sono sentito bene
sperando non di capirne le cause ma ritentando occasioni
simili: una famiglia amorosa, lavori manuali, stare all’aria
aperta, le numerose passioni di cui potevo facilmente
liberarmi; sto attento con l’intelligenza a non rovinare un
capolavoro d’equilibri.
522. Leopardi mi mostrò come solo nella giovinezza la vita
capita piena di favori; ma la massima vitalità nelle opere
assurdamente l’ebbe tardi mentre le malattie e le delusioni
lo fiaccavano. Forse -ho alcuni dubbi al riguardo- se ne
fregava d’essere vivo nelle opere. Io mi sento di dover
capire la sua lezione evitando quell’assurdità.
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523. Imbevuti dalla dottrina medico-scientifica ormai
si scambia senza rendersene conto la parola vita con
il termine salute; si dice: salvaguardare, rispettare,
preservare la vita intendendo la salute, come se vita
coincidesse con salute, pensiero contrario all’evidenza,
dato che per poco tempo la vita ha buona salute e molte
azioni vitali vanno contro la salute.
524. Non reputo che i problemi sociali vertano sul fatto
che la gente non è altruista; alla gente manca semmai
un sano egoismo: se si volessero più bene sarebbero più
sicuri di sé, non ringhierebbero e avrebbero gioia nel non
ingolfarsi di cause inutili. Ma per volersi bene serve avere
bei paesaggi e teneri genitori.
525. Un mio amico dice che governare gli italiani è
impossibile perché siamo un popolo troppo scafato da
millenni di governi, io invece sono dell’idea che siamo
un popolo di attori che sappiamo perfettamente fingere
gioie e dolori. Entrambi non capiamo se gli europei non
sappiano della nostra furbizia o se siano peggio di noi.
526. Alla domanda se sia etico rinunciare ad un bene
proprio per far nascere un bene altrui, si risponde che
non ci si potrebbe porsi questa domanda se qualcuno non
fosse stato generoso prima con noi allevandoci. Questa
generosità è stata tanto più nobile tanto più ci si può
permettere il lusso di non contraccambiare.
527. Mi piace pensare ad una letteratura fatta di
sperimentazioni, mi entusiasma seguirne i possibili
immaginosi esiti; eppure non leggerei questo tipo di libri:
certi progetti stanno bene come propositi, sono avvincenti
lì, sulle nuvole. Questo esempio è valido per molte fantasie
della vita ed è bene accettarlo, ma non significa cadere
nell’opposto becero pragmatismo.
528. A me viene in mente di raffigurare l’uomo con gli
stili del passato perché non vedo molta differenza tra gli
uomini di oggi e quelli di diecimila anni fa. Non riesco
proprio a vederle tutte queste rivoluzioni che gli storici
declamano come assodate; anzi, penso che dandole per
compiute abbiamo purtroppo finito di rincorrerle.
529. Rileggendo questi paragrafi mi viene da sorridere per
le loro conclusioni. Queste frasi mi sono comunque care,
a parte un po’ di vergogna, perché con esse ho convissuto
bene con me stesso e con chi mi stava attorno. Credo
di non essere l’unico a pensare cavolate e a riuscire a
condurre una vita sana.
530. Quando affermo che ai fini pratici le frasi
sconclusionate che scrivo non sono tanto rovinose dico
una verità parziale: queste idiozie non mi danneggiano
solo in virtù d’altre verità di cui sono inconsapevole, che
in qualche modo ho ricevuto e che fanno da fondamenta
permettendo che io possa poi erigere i miei instabili
baracconi.
531. Impariamo il valore della sincerità eppure sappiamo
che ci sono circostanze e ruoli dove non si deve essere
sinceri. Insomma la sincerità non può essere considerata
benefica se prima non è stata valutata la situazione
complessivamente. In un mondo che si crede complesso
quale è lo spazio, che non sia l’ingenuità, per la sincerità?
532. Quando devo prendere delle decisioni rispettando i
criteri della razionalità vedo che le mie ragioni non sanno
come giustificare la loro autorità se non rinserrandosi
in un mondo fatto di forza che si autolegittima; sembra
uno stato autarchico, un coacervo di cunicoli che essendo
abitato, espandendosi ed ingrandendosi viene preso per
una splendida città.
533. L’urbanistica del mio cervello non riesce a gestire le
sue bidonville che pullulano di pulsioni ed insensatezza;
le illusioni che nascono in questi luoghi e che mi fanno
vivo non le accatasto vicine al fuoco dell’intelletto che le
brucerebbe volentieri. La saggezza non è saper giocare a
scacchi ma è la prudenza delle differenze.
534. Riflettere non mi fa aumentare il piacere della vita,
navigare sì; ma Sapientino lo tengo all’erta (anche se
alcuni malesseri sono sorti in concomitanza con il suo
surriscaldamento). Meno male che lavoro con le mani e
che qui dove sto non c’è altro da fare che buttarsi in mare o
salire su un vulcano.
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535. Per cento anni abbiamo vissuto usando il petrolio ed
abbiamo inquinato l’atmosfera; è da tanto che cambiamo
l’ambiente forse perché ci sentiamo scomodi con noi
stessi. Ora viviamo usando Internet e spero che non capiti
al nostro cervello lo stesso che è capitato all’aria dato che
le tecniche che adottiamo entrano nel nostro corpo.
536. Se fossi un dittatore agevolerei ogni tipo di
informazione e contrasterei ogni censura in qualsiasi
argomento. Lo dico perché il primo problema che una
dittatura deve combattere è l’opposizione e la resistenza
e non c’è metodo migliore di sconfiggerla che portarla
all’intontimento e da quello che vedo Internet è più
potente e pericoloso dell’eroina.
537. La società spera di salvare il mondo diminuendo la
produzione industriale e aumentando le contemplazioni
del cervello; se fosse così passeremo dall’inquinamento
esterno a quello interno e i casini del mondo si
trasferiranno nell’animo. Sembra che non riusciamo a
toglierci il vizietto che ci agita tanto che è il passare da un
eccesso all’altro.
538. Alcuni dicono che il mondo è sull’orlo del collasso o
del precipizio. Io credo che se anche cadrà si risolleverà
presto perché l’uomo non smetterà di fare e facendo
risolverà i problemi che lo hanno portato in disgrazia e
così continuerà a generare altri problemi per altre cadute,
scivoloni o infarti. Siamo animali simpatici.
539. Io non darei per scontato che la scienza sia il comune
denominatore della mia epoca, semmai proprio il fatto
che questo appaia evidente mi potrebbe far pensare che
magari altrove stiano le ragioni comuni del nostro oggi. Mi
sembra teatrale il cercare il gran burattinaio del mondo e
mi sembrano tenebrosi i suoi ritornelli.
540. A leggere i libri di sociologia, di psicologia,
d’antropologia parecchi sono d’accordo a mostrare i
cambiamenti epocali che sono intercorsi con l’avvento
dell’agricoltura, del pollice opponibile, dell’industria,
dell’inconscio, dell’alfabeto, del logos. Poi entro in un bar
qualsiasi e scopro che rispetto a centomila o a un milione
d’anni fa poco di sostanziale è cambiato.
541. Quando leggo che in quest’epoca non ci si illude più
mi chiedo se per caso vivo su Marte; ogni espressione che
ascolto, ogni gesto che vedo per me sono mossi da piccoli
o grandi sogni: i miraggi sono tanti e diffusi che non si
notano più e ci si illude anche di essere disillusi.
542. La storia esiste nei discorsi, nei libri che la
descrivono; ha pochi riferimenti al di fuori se non viene
raccontata: dal momento che ce la dicono, le vicende
diventano reali e tutto appare confermato, fintanto che
non si leggono altre pagine che scrivono altre storie.
Questo vale anche per questo e qualsiasi altro discorso?
543. Vivo in una stagione che pone il dogma di non avere
dogmi. Ponendo dubbi, questioni su ogni questione
rimane la certezza che ogni valore, idea o verità sia
circostanziata, mai necessaria. Ossia regna la legge della
relatività con tanto di imprimatur scientifico, alla faccia
del sentirsi liberi e scevri da persuasioni sistematiche e
serie.
544. Quest’epoca ha il merito d’aver messo allo scoperto,
tra le altre cose, molte mediocrità. Lo spettacolo può
sconfortare ma è simpatico vedere la variata monotonia
che ne esce; anch’io rimescolo le solite quattro formulette
(è credibile un’alternativa?), ma insisto: non è tanto
importante ciò che uno concepisce ma il suo uso e giusta
collocazione.
545. Si dice che il livello di educazione non regge
la complessità della società e quindi si reclama più
formazione. Ma il mondo possibile (non quello di cui
si dice, si scrive, ci si informa) non è né semplice né
complesso ed ha le sufficienti misure per trovare il modello
di vita adeguato a ognuno.
546. Se, se (meglio ripeterlo) crediamo che questa
società sia complessa, allora è obsoleta quella educazione
che insegna una morale, che divida la correttezza dalla
ingiustizia. Meglio sarebbe abituare i bambini a studiare,
interpretare le leggi, a sapersi tenere informati sulla
legislazione vigente di dove vivono, sulle normative
relative a quello che andranno a fare.
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547. Con i contratti ci si può fare aeroplanini, servono
a malapena come promemoria dei dati anagrafici.
L’unica sarebbe conoscere l’altro contraente, ma questo
è impossibile perché non conosciamo neppure nostra
madre, figuriamoci gli estranei. La soluzione per gli onesti
per conservare l’ingenuità sana senza perdere serenità è
non mettersi nelle faccende mediocri degli avidi.
548. Le persone della strada non capiscono e spesso
rimangono scontenti della giustizia, ma quando si fanno
leggi ascoltando la gente, poco dopo la società peggiora.
Se un popolo in una democrazia complessa non è in grado
di intendere cosa significhi scrivere delle leggi, arriva
qualcuno che lo governa o fingendo di rappresentarlo o
trascurandolo.
549. Mai educherei un bambino ad essere scorretto o falso:
la vita gli mostrerà i diversi livelli di falsità o ingiustizia
degli adulti, dalle più meschine alle più edificate, tra cui
quella che gli farà credere di poter scegliere se essere
giusto o meno. La giustizia è un lusso che potrà ottenere
se capirà questo.
550. Gli onesti devono convincersi che per essere
corretti devono trovare le condizioni nella comunità
che lo permettano senza trasformarsi in martiri. Uno
stato che non rende facile l’onestà va osteggiato perché
la maggioranza o diventa disonesta o emigra. Quanti
disonesti italiani sono stati creati che non lo erano? Essere
disonesti è accettare un ricatto.
551. Ad un italiano direi non di andarsene, ma di scappare
dal Paese perché è un luogo dove si mescolano tanti e
contrastanti egoismi da rendere l’habitat soffocante. Una
volta fuoriuscito da quella galera troverà più facile vivere,
quasi che fosse in una seconda giovinezza, sempre che non
ricada in un altro feudo di arroganti.
