L’ ERA DELLA SFIGA
Sembra che nella contemporaneità artistica non viga più un centro, insomma viviamo in una
prateria di atelier.
In questo mondo fantastico il termine “sfiga” ha perso i denti, anche lui poverino, e si è fatto
vellutato. Secondo questa nuova era policentrica l’uomo sfortunato non è più quell’ essere
odiato dalle cose, ma amato. Fino a ieri l’autore scalognato era una vita sprecata scritta con
inchiostro simpatichino, ma ora nel universo frammentizzato a tredici dimensioni, la sfortuna si
rivela come fattore creativo, ricettivo per eccellenza. La sorte avversa, essendo tribolazione, è
contatto; copula, la sfortuna diventa viatico di nuove sensazioni, è e fa estetica.
Facciamo subito degli esempi appetitosi: provate ad immaginare un ragazzo uscito da un’
accademia, che segue il percorso normale secondo buona e giusta fortuna; voi, in questo caso,
vi potete già rappresentare la prosa noiosa della sua vita: le mostre tattiche, il curriculum con
ammiccamenti, le opere azzeccate, le cene fioche a lume di cultura, etc, etc… insomma una
noia.
Se invece la sua vita sarà un imbattersi di raffiche di fallimenti, di sfighe... che film, che arena ci
apparirà il suo tempo!
Vi immaginate il bel giallo biliare fosforo prendere forma d’odio su sfondo grigio opaco
tristezza, per non avere lo zio potente nel settore, il tutto su tela bianca ingenua
rassegnazione, con perdita di ragazza incorporata, per sogni troncati di studio soppalco open
space a Manhattan?
Tutti gl’uomini, anche al top del successo, sono con i piedi ammollo e non sfuggono dall’ansia
di cadere in disavventura, d’essere fuori dal giro, semplicemente perché non c’è nessun giro
non essendoci nessun centro.
Basta allora con le telefonate valutate per giorni in bagno! L’arte ha bisogno dei tanti San
Fallito, di artisti che masticano fritture di sabbia, che fanno vedere finalmente fuochi di carne,
non artificiali, ecco qualcosa di molto exaiting per il nostro spirito avido.
Non c’è neppure da escludere, data l’infinità delle possibilità che da oggi con la iella si aprono,
che qualche pittore faccia il ritratto dell’uomo malcapitato per eccellenza, che essendo lo
sfigato degli sfigati, dovrà necessariamente per doppia opposizione essere felice, del genere
gongolo, gommolo. Uno che gira il mondo citofonando con lo zainetto in spalla, triste solo per
attimi di delusione utili a riprendere fiato e continuare lo spettacolo della sfortuna. Lo si
potrebbe mandare… anzi non mandarlo, lasciarlo, che altrimenti perde di freschezza, di
vivacità…dicevo, lasciarlo andare in giro semplicemente in cerca di fortuna, meglio di
opportunità, le opportunità hanno un che di etico e di equo che rende la cosa più simpatica a
vedersi, con catalogo ultimi risparmi e fiducia nel cuore.
nuova ferramenta
Sono diversi anni, forse sette, che uno tra gli innumerevoli poligoni industriali vicino a Venezia,
ha accolto in se la sede ampliata della Ferramenta Nuova.