552. I fattori che determinano una navigata senza
problemi sono: avere delle buone previsioni meteo,
un’accurata osservazione della situazione dell’oceano, le
esperienze precedenti nelle medesime condizioni; in caso
di condizioni forti o anomale bisogna usare più prudenza
e non navigare da soli. Così vale anche per altre occasioni.
Lo so eppure sulla terra ferma sbaglio.
553. Secondo qualcuno voler togliere la sofferenza
dall’uomo significa voler far perdere l’esperienza del
negativo, dell’altro. Quindi secondo questo ragionamento
anche uscire dal carcere farebbe male perché si perdono
i compagni di cella, le visite dei parenti e l’ora d’aria.
L’uomo ne ha inventate tante che troverà anche il modo di
esperire senza dover soffrire.
554. Quando ho un difetto che persiste, con il tempo
diventerà la mia personalità; così la maggioranza delle
famiglie in disfacimento non provocherà la crescita
di tanti disgraziati, ma porterà ad un cambiamento
sociale che restituirà normalità ai comportamenti oggi
considerati problematici. Quindi attenzione prima di
migliorare le mie deficienze, perché non si sa mai.
555. “Vista l’infinita varietà e vastità degli enti, l’uomo,
la vita, il suo pensiero hanno lo stesso valore e senso di
qualsiasi altro essere di questo mondo”. Questo pensiero
non lo sento come una perdita di senso, una mancanza di
importanza per me, all’opposto lo prendo per ficcarmi nel
banchetto assieme ai miei infiniti amici.
556. Come non posso essere grato ai generosi che si
affaticano per regalare il bene agli altri sacrificandosi?
Sono anime buone e capaci di alleviare il dolore ma ciò
nonostante mi chiedo come fanno a promuovere negli
altri quella leggerezza a cui rinunciano per loro stessi.
Funziona ancora l’infinito stratagemma di godere delle
contentezze altrui?
557. Sembra che il mondo abbia bisogno di buoni esempi,
di persone che dimostrino con le loro vite le loro idee e non
di chiacchieroni. Ma ci si dimentica che il mondo è pieno
di persone esemplari che sono riservate, infatti non me la
immagino una grande persona che spintona per mostrare
le sue doti.
558. Quando cerco d’essere ancora più libero, altro non
faccio che inseguire un concetto astratto, una favola
che ci raccontiamo da qualche secolo, ossia pochissimo
rispetto ai milioni d’anni a cui appartengo; se invece
semplicemente mi organizzo per andare a navigare mi
sembra che tutto si risolva da sé. Questo era valido anche
nel passato?
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559. Un figlio invece di litigare con il babbo, la mamma,
zii, nonni, cugini, eccetera dovrebbe concentrarsi a
non ricadere sugli stessi errori che la sua famiglia gl’ha
passato. Il più delle volte i demoni domestici infuriano
la mente e crediamo d’essere differenti dai parenti solo
perché chiamiamo i nostri difetti con dei termini diversi.
560. Osservando come si procurano il benessere gli uomini
ho capito che le origini dell’allegria sono oscure, mentre
per l’infelicità agiscono chiaramente: l’assenza d’affetto
da piccoli, malesseri corporali, la solitudine, i vizi, la
pigrizia, la mancanza di amicizie e amori; altra misera
constatazione: evitare l’infelicità non porta all’allegria ma
almeno arreca un po’ di serenità.
561. Ho verificato che il posto dove si decide di rimanere
influisce sulla vitalità e gratificazione degli uomini in
modo maggiore rispetto ai soldi anche in situazioni
disagevoli. Non capisco quindi perché gli italiani non
scappino: se è per pigrizia o ignoranza; osservandoci
sembriamo indemoniati di ostilità condominiali,
preferiamo vivere denunciandoci per il posto auto.
562. Dovrei calcolare le conseguenze per i modi che
ho di esprimermi con gli altri: dire la verità, tacere,
mentire, omettere, dimenticare, sottintendere, inventare,
ascoltare. Al netto delle circostanze e del tipo di
interlocutore, ho constatato che sarebbe meglio iniziare
a parlare facendo i dovuti preamboli, ma allora non
basterebbe una vita per dirli tutti.
563. Seziono un poco i vocaboli, specie quelli aggrovigliati
come “felicità”, ancor peggio “libertà” perché ritengo che
la realtà non sia altro che un imbroglio letterario e i poeti
(che non sono quelli che scrivono poesie) sono coloro che
annodano la rete dei sensi su cui ci perdiamo. Costoro
sono i veri potenti, non altri.
564. Solo un individuo innamorato della schiavitù
indorata da invidie e ossequi vuole il potere: è la forma
dell’umano agire tra le più ridicole -senza far ridere- a pari
merito di chi si sente di subirlo e vorrebbe averlo. Il potere
se non logora chi ce l’ha è chiaro sintomo di squilibri
ormonali o sentimentali.
565. Ho dei difetti che mi permettono di vivere bene
mentre ho dei pregi che mi rendono l’esistenza più
complicata e tendono ad invadere lo spazio della mia
giovialità. Quindi ho imparato a fregarmene di questi
presunti meriti o demeriti e pongo più attenzione a
valutare come e quanto queste parti si accordano con
l’insieme.
566. Quando scopro una mia stranezza, una slealtà, un
torto, una parte del carattere difficile, osservo che lì c’è
un’energia importante che ha resistito ad un contorno
che la giudica male e che non la vorrebbe così; cerco un
gioco, una scena, una complessità dell’animo che possa
valorizzare questa mia negatività senza generare problemi
ingestibili.
567. Io giudico inconciliabile con me, ripugnante, il dolore
mio o degli altri; fatto salvo questo principio inderogabile
inizia lo spasso di ristabilire ogni volta le altre priorità
perché molte delle componenti del sistema, come il valore
identitario, le paure, ambizioni, affetti, buon senso, sogni,
eccetera vogliono dire la loro mettendo a repentaglio
l’assemblea condominiale.
568. È stato più utile imparare a tollerarmi che
rinunciare alle mie differenti indoli. Quando sorgeva una
conflittualità tra alcune parti sapevo che eliminare un
carattere avrebbe leso la mia varietà, qualità utile per
predispormi alla diversità delle situazioni; è stato quindi
inevitabile apprendere a sopportarmi, senza acconsentire
troppo ad atteggiamenti che pregiudicavano la salute.
569. Questa duna di sabbia dove vivo non è il paradiso
ma non è neppure l’inferno della città. In uno scoglio
essendoci nulla da fare ci sarebbe l’opportunità di
imparare a far nulla, ma anche questo luogo non è il
nirvana e quindi ci si agita con quel poco che ci rimane: il
nostro corpo.
570. Non considero sia plausibile una teoria sulla libertà,
sulla contentezza o sul piacere. L’unico metodo che
riesco ad estrapolare da questi argomenti è trovare, tra
le infinite imprudenze che ascolto, qualcosa che per me
è stato utile. Questi scritti si muovono dentro a questa
consapevolezza e si guardano perplessi quando sembra
provino il contrario.
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571. Quando sento dire che riguardo alla felicità o lo
stesso piacere non si possono che avere stratagemmi, mi
chiedo com’è possibile allora che il benessere, al netto
della sfiga, riesca a progredire, anche se lentamente
ed irregolarmente, rispetto al passato. Qualcosa di
sistematico dobbiamo pur averlo capito se si stanno
sommando alcuni risultati positivi.
572. Non vedo una consistente differenza tra l’intelligenza
di un uomo geniale e quella di uno scemo. Sarà anche una
mia forma inconscia di autodifesa ma constato che uno
non ha compreso molto di più rispetto all’altro. Mi piace
pensare che fra poco un computer supererà chiunque in
questa garetta. Io preferisco andare al mare.
573. Giudico la mia microcefalia come sana quando mi
chiedo come sia possibile che un genio possa vivere
male; ossia come sia possibile che proprio la capacità
del raziocinio di un mortale non riesca a tracimare le
forme stereotipate della genialità per diffondersi in gesti
che favoriscono il suo benessere. Può chiamarsi la sua
intelligenza?
574. Osservo stupito come uomini intelligenti facciano
una esistenza abbacchiata; sembra che le loro vivacità
intellettive si esprimano solo nelle forme più proprie del
pensiero come il dialogo, la scrittura, l’insegnamento, la
ricerca. Non capisco se la specializzazione dell’intelligenza
preveda questo destino o se ogni avventura sia viva dentro
di loro senza darsi a vedere.
575. Spero che le generazioni che verranno abbiano
bisogno di più sobrietà rispetto alle ultime generazioni
invasate da elicotteri, viaggi spaziali, superconduttori,
micro-polveri intelligenti. Sono state generazioni che
hanno fondato la loro identità su una inquietudine di
fondo che caricava ogni cosa si toccasse con una scaffalata
di significati e desideri. Confido nei giovani analfabeti.
576. Quando mi informo di politica, di economia mi chiedo
come sia possibile che io abbia il diritto di voto tant’è la
differenza tra la mia ignoranza e la competenza degli
esperti; mi spiace che gli intelligenti debbano subire le
conseguenze di tanti come me, ma avranno altro con cui
consolarsi viste le loro destrezze.
577. Non capisco le critiche ai creativi in quanto
appartenenti ad una élite che tende a garantire il proprio
status. Ogni professione che ha dei privilegi tende a
difendere il proprio orticello; non comprendo perché
architetti, stilisti, fotografi famosi debbano essere
differenti dai politici o dai preti. Almeno loro la fama se la
sono sudata.
578. L’Italia è quasi riuscita ad avere una democrazia
diretta mettendo al potere persone non che
rappresentavano ma che erano il popolo. Questa
vicenda non è andata male come qualcuno prevedeva,
sospettava, augurava ma è triste constatare che anche
questa volta gli italiani hanno pensato che la colpa del mal
governo era dei soliti politici.
579. Non ricerco il senso della mia vita quando sgobbo e mi
rallegra pensare che nella professione ho comportamenti
differenti rispetto ad altri momenti della giornata; altro
che brutta incoerenza: ce ne fossero di più di questi
compartimenti stagni nella mia vita, sarei più persone e
mi potrei godere il passare da un carattere all’altro.
580. Avendo visto lavorare ricercatori, baritoni, ciclisti,
pittori ho capito che le passioni a lungo termine si
acidificano. Separare le passioni dai mestieri è una pratica
non distruttiva ma conservatrice che si arricchisce di
nostalgie e utili rimpianti; fare il velaio solo la mattina
mi ha stimolato di sognare edifici immaginari più che fare
l’architetto.
581. Un compagno mi fa presente che sto generalizzo
troppo, ma io mi chiedo se usando il linguaggio si possa
non generalizzare. Anche quando diciamo un numero
si universalizza, il linguaggio serve proprio a questo ed
è bene saperlo. Per questo non capisco i discorsi sulla
complessità che sembrano voler saltare le semplificazioni
delle parole.
582. Sperimento che quando il tempo maggiore di una
giornata è libero dalle occupazioni non è così scontato il
saper vivere e basta, ed infatti si cerca di trovare impegni
che riempiano un tempo inquieto. Ai noi maschietti,
soprattutto, sorge rapida la scomodità della noia, viviamo
come se fosse impellente un pericolo o una necessità.
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583. Non mi stupirei se un antropologo o paleontologo
dovesse scoprire che l’umanità per un lungo periodo fu
schiavizzata o sottomessa da un’altra specie animale,
dato che l’uomo ha innato più il piacere per la regolarità
e la dipendenza che per l’irregolarità e l’indipendenza.
Vedo che molti nominano la libertà ma poi scansano le
emancipazioni.
584. Non sarei così canterino se non avessi avuto delle
condizioni lavorative ed economiche favorevoli. Non sono
un genio, non mi hanno aiutato, non sono di famiglia
ricca eppure è stato facilino avere tutti i pomeriggi liberi
e godermeli come meglio credo. Mi è stato utile aver fatto
tanti lavoretti perché mi sembravano dei giochi.
585. Dovendo guadagnare ho preferito svolgere attività
manuali, facili, brevi altrimenti noiose; l’ho fatto perché
mentre lavoravo dormivo con la mente per poi essere
fresco nel tempo libero e usarla dove capitava che si
posasse, quindi liberandomi da pregiudizi; ho solo una
testa e non c’è passione e tanto meno occupazione che la
merita tutta.
586. Facendo vari mestieri per campare in Paesi differenti,
ho notato che le pratiche lavorative un po’ ovunque si
assomigliano ed insegnano espedienti simili per svolgere
le faccende senza troppi problemi. Anche per condurre le
consuetudini del quotidiano non esistono regole o leggi
bensì accorgimenti che si apprendono senza che qualcuno
te li possa insegnare.
587. Mi sembra una abitudine al martirio pensare che
per riuscire nelle imprese bisogna insistere. A volte con
piacere bisogna lavorare sodo, ma solo se gli eventi sono
disposti a muoversi nella buona direzione. Semmai mi
impegno a calcolare il limite esatto degli impegni che mi
garantisce di avere più tempo libero durante il giorno.
588. Io come artigiano vedendo parecchi ragazzi con
poca voglia di sporcarsi le mani e di faticare dovrei non
aspettarmi granché da questa nuova generazione. Invece
mi chiedo se per caso i giovani hanno intuito che il futuro
non sta nella carriera; forse la loro è una abilità che quelli
come me neppure possono intendere.
589. Noto che la complessità e l’aggiornamento continuo
che vengono richiesti nel mondo del lavoro portano a che
si debba cambiare impiego o trasformarlo in qualcosa
d’altro; lo impone il mercato e l’avanzare della tecnica.
Io ho preferito seguire il ritmo ancor più veloce dei miei
umori cambiando occupazioni senza aspettare il verde del
semaforo.
590. È evidente dal modo con cui gli adolescenti si
relazionano che i discorsi stanno perdendo di interesse;
ascoltando i giovani sembra si dicano solo sciocchezze,
mentre invece siamo noi che sbagliamo esaminandoli
solo dal lato dei discorsi, come se fossero audiolibri.
Comunicano con altro che per sua natura non trova
termini per essere circoscritto.
591. Ovvio che anch’io dico che oggi abbiamo “più” mezzi,
“più” tecnica del passato ma se ci ragiono i conti non
tornano. Più tecnica, più mezzi? Come vivi tu? Meglio o
peggio di un tuo trisavolo? Ma che c’entra? Sicuro che non
c’entri nulla? Con che criterio metti quei “più”? Contando?
Guardati e non contare.
592. Se gli adulti smettessero di cercare le verità ultime,
di credere nelle religioni, per me finirebbero i migliori
spettacoli; gli equilibrati, i ponderati che vivono tranquilli
e sereni, li trovo noiosi nelle forme. Anche la noia, con più
impegno, può avere un grande potere evocativo, ma un
sempliciotto come me preferisce andare al circo.
593. Quanti sono quelli che credono ai Marziani? Quanti
hanno delle assurde convinzioni o nel cervello le peggiori
cattiverie o meschinità? Credo che si debba ripensare il
rapporto che abbiamo con la “verità” perché mettere tutti
questi nell’inferno della stupidità o cattiveria non è più
una questione giusta o sbagliata, semplicemente serve
sempre di meno.
594. Se questi paragrafi avessero senso per le asserzioni
che vi sono scritte sarebbe l’espressione di un fallimento.
Ma invece questo oggetto, così lo considero, lo vado
riempiendo solo quando non posso andare per mare
divertendomi, vivendo momenti che non richiedono
di passare per questo saputello libercolo che smania di
ripensare gli angoli della stanza.
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595. Dico sciocchezze e sarà facile trovare il modo
che vengano poco lette, mentre altri uomini stanno
scrivendo riflessioni intelligenti. Mi domando: è tempo di
aggiungere pensieri penetranti? Come mai non coltiviamo
l’orto? Perché è diventato difficile fare cose semplici?
Il guaio è che ormai si possono fare solo se si sanno
riconoscere le sciocchezze.
596. Cristo ha fatto bene a ordinare di predicare che il
regno dei cieli era vicino. Gli apostoli cosa avrebbero
dovuto annunciare? “Per i prossimi duemila anni gli ultimi
rimarranno tali però almeno li terrete distanti da casa
vostra.” Ha guardato all’essenza del discorso che si ottiene
guardando negli occhi chi ti sta ad ascoltare.
597. Cerco di gestire le mie ambiguità con una loro
previa esplicita esposizione in modo che le proposizioni
contraddittorie che ne escono circolando e scontrandosi
tra di loro ammorbidiscano le loro reciproche spigolosità.
Questa ipocrisia è a salvaguardia di un imperativo che
vuole salvare le belle giornate che bene si conciliano con il
sentirmi leggero.
598. C’è differenza tra nuotare e farsi una bella nuotata.
Il mare deve essere limpido, turchese, non agitato, il
fondale visibile, variato, abitato, il Sole deve riscaldare
forte ma non accecare soprattutto se si nuota a dorso.
Cosa importante: il corpo deve essere in forma, non
sentire resistenza, avanzare veloce a ritmo per molto
tempo.
599. Certe persone che stimo osservano che il mondo
va a rotoli e sciorinano dati a sostegno di questa tesi. Se
dovessi trovare la fonte diretta delle azioni che portano
a questo ipotetico disastro direi l’avidità, ma ancor più
importante di questa causa forse le una atavica insicurezza
che fa correre gli uomini all’abbuffata violenta.
600. Se è vero, come raccontano le fiabe seriose, a cui
volentieri crediamo, che siamo individui con tanto di
nome e cognome allora visto che ci raccontano la storia
delle nazioni, delle arti, del globo, della vita è bene quindi
che anche ognuno sappia raccontarsi la propria di storia
riciclando il materiale delle altre fiabe.
601. Mi risulterebbe difficile elaborare analisi sulle
circostanze sfuggendo da basi preconcette se non usassi
inizialmente la falsità come materiale di costruzione per
nuovi argomenti. Con la menzogna posso tessere una tela di
ragno immaginaria e fragile ma che intanto fa da supporto
a successivi pensieri che via via si strutturano meglio
richiamando più credibilità.
602. Trovo fallimentare il riscatto del ruolo della
menzogna, della fantasia nei nostri tempi; esso nasce dalla
considerazione che la scienza e la tecnica dominando la
scena della verità non possano essere criticate sul piano
delle prove, quindi ci si illude che usando consapevolmente
l’immaginazione si possa trovare un’alternativa per
ridefinire la visione del reale.
603. Rari sono quegli amori dove entrambi, pur
desiderandosi, intendono che il viaggio della vita dell’altro
deve essere lasciato libero dalla loro passione. Sono
relazioni divine perché normalmente agli amanti piace stare
assieme, ma le poche vicende umane sublimi sfuggono dalle
consuetudini e manifestano che è la vita a contenere l’amore
e non il contrario
604. Fantastico di poter cambiare il mio mondo se riuscissi
a dare un senso nuovo alle espressioni, ma ogni volta
che facevo questo trovavo un significato legato già ad
altri contenuti. Quindi adesso decido che non devo più
cercare nuove accezioni, ma ridimensionare le pretese
ed aumentare gli sforzi lavorando sulla combinazione dei
luoghi comuni.
605. Sono fortunato perché vivo a prescindere dai
controsensi che alimento; c’è un ordinamento superiore che
mi garantisce la sopravvivenza rendendomi immune da ciò
che penso. Non oso pensare ai danni che provocherei se alle
mie asserzioni si dovesse passare ai fatti. Riesco a vivere
nonostante me stesso, quindi meglio se non mi prendo
seriamente.
606. Il non aver ritorno economico da un’attività cosiddetta
spirituale sembra ripari quest’ultima dai vincoli della
professione; da qui il mito del poeta, autore sfortunato
economicamente ma puro e libero; altri credono che proprio
i condizionamenti, i limiti siano le basi necessarie su cui può
crescere e creare uno spirito. Io trovo questi discorsi noiosi.
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607. Le persone che hanno carriere importanti sono
abituate al fatto che agli accordi corrispondano dei fatti,
ma se alloggiassero momentaneamente nel mondo della
maggioranza dell’umano lo troverebbero un manicomio.
Tra la gente comune poco funziona, poco coincide; la
coerenza, le promesse, i debiti, i meriti, si rimescolano.
Ma non perciò vivono peggio o meglio.
608. Spesso la soluzione di un problema non ha
molto a che vedere con il problema stesso, ma non
immaginandoselo ci si ostina anni su questioni senza
trovare la soluzione. Nei rapporti di coppia questo
avviene spesso: si crede di divorziare perché la coppia
non funziona mentre ciò che non andava erano le famiglie
d’origine.
609. Credere alla biografia come reale è una comoda
imprudenza, ma “non ha se non quel valore che il pensiero
stesso le conferisce”; non ci sarebbero impronte da leggere
fintanto che non mi affido al volerle leggere; non giudico
le invenzioni, le velleità che vado pensando credendo di
guardarmi indietro: sono magnificenze che mi concedo.
610. Anch’io sono dell’idea che non si possa capire senza
averne un concetto; riconosco che abbandonare il sapere
non sia qualcosa di semplice perché l’ignoranza rischia
d’essere a sua volta un’altra nozione. Se abitiamo il
linguaggio allora è inutile volerlo perdere perché ci seguirà
comunque; la soluzione non c’è fintanto che abbiamo
brama di sapere.
611. Se penso devo rifarmi alla memoria che è più
capace di perdere che di trattenere, e spesso agisce
involontariamente rispetto alle intenzioni, ne segue
che il pensiero agisce in difetto rispetto alle esperienze:
sbagliato. Non fai alcuna esperienza se non passa nella
mente, quindi ragiona e potrai ricordare anche quello che
non hai fatto.
612. Sono d’accordo con chi vede nella nostra società
individui iperattivi; dimentica però che la maggioranza
delle persone, grazie ad una buona ed inconsapevole
cultura cinematografica, sa recitare e che le genti di cui
si parla forse non superano il 10% della popolazione
mondiale. Ho visto tanta gente non fare un tubo e
campare bene.
613. Il più delle volte in cui ho avuto una discussione, il
problema ad analizzarlo con calma verteva nel non essersi
intesi sui significati e nel tono di voce utilizzato; così
sto imparando a confrontarmi facendo ben attenzione
ai fraintendimenti e agli sguardi; un amico mio sta
consigliando di iniziare a rispondere dicendo “sì, certo…”
614. Parafrasando, le parole soffrono di un complesso di
inferiorità rispetto ai fatti, cercando qualcosa, un oggetto,
un senso a cui riferirsi. Non capita così ad un sasso che
sembra fregarsene. È questo infatti che mi piace degli
oggetti, la loro indipendenza. Ma un sasso senza alcun
vocabolo esiste? No, ma ciò nonostante lo preferisco.
615. Mi chiedo: se ascoltassi le innumerevoli voci che
gli uomini hanno pronunciato dalle loro lontane origini
ad oggi che rumore di fondo apparirebbe? Apparirebbe
una lista della spesa o delle preghiere? Inni alla gioia o
imprecazioni? Oppure nel profondo si sentirebbe questo
desiderio di volersi, di credersi riassumibili in alcune frasi
e non altre?
616. Posso esimermi dal fatto che mentre qualcuno mi
pensa, in qualche modo non mi veda? Possiamo pensare
come se il mondo fosse solo una biblioteca e oltre ai
volumi non esistesse null’altro? Sembrano follie eppure
spesso parliamo senza guardare chi abbiamo di fronte
e ragioniamo, decidiamo mirando ai libri di storia, di
scienze, eccetera.
617. Per uno che ragiona non c’è destino peggiore che
essere governato da un ignorante; infatti le classi dirigenti
e scientifiche considerano già il voto del popolo come una
sciagura ed è imbarazzante sentire le motivazioni che
danno per sviare poi le scelte elettorali e ricondurle verso
quelle che sarebbero per loro le giuste direzioni.
618. Se ho dolori vado all’ospedale, ma i medici mi aiutano
poco a sopportare i mille altri tormenti o sofferenze
della vita, tra cui quelli generati e ingigantiti dal fatto di
credere che a ogni patimento ci sia una cura. Gli animali
insegnano molto sulla sofferenza, bisognerebbe copiare la
loro compostezza e il loro silenzio.
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619. Volendo assumere dentro di me diverse indoli
per poter essere più predisposto ad un mondo creduto
complesso, e compreso presto che ciò era difficile perché
alcune parti sarebbero entrate in conflittualità tra di loro,
ho pensato che fosse più pragmatico saper imitare alcuni
caratteri differenti e usare queste parodie nei tempi e
luoghi adatti.
620. Per come le ho conosciute mi è sembrato che le
forti personalità si siano costruite, in una fase iniziale,
su esperienze eterogenee a volte anche inconcludenti
e sperimentali, per poi versare e solidificare questa
ricchezza di conoscenze in un progetto grande quanto
il loro orgoglio. La fierezza prima fa crescere ma poi fa
decadere.
621. La mia individualità esiste solo perché mi hanno
educato a crederci; io sono perché mi hanno detto e mi
dico che esito. L’unica maniera per esistere è raccontarmi e
raccontare le sincere finzioni, condividerle e perciò averle
pensate già condivisibili. Sembra questo discorso molto
strano invece è utile, concreto ed avviene in ogni istante.
622. Quando studiavo la storia dei popoli antichi ciascuno
aveva il vizietto di credersi al centro dell’universo. Adesso
che siamo schiacciati come sardine, siamo passati al
volere essere al centro dell’attenzione. La fobia di sentirsi
periferici punzecchia parecchio, ma io da buon veneto
preferisco la periferia per far meglio i miei comodi: magna
e tasi.
623. Io bagolo a cicli perché così relativizzo; osservo
che i popoli vecchi con grandi tradizioni spesso stanno
a cianciare: tanti secoli alle spalle ti sbattono in faccia
l’inutilità delle azioni. Un popolo si riattiva all’azione
quando si illude di qualcosa, come quello cinese ora.
Anch’io mi rimuovo quando arrivano i periodi con nuove
passioni.
624. Quando sento declamare la straordinarietà dei
tempi moderni penso che su ogni cambiamento prevale
comunque una quotidianità che rende le epoche simili tra
loro. Francamente mi immagino sovrapponibili le mie
giornate con quelle vissute da un ragazzo alcuni millenni
fa. Ma l’attualità si è specializzata a vedere più le differenze
che non le similitudini.
625. Conosco il nervosismo e poi la depressione di uno
sportivo che interrompe la sua attività per un infortunio:
situazione simile a quando uno spirito creativo non riesce
a realizzare ciò che vuole. Mi chiedo se questi malesseri
nascano da una malata e sproporzionata considerazione di
sé stessi o se sono prove alla tenace vitalità.
626. Amo il teatro perché mi terrorizza la irreversibilità
degli eventi negativi della vita; nelle recite invece si può
abbassare il sipario o premere il rewind. Mi obbligo a
sperare che ad ogni orrore ci possa essere una soluzione
almeno che lo mitighi visto che ancora oggi solo a volte la
tecnica riesce a rimediare.
627. Anche a me capita che alcuni aspetti del mio
carattere vengano inibiti da altre componenti. È una pena
però vedere perire qualcosa di vivo di me. Meglio sarebbe
ampliare lo spazio dello spirito per poter far vivere più
aspetti. Recitare in privato confido possa servire a tale
scopo perché aiuta a sdoppiarsi con tranquillità.
628. Se dovessi spiegare ad un uomo del passato o
futuro la vita che faccio durante il giorno troverei
molte difficoltà. Come spiegargli che riparo mute per
surfisti? Bastano 100 anni per rendere incomprensibili
ed incredibili certe abitudini tra di loro. Eppure le
preoccupazioni e le gioie della vita quotidiana forse erano
e saranno simili.
629. Chiesi ad un amico ingegnere perché la gente dice
spesso un mare di fesserie; mi rispose: “Le parole sono
gratis”. In effetti gli unici che devono prestare garanzia
alle esternazioni che dicono sono i professionisti,
infatti si fanno pagare. Bene! Allora questo libretto lo
metto gratuito così anch’io mi giustifico di non esserne
responsabile.
630. Non avendo attitudine per grandi voli pindarici, ma
spirito ironico, mi aiuto a pensare diversamente usando
il vocabolario dei sinonimi analogico, nomenclatore
Gabrielli; così, sorridendo che sedia sia collegata con
strapuntino e predellino mi vengono nuove idee. Quindi la
letteratura non è fatta di soli libri ma anche di brogliacci,
calepini, effemeridi, scartafacci, vacchette.
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631. Anche io, quando ascolto un tizio raccontare
entusiasticamente la sua vita intensa presumo che sia
vittima dell’imperativo sociale che ci vuole vivaci e allegri:
ho degli evidenti pregiudizi negativi per quanto concerne
l’apparire che non tengono in conto della complessità degli
individui; mi dimentico che mille possono essere i moventi
del parlare delle persone.
632. C’è un mercato culturale fatto di libri, riviste, corsi,
pseudoreligioni riguardanti metodi per raggiungere
la felicità che infastidisce chi affronta i problemi
dell’esistenza con profondità. Mi chiedo quali danni
provocherebbero queste bancarelle spiritualistiche e
perché danno così disturbo i loro modi superficiali. Forse
le risposte convergono nel considerare le lettere più
importanti delle persone.
633. Sfogliando quei libri definiti commerciali e che
spiegano come ottenere amore, successo, soldi, avverto un
silenzioso e gigantesco giudizio negativo rispetto a queste
pubblicazioni, le loro credenze, i loro autori e persino
le loro copertine. C’è da rattristarsi per questa assurda
intolleranza tra i supposti livelli della cultura, quando il
nemico comune dovrebbe accomunare.
634. Quando dico che per sapere ciò che è giusto e ingiusto
devo leggermi le leggi verrebbe da inorridire perché dovrei
saperlo da me; ma quei codici scritti sono la mia persona
forse più di quanto io creda di essere me stesso. Potrei
esser nato, mangiare, parlare, pensare, credermi soggetto
senza queste costruzioni apparentemente esterne?
635. È difficile per uno scultore figurativo avere idee chiare
quando le evidenze sembrerebbero mostrarci un’umanità
eterogenea frammentata, non una scena stabile vissuta
da protagonisti. Ma io che sono un ceramista sento questi
ragionamenti campati in aria; perché mi dovrei perdere
la goduria di modellare la figura di una persona per delle
ipotesi di altri?
636. Se anche l’Occidente si stesse estinguendo con i
suoi valori non prevederei una fine della nostra razza. Il
procedimento appare lento e diffuso e così saranno i danni
provocati. Forse ci sarà una carneficina di profondi valori,
ma la storia indica che le barbarie non sono epigoni della
cultura… che è dura a morire.
637. È evidente che ci sono dei cicli storici fortunati che
vengono vissuti in maniera sciagurata da alcuni individui
che non possono o non riescono a partecipare della
prosperità generale, e viceversa. Quindi non so quanto
valga farmi delle immagini di un passato glorioso o
misero se poi calandomi all’interno posso vederci anche il
contrario.
638. Ogni volta che vedo, sento qualcosa che mi
infastidisce penso che se non mi sta arrecando un danno
diretto, evidente, tangibile come un reato penale, allora
è solo miopia o presbiopia mia non vedere quella robaccia
come una possibilità, una risorsa, che magari un domani
potrebbe avere la sua ragione d’essere e tornarmi utile.
639. Più avanzo con l’età meno sono idoneo ai
cambiamenti; se fosse così allora questa società, che è
fatta sempre più da vecchi, sarebbe la meno propensa
alle trasformazioni. Eppure molti dicono che siamo nei
tempi dove tutto cambia. Ma che cambia? Gli uomini o
gli elettrodomestici? Entrambi, ma poco perché sono la
stessa cosa.
640. Capisco la gente che desidera vivere in grandi città
perché sono ricche di opportunità non solo lavorative.
Chissà, se vivessi in una capitale forse inseguirei le
continue offerte accettandone anche i costi; per ora
preferisco la campagna perché mi schiaffa in faccia una
noia che posso sfuggire solo se so passarmela con me
stesso.
641. È cieca non la critica ma il giudizio negativo su
quest’epoca di eccessivi consumi perché lo straniamento
dei singoli che si abbuffano non è un’alienazione. Le
persone che osservo stanno appagando parti intime
represse e desideri inespressi perché per troppo tempo
abbiamo sofferto la fame. L’alienazione non è il fine corsa
ma una fermata.
642. Mi faccio convincere anch’io da una concezione
instabile dei tempi attuali, immerso dal frastuono delle
evidenze che vengono prodotte come prove a questa
idea; ad ascoltarle bene sono analisi che si confermano a
vicenda, libri che parlano di libri. Il sentirmi affascinato
da queste abili narrazioni porterebbe magari anche me
all’incertezza delle mie convinzioni.
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643. Ho conosciuto ricchi essere servi ed altri riuscire
ad essere liberi ed ho incontrato poveri sentirsi schiavi
della loro povertà e altri che la usavano intelligentemente
per rimanere liberi; non c’è una ricetta per resistere
emancipati ma tante strategie a seconda delle situazioni
del momento; il luogo in cui viviamo aiuta più dei soldi.
644. Ho visto persone che avevano un sacco di tempo
libero e disponevano di sufficienti mezzi per ottenere
quello che volevano ma si sentivano schiave delle
situazioni. Visto che non c’è sentimento più assurdo della
libertà, che diventa reale o svanisce al solo pronunciarla,
io me la autoproduco gratis in garage come la buona
grappa.
645. Sempre più complicato tenere figli; gioie sicure
a patto che le responsabilità, le aspettative, gli auspici
non attraggono delusioni o peggio. Ovvio che la gente
se ci ragiona desiste. L’unica è allevarli dentro ad un
sentimento, una religione, eccetera. Ti sembro freddo?
Impaurito? Quella brava mamma ha più cuore e meno
paure di me?
646. Per riassettare alcune idee frequento con la mente
queste biblioteche: le carceri e gli ospedali per capire
che significa star male; gli uffici per spiare cos’è la
quotidianità; i cantieri per osservare la fatica; i bar dei
vecchi per avere davanti che sarò. Sfoglio le esistenze
degli altri perché la mia vi può assomigliare.
647. Ho incontrato spesso donne con uno spiccato
senso della inutilità e della vanità; la loro complessità di
carattere, assieme ad un senso pratico, nascevano da una
silenziosa consapevolezza che le faccende umane sono
inutili se non c’è qualcuno che si aggrappa a te così da farti
sentire sensato. Io invece distraggo il tempo giocando.
648. Cosa intendo per gioco? Chiedo scusa, spesso
dovrei specificare meglio per evitare che si pensino
significati sbagliati, ma oltre ad aver deciso un numero
preciso di parole ho dei miei limiti. Provo a spiegarmi
meglio: intendo per gioco (scrivere con sole e sempre
cinquantaquattro parole per paragrafo, mi è difficile) fare
la persona seria.
649. Si pretende che le persone si assumano la
responsabilità di ciò che vanno dicendo come se la voce,
invece di parlare, scrivesse. Si dà per ovvio che il parlare
venga trascritto, registrato; per me sarebbe un incubo
vivere in questa maniera; preferisco dimenticare molti
discorsi da me detti ed ascoltati e rileggere poche frasi.
650. Ho conosciuto delle persone che hanno a cuore il
relativismo etico e culturale e le ricordo come figure
corrette; sembra che predichino male, ma poi razzolano
bene; possiedono caratteri buoni e sani ed esprimono il
loro benessere con una assenza motivata ed intelligente di
pregiudizi per comportamenti ed opinioni che certo non
gli appartengono.
651. Non credo che una persona possa avere un unico
carattere, nonostante molte persone mostrino di essere
coerenti con alcuni valori. La coerenza la vedo come
il supplizio delle parti al cospetto di una e l’ho evitata
ottenendo di sembrare ambiguo, forse ipocrita, qualità
che non reputo dispregiative se non sono orientate a
miseri fini.
652. Provo ammirazione per le persone che sanno
edificare qualcosa e poi riescono a lasciarla o chi sa
frequentare persone differenti per ceto, censo e idee. Ho
constatato che le persone capaci di questi cambiamenti
hanno un’indole più allegra; forse cambiare le abitudini,
frequentazioni porta sicurezza e dalla tranquillità alla
spensieratezza il passo è breve.
653. Normalmente vengo frainteso sul termine “varietà”:
è un vocabolo tollerante e mi fa da guida sui ragionamenti,
lo assumo con un campo semantico esteso, comprensivo di
voci considerate a lui contrarie come: unicità, monotonia,
uniformità, piattezza; se non genera danni a me interessa
quella varietà che contiene e promuove anche ciò che
vorrebbe ucciderla.
654. Non spero d’essere stimato per le frasi che ti vado
dicendo; vorrei che mi leggessero poche persone, qualche
decina al massimo, lo troverei decente così. Non essere
letto da nessuno lo credo altrettanto presuntuoso e quindi
indecente che voler essere popolare. Vorrei un mondo più
normale dove gli spettatori fossero pochi per qualsiasi
opera.
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655. Vivo in un tempo dove chi svela le illusioni sembra
abbia il potere della consapevolezza, ma non si capisce
come la consapevolezza delle illusioni non sia essa stessa
una illusione. È un mordersi la coda che percorro anch’io
in un cortocircuito del cervello che cercando certezze non
troverà mai la fine ma solo alimento.
656. So in che tunnel di depressione ci si caccia quando
c’è un impedimento esterno -malattia, malasorte- ad una
passione. È un lavoro ciclopico armonizzare l’assurda
divisione tra interiorità ed esteriorità ed è bene iniziarlo
da giovani quando si hanno le forze per compierlo se non
ci si vuole fottere il resto della vita bestemmiando.
657. Per noi italiani è facile cercare di approfittare delle
situazioni, eludere le tasse, adattarci ai cambiamenti,
arrabattarci economicamente, tenere pulito solo il
nostro orticello. Ritengo che nessun politico amorevole,
irreprensibile possa governare un Paese dovendo gestire
cittadini come noi… Però almeno ha un beneficio: dorme
sonni tranquilli sapendo che ce la passiamo comunque
bene.
658. Nonostante l’amore, gli sforzi perché i figli, la
carriera, eccetera vadano in certe direzioni il risultato
mai è garantito; eppure sarebbe da pazzi lasciare questi
progetti al caso. Anche se non credo alla capacità di
intervenire ci conto perché, prima che una convinzione
passi alla pratica, ci vogliono secoli e una vita non basta.
659. Nel 1933 in Germania vivevano 523.000 ebrei, il 60%
scappò dopo il 1933, i restanti subirono la shoah. Meno
del 8% emigrò prima del ’33: questa piccola percentuale
mi fa capire che neppure l’arrivo di una gigantesca
sciagura ci allerta di fuggire subito. Figuriamoci se le
tragedie del quotidiano attuale ci avvisano per tempo.
660. Ho capito che, volente o no, ho nel sangue il
cristianesimo, quindi con sensi di colpa anche per una
caramella di troppo; ma non è bastato aver scovato
l’assurdità di certe colpe per annullarle, ho dovuto
cambiare stile di vita, cosa che non sarei riuscito a fare
vivendo nelle città perché pullulano di tentazioni.
661. Dalla nascita e per molti anni siamo in balia di altre
persone; in principio bastano poche ore da soli per morire
se non fossimo costantemente sorretti da un intorno che
ci accoglie, nutre e ci istruisce su come vivere. Nonostante
ciò ci insegnano a credere che possiamo e dobbiamo
ragionare con la nostra testa.
662. Per come la vedo io non sarebbe serio se prendessi
la vita senza riempirla di giochi. Dopodiché quando gioco
mi impegno molto perché metto volentieri me stesso in
qualcosa di significativo come il gioco. Mi sentirei triste al
vedermi fare cose cosiddette importanti o peggio ancora
concedendomi ogni tanto qualche svago, peggio una
vacanza.
663. Per armonizzare la responsabilità con la leggerezza
basta avere senso della misura, del ritmo, dell’equilibrio,
sentire e capire cosa gli altri, che ci stanno vicini in quel
momento, hanno bisogno e voglia d’ascoltare. Come al
funerale di mia cugina morta fanciulla, quando tanto era
lo strazio che fu giusto mettersi a scherzare sui ricordi.
664. Qualsiasi buon artigiano sa che un mestiere è il saper
usare bene gli strumenti. Questo vale anche per tutte le
discipline e vale anche per la vita che ha come strumenti
i discorsi avendo voluto far coincidere la vita con la sua
narrazione. Ma questo strumento si sta rompendo o
spuntando per l’eccesso d’uso.
665. Un matematico importante diceva che gli sembrava
che i calcoli che faceva non uscissero dalla sua testa bensì
dalla matita che li scriveva. Ecco il punto: non esistono
gli autori ma esistono cose che generano altre cose, tra
cui c’è anche quella di credersi autori. Gli autori sono una
creazione recente e già d’intralcio.
666. Chi sogna come me opere non originali, anonime,
nient’affatto contemplate, non conservate e fatalmente
lasciate sparire spesso non le cura nei dettagli, come se il
fatto che qualcosa non venga fruita la esoneri dalla cura.
Mi dicono: inutile perdere tempo se nessuno le vedrà. Ma
abbiamo bisogno di curare le cose per loro stesse.
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667. Sono incapace di descrivere i fatti (i professori mi
leggevano allibiti), mi viene il capogiro se leggo o ascolto
le descrizioni degli altri perché non riesco a seguire il filo
e i romanzi mi sembrano delle astrazioni. Di contro alcuni
ragionamenti astratti, argomentazioni visti come astrusi
mi appaiono come un affascinante documentario a colori.
668. Cosa sarebbe l’uomo senza i suoi prodotti, senza
vestiti, medicina, linguaggio, agricoltura e infinite altre
cose? Ma che sono queste realtà se non cultura? Per
l’uomo è impossibile essere ignorante, se lo fosse non
potrebbe vivere; eppure si crede che la cultura sia un
optional, invece è anche come usiamo il ferro da stiro.
669. Io so che è giusto dire che questo bicchiere che sto
guardando adesso di fronte a me esiste ed osservo che è
sporco e scheggiato, ma mi è molto servito nella vita che
mi abbiano insegnato che un conto è dire che sia giusto, un
conto è pensare che le cose stiano solo così.
670. Dimostrano che prima di poter prendere quel
vetro devo aver afferrato la parola che me lo indica;
se non sapessi il senso di quel vocabolo non afferrerei
quell’oggetto come se fosse un bicchiere. Cosa i discorsi
non riescono a catturare? A parole abbiamo dominato il
mondo perdendo l’indeterminatezza con cui ci giungevano
le cose.
671. Leggendo gli idealisti capii che la distinzione tra
concetti ed enti è fittizia, anzi sono le idee che mi fanno
vedere concrete ed esterne le cose. Se qualcosa però
mi urta ragiono come un ingenuo realista che appena
riprende pace si rende conto che ciò che l’ha tanto
tormentato altro non erano che fole.
672. Questa cagnetta è cieca, cammina, sbatte: quella
botta non è una offesa, non ha questa parola che le gira
attorno. Carmen ha tante realtà che le piovono addosso
una di queste è quel fatto lì. Noi evitiamo molte vicende,
ma le bastonate che ci raggiungono hanno una realtà
moltiplicata dai discorsi in noi stessi.
673. Nella classifica delle entità più intelligenti metterei
senza dubbio i sassi per primi perché stanno e fanno
sempre la cosa giusta, al momento e sul posto giusto; a
pari merito le piante, secondi gli animali e terzo l’uomo
(che però è il più simpatico e bello perché appunto più
scemo: infatti stila queste classifiche).
674. Una persona può uccidere, rubare senza essere un
assassino o ladro. Beati sono quei credenti che lasciano il
giudizio finale sulle persone a Dio, mentre la maggioranza
dei cittadini tralascia le eccezioni e demanda ai tribunali
l’ultima parola, dimenticandosi che le leggi si basano
pericolosamente su principi giusti perché condivisi e non
il contrario.
675. Sono simpatici i terrapiattisti; per secoli erano la
maggioranza. Adesso si dice che la Terra è sempre stata
sferica e che prima ci si sbagliava: la Terra è una sola e
non può essere contemporaneamente piatta e sferica.
Tutto ovvio, fino a quando qualcuno ci mostra che invece
raramente pensiamo con questa ferrea ragione.
676. Vivo un’epoca seducente perché mai come oggi si
possono indagare pregiudizi, credenze e superstizioni che
affliggono l’uomo. Il prezzo da pagare è avere un animo
tormentato, dubbioso, precario. Mi auguro che in futuro
si riesca a vivere aperti di mente anche accompagnati
da ragionevoli certezze: io le ho trovate nelle mani e nel
mare.
677. Alla mia mezza età non mi decido ancora in che casa
abitare o anche solo definire come dovrebbe essere una
abitazione se la dovessi comprare o costruire. Scegliere in
tal senso mi sembra di determinare uno stile di vita quindi
anche un mio carattere. Così passo d’affitto in affitto,
cambiando appena mi sento definito.
678. Osservando la gente mi verrebbe da dire che nella
vita non è tanto importante essere saggi o intelligenti o
tanto meno colti, forse meglio sarebbe stare accorti. Se si
è attenti si è portati ad intuire la soluzione più idonea nelle
diverse situazioni senza l’aspirazione della saggezza, la
superiorità dell’intelligenza o l’arroganza della cultura.
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679. L’eccesso nell’uso della scrittura ha portato a limare
la sua capacità di incidere sulle persone e quindi i poeti
hanno quasi sospeso di scrivere iniziando a tacere,
preferendo leggere e rileggere. Ci stanno insegnando che
la poesia non è mai stata tra le pagine ma in ogni persona
che fa bene il proprio mestiere.
680. Questa società è molto impegnata per far vivere le
persone più anni possibile e allo stesso tempo caratterizza
la vecchiaia con i peggiori aggettivi e le toglie ogni motivo
per cui valga la pena vivere. Ossia siamo popoli destinati a
tirarci la zappa sui piedi. Quanti infelici dovremmo ancora
contare prima di cambiare valori?
681. Provo tristezza quando vedo un luogo comune
essere confermato dalla realtà: sembra che il mondo sia
gretto e che lo si possa capire con la stupidità. Ma dopo
lo sconforto se indago meglio mi accorgo che sono io che
sto riducendo a posteriori la realtà a quella frase fatta,
appiattendola con delle facili banalità.
682. I mezzi di riproduzione delle immagini nascono dal
preconcetto che esiste l’oggetto e quindi la sua immagine:
costruiamo un mezzo che si relaziona con l’oggetto
fermando, registrando la sua immagine in un supporto
leggibile. Ma come sappiamo che esiste quell’oggetto? Se
lo tocchiamo cosa sentiamo? Lo sappiamo perché vediamo
evidente la sua immagine? Problema.
683. Non lotto per scappare dalla galera perché ho capito
che fuori c’è un’altra gattabuia e che la libertà stessa
è un penitenziario: ne ho visti tanti fregarsi così. Ora
mi dedico a fingere come un matto perché mi cambino
frequentemente di cella, compagni, incarichi, e così mi
diverto e faccio amicizia con i celerini.
684. È difficile stabilire quando la consapevolezza per
i propri limiti sia nociva o salutare. Ad esempio, tenere
presente di non saper ballare è motivo per cui si balla
male; ma altre volte il contegno non mortifica ed evita
l’impudenza che può arrecare danni. Nel dubbio forse è
meglio essere orgogliosi dentro ed umili fuori.
685. Un pinocchio come me non si allena in questa pratica
leggendo libri di fiabe o di fantasia; mi preparo con libri
che ambiscono alla certezza come quelli scientifici, perché
vivo le mie bugie per convivere con altri che la pensano
diversamente da me e con i quali non c’è altra maniera per
stare assieme.
686. Preferisci sentirti dire che ti sto dicendo verità? Fatti
in cui credo perché o sono veri o hanno molte probabilità
d’esserlo? O forse preferisci ascoltare argomenti che ti
interessano senza dover ogni volta metterla in questi
termini? Il mondo è pieno di sta roba, abbuffati se vuoi.
Qui trovi frasi retoriche, costruite per scivolare.
687. Vivo in un’epoca rara dove la cultura usa molte
energie per capire, interpretare ciò che si chiama doxa.
Ma le opinioni, le credenze popolari sono dei saperi che
vengono snaturati e degradati se vengono estrapolati dal
loro unico medium di trasmissione che è la vita. La doxa è
il vissuto, non è il trascritto.
688. Molti pensano che esistano ragioni, saggezze,
saperi che non possono essere superstizioni. Ma la storia
dell’umanità è un susseguirsi di assurdità che regnano
indiscusse a volte per millenni e che guarda caso non sono
mai quelle dei tempi presenti; intanto la gente vive perché
a prescindere dai criteri c’è la vita da portare avanti.
689. Ho visto persone rovinarsi la vita comprando una
casa senza prima controllare con che vicini avrebbero
avuto a che fare. Mi basta questo esempio per ricordarmi
che non devo mai mollare un secondo nello sforzo di
controllare che le faccende piccole della vita, che sono la
maggior parte, non arrechino conseguenze meschine o
invalidanti.
690. La precarietà e il non senso che declamo per la mia
vita sono dei vezzi, perché si reggono su di un ordine
sentimentale e familiare che ho ricevuto da piccolo e che
mi ha tanto stabilito quanto anche concesso gratuità
nello stile di vita: sono i lussi che la mia famiglia mi ha
concesso.
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691. Anch’io uso il verbo “essere” per descrivere, per
esempio: è una montagna, è uno scrittore, è un coglione.
Sarebbe più intelligente se dicessi “vedo una montagna”,
“vive scrivendo libri”, “ha fatto o fa coglionate”. Ma
perché uso un verbo che suona perenne quando molti
ripetono che nulla è eterno? Parlare per abitudini porta
all’idiozia.
692. So che dovrei dubitare di molti più luoghi comuni
di quelli che ho già esaminato perché chissà quante
sciocchezze e superstizioni ancora mi intasano la testa;
ma purtroppo o per fortuna ho a disposizione una sola vita
e devo anche cercare responsabilmente di viverla bene, il
che richiede anche una certa dose di idiozie.
693. Ho dovuto fare e faccio quotidianamente un grande
esercizio per scovare, rielaborare le fiabe che mi sono state
e vengono raccontate poiché riconosco che è inevitabile
muovermi già immerso. Nonostante il mio impegno, non
posso essere stato capace di sollevarmi dalle concezioni
precostituite. Però forse riesco a rimescolare, combinare
seguendo più le mie inclinazioni.
694. Com’è possibile amare una persona e non desiderare
il bene per la sua vita dato l’inesorabile poco tempo che le
rimane da vivere? Come non aiutarla ad avere fiducia in
sé, di andarsene, di ricominciare un altro amore, credendo
nella generosità della vita? In amore tutto è eterno e non
occorre viverlo per l’eternità.
695. Che differenza c’è tra una brava, buona mamma e una
cretina che tiene dei figli? Ore, dedizione, infiniti dettagli
nelle torte, nelle carezze (anche se non ci fosse amore).
Questo capriolo in bronzo non è un capolavoro non perché
non è una genialata o chissà cos’altro: gli mancano alcune
decine di ore di bulinatura.
696. Nomino “libertà” a sproposito, ma vivo nel
paradosso di quest’epoca che è quello di avermi fatto
schiavo di questo termine. Meglio sarebbe non usarlo,
questo vocabolo, ma siccome sono intriso dal suo confuso
immaginario dovrei starmene zitto: è quello che faccio
quando nuoto. Spero che tu guardi a quella vita, non a
questo testo.
697. Ho constatato che le persone possono avere vite
simili a prescindere che abbiano idee, gusti e lavori
differenti. Vedo che le differenze tra persone sono più
dovute all’indole, ai traumi subiti e alla temperatura
dell’aria: eventi che capitano e non si decidono. Se le vite
più originali le riscontro negli sfortunati allora sono guai.
698. Quando ascolto discorsi seri ed interessanti è
più complicato per me osservare bene le persone. I
ragionamenti a volerli intendere mi chiudono a ciò che
non viene trasmesso con essi. Se invece ascolto delle
stronzate riesco a godermi di più quella persona che
per me è sempre molto più interessante di qualsiasi suo
ragionamento.
699. In Italia l’individualismo e l’egoismo dei cittadini si
è diffuso in proporzione con l’aumento della ricchezza ed
ha mantenuto bene gli individui fintanto che l’inevitabile
collasso del sistema sociale ha fatto scemare l’abbondanza.
Neppure le crisi sono riuscite a sciogliere gli egoismi,
quindi la soluzione sarà aspettare la nascita di una
generazione non autoctona.
700. In quest’epoca qualsiasi disciplina tende a superare
il punto massimo precedentemente raggiunto e va verso
l’esagerazione. È una tendenza che sembra ovvia solo da
poco e, per come la vedo io, è superficiale anche se sembra
contraddistinguere questi tempi perché la maggioranza
delle persone, vivendo ai margini, riesce a trovare misura
magari credendosi arretrata.
701. Non mi reputo un cittadino del mondo e neppure
cittadino di qualche parte. Le qualifiche di veneto, italiano
ed europeo le percepisco meglio quando le confronto con
altri popoli più definiti. Mi sento pure senza cognome;
giudico di essere uno che se la passa senza combinare
troppi danni. Sono però legato ai miei ricordi.
702. Noi che sappiamo scrivere le nostre firme siamo nati
nell’epoca recente dei personalismi dove ci si identifica con
le proprie qualità e un nome proprio; ma per la maggior
parte della storia l’uomo neppure si immaginava di poter
o di voler distinguersi dagli altri. L’umanità progrediva ed
avanzava analfabeta fino a due minuti fa.
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703. Magari le mie sculture fossero paragonate per
sminuirle alle bigotte formalità, il risultato di stereotipate
e superstiziose procedure stilistiche; non ci trovo nulla di
male nel seguire formule trite. C’è qualcuno che durante la
sua giornata non faccia così? Cerchiamo di smettere di fare i
geni due ore al giorno quando scriviamo o dipingiamo.
704. Il termine “violenza” viene sempre più utilizzato per
descrivere situazioni che tempo fa non erano considerate
come violente. Considerando la violenza come l’abuso
della forza, non solo fisica, come mezzo di costrizione, di
oppressione per obbligare gli altri ad agire, mi chiedo cosa
l’uomo possa fare che non abbia in embrione l’essenza della
violenza.
705. Sento dire che il ceto medio è scomparso e che le
distinzioni si stanno radicalizzando arrecando crisi alle
democrazie. Io se dovessi definire, stabilire delle classi
sociali dividerei in tre gruppi gli esseri umani: soddisfatti,
insoddisfatti, pigri. Le altre differenze, sia pur esistenti,
non giustificano quanto queste le azioni e le politiche nel
mondo.
706. Per capire la mentalità della mia società basta pensare
alle reazioni e alla loro durata che seguono gli eventi
“eccezionali”: sembriamo dei venditori di macchine usate,
sebbene siamo i custodi dei valori universali. Viviamo
senza misura nel breve periodo, ogni giorno esagerando
o sminuendo, ma alla lunga sono convinto che questa sia
un’epoca saggia.
707. Non ho ancora visto una persona avere problemi che
non erano in fondo riconducibili alla sua vita sentimentale:
vedo che anche le peggiori sciagure sono prese in maniera
differente da coloro che hanno relazioni sentimentali
differenti; se il mio benessere sta nei rapporti che ho
intrapreso con gli altri, l’altruismo e l’egoismo buono
coincidono.
708. Per me i fattori che stabiliscono il tipo e la qualità di
vita in un Paese sono, in ordine decrescente: funzionamento
giustizia e livello corruzione, densità popolazione,
temperature massime minime, ore di sole annuali e livelli
precipitazioni. Ho visto che: qualità assistenza sanitaria,
economia, regime politico, sicurezza, ambiente, cultura,
abitazione, eccetera vanno di conseguenza.
709. Cosa potrei fare senza il copia-incolla? La mia testa
non fa altro che copiare ragionamenti, concetti, toni di
voce, anche il mio corpo sta copiando movimenti appresi
chissà quando e da chi e così le mie cellule non fanno altro
che ricopiarsi. Nonostante ciò, senza alcuna volontà e
velleità, il nuovo viene da sé.
710. C’è così tanta smania in giro di creare che mi sembra
di vivere in una prateria di erba fresca pronta da brucare
senza che io ne debba seminare ancora altra. Non capisco
come possa eccitare tanto credere di poter essere un
creativo, e sui diritti dell’autore si srotolano giustizia e
miseria della cultura attuale.
711. I cristiani sinceri che conosco, e fortunatamente
sono molti, è gente che sempre mi ha trattato bene; è
un piacere averli come amici, una fortuna tenerli come
genitori ed un onore affrontarli come avversari. Li
ringrazio ma un po’ però mi dispiace per loro perché è
impossibile per me prenderli come esempi di vita.
712. Mi viene da tacere e ammirare quando vedo quegli
occhi pieni di sano orgoglio e rinnovata meraviglia nel viso
delle madri che guardano i loro piccoli; gli stessi sguardi
appaiono in alcuni industriali, artigiani, eccetera che
guardano alle proprie opere: ognuno ha i suoi figli dove li
vede; a volte sono riconoscibili, altre no.
713. Non posso scrivere tutte le conoscenze, informazioni
che possiedo perché me le hanno passate senza che me ne
accorgessi. Nessuna chiacchiera che mi è capitato di dire
o d’ascoltare è innocente perché sta da qualche parte in
me; perciò meglio non scherzare nel frequentare i discorsi
perché è meglio perdere le informazioni che perdersi.
714. La filosofia, intelligentemente, sta dichiarando la
propria fine così come nella storia l’abbiamo conosciuta. È
desolante quindi vedere come l’apparato critico dell’arte si
appelli alla filosofia per corroborare le proprie tesi; questo
atteggiamento non aiuta l’arte, semmai l’azzoppa e mette
il dubbio che invece di cercare sane collaborazioni tra
discipline diverse si chiedano giustificazioni.
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715. Posso essere un abile teatrante, raffinato pensatore
e poeta, possedere le armi per rinominare il mio passato
e presente e quindi estirpare le radici dei sensi che lo
nutrono, ma devo comunque ricordarmi che i significati
che uso non provengono da me ed io quindi sono
innanzitutto la società che me le ha dettate.
716. Le distanze incommensurabili tra le galassie, i
tempi infiniti dell’universo, le eccezionali fatalità nella
formazione della Terra, della vita e dell’umanità. Questo
è il racconto con dati e misure che la scienza ci dà per
collocarci nella vita. Per adesso la narrazione è scarna ma
sono convinto che le grandi epopee sono nate misere.
717. Europa è una bambina nata da genitori vecchi,
litigiosi, ipocriti, senza passioni ed ideali, pieni di
pregiudizi l’uno contro l’altro, che si sono sposati per
interessi economici e che si sono accoppiati solo per non
continuare a scannarsi. Sarà una donna problematica,
sensibile, piena di desiderio d’amore, depressa, fragile,
bella e desiderata da molti.
718. Quali delle idiozie che sento dire, comprese queste
mie, ha senso rinunciare di ricordare o di trascrivere?
In me c’è un sentimento che governa questa selezione,
che comunque sento vana: la vergogna, un vaglio
perfetto. Non vedo quale altro criterio dovrei adoperare,
constatando che tolta una frase viene sostituita da un’altra
della stessa specie.
719. Le sculture da me modellate sono opere vecchie e non
originali, la loro fredda abilità artigianale spera di supplire
alla mancanza di creatività con una riproduzione retorica
di stili del passato che mal copre una avarizia di nuove
idee; nessuno slancio, tantomeno coraggio, un facile,
confortevole esercizio d’uncinetto sordo al sociale e muto
all’individuale.
720. La giovinezza ci viene rubata nel sonno con la
stanchezza, la vecchiaia entra dalla pigrizia, dalla
rilassatezza; fino a che ci muoviamo, finché siamo
irrequieti siamo giovani: questa narrazione scritta dai
sumeri 5.000 anni fa ci convince ancora ma è arrivata a
farci morire di fatica. Vanno riprese tradizioni ancora più
antiche di questa.
721. Avere un figlio deficiente, fannullone è una disgrazia
per una famiglia; averlo normale, con una carriera, con
tanti progetti è gratificante per i familiari ma ultimamente
è nocivo per il mondo. Di chi è giusto sentirsi orgogliosi?
Dei figli che fanno contenti noi, le balene o loro stessi?
Oggi è complicato trovare una mediazione.
722. La fine delle illusioni che sembra uccidere ogni
ideale o speranza pubblica è solo l’ennesima illusione
che invece d’essere proiettata in divinità o utopie si
concretizza nell’unico assoluto concreto che abbiamo che è
il linguaggio che, come il Dio che l’ha preceduto, è geloso e
ci vuole solo per sé; speriamo quindi d’accopparlo presto.
723. Ogni professione implica un dose di quotidianità.
Osservando i lavori manuali io però mi immagino
giorni più felici rispetto ai lavori di testa, perché vedo
più bellezza in una persona che impugna un cacciavite
piuttosto che una penna o una tastiera. Viene da ridere a
rileggermi ma lo scrivere è lo 0,2% di me.
724. Capisco chi si riempirebbe la vita di politica
onesta perché gli sembra l’agire con più ampio respiro
e m’immagino la frustrazione per questi se iniziano a
praticarla. Spero che presto capiscano che non devono
cambiare ideale o passione ma sostituirne il nome perché
non si chiama più politica ma… una parola che devono
inventare.
725. Tradire se stessi, i propri ideali per un periodo della
vita fa bene perché relativizza e misura le ambizioni anche
più nobili e poi perché finito il periodo dell’abiura si torna
ad essere “se stessi” in maniera ancor più concentrata e
volontaria di prima. Quindi è importante farlo per un po’,
nel momento giusto.
726. Vedo molti mettersi a fare del bene agli altri:
volontariato, aiuti, eccetera. Il calcolo dei danni deve però
venire prima di intervenire con qualsiasi azione, anche
apparentemente la più benigna: a volte le azioni positive
nonostante la mania d’aiutare sono il non far nulla o
togliere degli impedimenti occasionalmente generati da
altri aiuti sbagliati.
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727. Le persone buone, possono apparire un po’
monotone; questo non perché lo siano ma perché non
si hanno abbastanza immagini per raccontarcele come
invece ne abbiamo per certi comportamenti brutti. Gli
oggetti che a me piacciono hanno rinunciato a molti
aggettivi per tenersi la discrezione, sono fatti per non
degnarli di uno sguardo passandoli.
728. Adoro i cacciaviti, i trapani, i paranchi, che
passano l’esistenza ad aiutarmi in silenzio, senza doverli
ringraziare. Li sento liberi, perché non sentono padrone,
non hanno orari e se ne fregano della manutenzione che
faccio loro. Non li tengo come schiavi, non mi sembra di
poterli comprare e li penso come amici. Sono beati.
729. Ho lavorato gomito a gomito (è proprio il caso di
dirlo) con piastrellisti e ho visto da loro usare il senso
estetico per giudicare il loro lavoro in modo più raffinato e
complesso di quanto fanno molti degli intenditori d’arte.
È la silenziosa libertà d’espressione dei primi a rendere
evitabili i pregiudizi dei secondi.
730. M’interessa un certo modo distratto di guardare
che viene considerato ignorante. È uno sguardo
apparentemente stupido perché analfabeta di particolari o
di altre cosucce. Ho modellato l’argilla pensando a questi
sguardi che meritano opere eccelse proprio perché non le
guarderanno; si ospitano bene le persone perché stiano
comode, rilassate non per mostrare la casa.
731. La poesia è anche sull’ultima frase del macellaio
ma invasati dai luoghi comuni c’è bisogno di apprendere
questa lezione nonostante gli occhi e le orecchie ce
la mostrino come una ovvietà. Le scuole e i musei
continueranno ad indicarci opere che grazie alla loro
visibilità hanno semmai aiutato le vere bellezze a rimanere
discrete.
732. Posso toccare, vedere il mondo senza passare per il
dire? L’unica maniera è usare il linguaggio? Nessuno riesce
ad osservarlo bene questo strumento perché è come la
colla: se la tocchi ci rimani invischiato, meglio allora usare
i guanti e una buona mascherina perché le colle possono
essere tossiche ed è bene fare attenzione.
733. Ad un uccello se gli tagli le ali muore ma un leone non
sa che farsene delle ali. Come possono altri popoli non
avere ancora molte emancipazioni e continuare a vivere
tranquillamente? Rispondiamo: prima o poi cambieranno
idea. D’altronde è così nebuloso anche per noi il valore
della libertà che ci conviene pensarlo universale.
734. Le chiacchiere non sono così leggere; in questi pochi,
ultimi frangenti di inutile abbondanza ci siamo venduti
il cervello e abbiamo rovinato la Terra per sfoderare
automobili, possedere chincaglierie e ingoiare robaccia.
È il mio secolo: il più godurioso di sempre -per pochi- e
anche quello che lascerà un imbarazzante giudizio su di sé.
735. Ad un giovane nato nel futuro che dovesse giudicare
male questa epoca risponderei che ha molte ragioni
per essere arrabbiato per i debiti ricevuti; eppure
l’epoca attuale è la prima ad essersi fatta una profonda
autocritica, che però spesso non è riuscita a fermare
pratiche assurde. Un’epoca incompiuta come le precedenti
e le future.
736. Gli sfoggi di ricchezza e di forza sono assurdi ma
in seconda battuta mi piacciono pensando che per farli
c’è una persona forse intimorita, bisognosa di mostrarsi
diversa dalla povertà o debolezza che crede d’avere nella
pelle. Ogni sfarzo di soldi o di muscoli è patetico ma, se si
ferma rapidamente, può risultare simpatico.
737. Se dovessi giudicare le persone dai loro gusti dovrei
salvare solo quelli che vengono considerati ignoranti: le
loro case piene di bomboniere le trovo più interessanti
di quelle dai gusti apparentemente raffinati. Ma questa
considerazione è deficiente perché la cultura o l’ignoranza
nei gusti tende a dimenticare che chi sceglie è innanzitutto
una persona.
738. L’incertezza del futuro che sta nelle persone non
bada al portafoglio e diffondendosi anche tra i ricchi non
concede loro di fare gli strampalati: dentro a quel timore
sanno che bastano un paio di errori di fila per perdere
quello che hanno. Eppure conosco persone capaci solo di
fiaschi che riescono a campare perfettamente.
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739. Fumare tanto non è fumare, è uccidersi. Una casa
che costa milioni di euro non è casa ma un manicomio.
Si può essere conosciuti, apprezzati dalla famiglia o da
un massimo di qualche centinaio di conoscenti, il resto è
pubblicità. Uscire dalla sana misura di un qualcosa deve
far cambiare nome alla cosa stessa.
740. Ebbi per insegnante una suora che mi spiegò il teatro
invece che la grammatica: Dio la benedica, adesso devo
pagare perché mi correggano le bozze, ma so girare le
frittate trasformando i difetti in pregi agli occhi degli
altri; molti accettano volentieri uno che fa teatrino per
cavarsela senza far danni e facendo sorridere.
741. C’è gente che sta tutto il giorno a studiare come
ideare immagini accattivanti, frasi persuasive, manipolare
cibi squisiti ma anche cure innovative o sublimi pensieri,
poesie. Quando parlano, ti mostrano, li incontri che puoi
fare per controbatterli? Nulla, è impossibile resistere.
Quindi? Io stacco la spina e lascio che si ingolfino tra di
loro.
742. Qualcuno ci aveva avvisato di stare attenti a ciò
che dicevamo, che mostravamo in pubblico soprattutto
compiacendo i gusti della gente. Questo avvertimento non
può e non deve avere seguito perché vogliamo accettare
i rischi che porta con sé la libertà d’espressione. Siamo
sicuri che avremo ragione sempre, comunque e qualsiasi
siano le conseguenze?
743. Consiglio agli autori desiderosi di fare qualcosa di
bello e utile di non fare, perché c’è bisogno di togliere
e ordinare; se proprio non resistono alla tentazione di
seguire gli antenati allora facciano il meno possibile e
senza mostrarlo tanto; ci si può sfogare per 50 anni su di
un’opera invece che su migliaia.
744. La democrazia in uno Stato non è eterna e si basa
sul reagire; quando finisce lascia al successivo governo
più autoritario cittadini mediocri, perché sono gli stessi
incapaci che dormivano mentre gli veniva sottratta la
autodeterminazione. Il che renderà le nuove autorità
ancora più dispotiche essendo costituite da imbecilli e
dovendo governare altri imbecilli.
745. Vedo che la gente raggiunta la maturità sopporta più
l’infelicità che la solitudine, l’insicurezza e le offese. Solo
pochi sono disposti a rinunciare, a lasciare compagnie,
affetti, soldi, lavoro, stima degli altri e credibilità se gli
arrecano infelicità. Purtroppo la felicità è un optional,
non una necessità, apparso molto di recente nella nostra
storia.
746. Ho visto che le persone intelligenti e pratiche,
pur conservando la buona fede nei confronti degli
altri, si premuniscono di mezzi nascosti per non essere
danneggiate. Di solito le donne sono più dotate ad essere
avvedute senza essere maligne, combinazione troppo
complessa per noi maschietti che sappiamo fare o i cattivi
o i buoni.
747. Quando noi testosteronici ci estingueremo, non
essendoci bisogno delle nostre caratteristiche, il mondo
sarà probabilmente migliore ma meno simpatico perché
certi nostri siparietti purtroppo finiranno. Chi in futuro
ci supererà per ingenuità, eccessività, goffaggine e
ostentazione? I galli hanno la fantastica combinazione di
un corpo forte, un cervello basico e la voglia di esibirsi.
748. Osservo che nelle arti si avanza fin dove è possibile.
È questa una galoppata simile a quella scientifica che è
sospinta a procedere nell’ignoto. Io mi annoio a dover
avanzare; preferisco usare il tempo per godermi gli
spettacoli già presenti e mettere un po’ d’ordine. Ho il
limite di non vedere novità nelle novità.
749. Non correggerla più di tanto la grammatica: se l’altro
mi prende per scemo sono problemi suoi, se invece non ci
si capisce o ci si fraintende forse è meglio perché se si è tra
persone per bene non ci dovrebbero essere problemi; ecco,
questo è il punto: che purtroppo dobbiamo mettere spesso
i puntini.
750. La regola dice: non bisogna stare soli, gli amici fanno
la nostra salute mentale, stare con gli amici pensando ai
propri accrocchi non vale. Tutto giusto, ma quando sei
sano è bene anche lasciare te e i tuoi amici distanti per
godersela, questa salute, che con i suoi raggiri ti renderà
un compagno interessante.
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751. A casa non ho seicento frigoriferi: non ho spazio, non
mi servono, costerebbero una follia, eccetera: sembra una
ovvietà. Eppure nel mio cervello credo di avere infinite
combinazioni di parole e quindi di sensi. Il corpo dovrebbe
fare selezione, ma viene pure lui strapazzato pur di
provare declinazioni non possibili prima. Capirai che geni!
752. Vivendo in una società siamo dei politici sebbene
non volenti, non coscienti: non lo capiscono quelli che,
lavorando male, fanno e lasceranno spazzatura (vedendo
quello che produciamo mi sembra che siamo in molti
ad essere pessimi lavoratori nonostante ci crediamo
professionisti) ed ovviamente la colpa non è nostra ma
solo dei politici di professione.
753. Quando qualcuno mi chiede che ho fatto di buono
nella vita per gli altri mi viene in mente poco o nulla.
Sicuramente ho fatto dei danni che passerò ai posteri. Mi
sa che le generazioni future staranno meglio se invece di
pensare di fare qualcosa di buono smetteranno di fare;
direzione difficile da instradare.
754. Queste formiche hanno uno che le guarda, che crede
irreale che qualcuno lo stia guardando nello stesso modo
se non alcune idee rarefatte come caos, il tutto, l’energia,
l’essere. Così chi guarda dall’alto il pavimento ha orizzonti
che si riducono alla sua testa e rischiano d’essere più
limitati di chi sta sotto di lui.
755. Tra le più poderose scemenze che l’uomo si è
inventato da quando qualcuno iniziò a montarsi la testa
ci sono i misteri, i messaggi criptici. Queste chiassose,
simpatiche volgarità adesso fanno fare pure soldi e questo
li ha perfezionati; smascherarli sarebbe più demenziale
che ascoltarli perché rimane comunque splendente chi si
maschera da Zorro.
756. Hegel non ha detto che l’arte sarebbe morta, semmai
indicava la insignificanza. Paradossalmente l’arte ha
raggiunto questo destino quando si è arricchita di molti
significati; produciamo opere nuove ed importanti
ottenendo ripetizione ed irrilevanza, a differenza di
quando l’arte era considerata marginale rispetto altre
questioni dello spirito e da questa posizione si rendeva
valida.
757. Ad un genitore non dovrebbe interessare che il
proprio figlio diventi chissà che, ma dovrebbe sperare
che non sia un delinquente. Questa mentalità però non
riesce a reggere le mille allegrie e passioni che si possono
augurare e così si spera che sia felice sapendo che magari,
per esserlo, dovrà fare anche il farabutto.
758. Se qualcuno crede di poter creare qualcosa dal nulla
grazie ad una sua idea non ha senso che si curi di farla
bene perché il miracolo lo ha già compiuto. Una mamma,
ma anche un giardiniere, si spaccano la schiena potando,
amando la loro creatura perché sanno che non possono
ricrearla quando, come vogliono.
759. Pensiamo: “se stiamo bene, non staremmo male”
invece di “se evitiamo i guai è già molto”. Errore
imperdonabile aver dato la precedenza al bene. Il bene
e il male (eccetto che il dolore), esistono come miraggi.
Il bene che è più fine, è meno visibile; la rogna invece,
essendo gretta, è più facile riconoscerla.
760. Non mi ficco a capire se la scienza esprime giudizi
etici, estetici, eccetera; so per certo però che ciò che gli
scienziati ci dicono si chiama divulgazione scientifica e
questa sì che è piena di ogni tipo di valutazioni se non
luoghi comuni, anche perché se non li usasse come
comunicherebbe? con le formule?
761. Sono giunto fin qui per il vento e le onde dell’oceano,
certo di star distante il più possibile dalle scartoffie,
i messaggi, le immagini anche solo del rosso di un
semaforo. Ognuno di questi paragrafi è quindi un
fallimento perché significa tornare nel traffico e ogni
giustificazione non è altro che un mare perso.
762. Vivo in un’epoca fortunata: per fare silenzio non
serve stare zitto e per sparire non serve nascondersi
(adesso c’è la moda di isolarsi per risaltare meglio). Basta
dire o fare qualcosa che non ha rapporto con i soldi, se si
riesce a far questo si può urlare ciò si vuole che tutto sarà
nulla.
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763. Un politico che desideri fare gli interessi di un paese
deve ficcarsi nella testa che non deve ascoltare la gente ma
osservarla. Tutti sono grandi e maturi per saper fingere sui
propri problemi e necessità: l’unico sistema per capire come
stanno le persone è guardare i loro minuti. I dati economici
aiutano ben poco.
764. Qui non si tratta di andare controcorrente, di pensare
a delle soluzioni geniali. In questi paragrafi parlo di far
bene il proprio mestiere perché chi prova piacere nel fare,
dà soddisfazioni a se stesso e di solito non vuole essere
distratto, quindi non distrae. Se in molti operassimo come
dei bravi lavoratori staremmo meglio.
765. Questi paragrafi sono la fiera dell’ovvio, nulla
di nuovo come nel mio corpo. Ma non vedo il mondo
bisognoso di aggiunte o originalità, anzi, per me ciò che
non soddisfa la gola dei pensieri va nella direzione giusta.
Mi da tristezza però pensare che alla moderazione non ci
arriveremo per ponderazione ma per necessità.
766. Quando si compra una casa usata e arredata di
solito almeno gli si dà una imbiancata e magari si cambia
l’arredamento. Anche il mondo era abitato prima che io
nascessi; a me piace così, non aggiungerei nulla, toglierei
solo alcuni elettrodomestici come gli immaginofoni
frullacervella e pianterei angurie, che mi piacciono tanto,
nel giardino.
767. A scuola un professore senza scherzare mi consigliò
di lasciare gli studi e darmi all’ippica; andai quindi a
lavorare all’ippodromo e lo ringrazio perché stando dei
mesi tra i cavalli, accarezzandoli, a volta cavalcandoli,
capii che nella vita… bah… appunto…meglio metterle in
pratica le parole... vado fuori che ci sono vento e belle
onde.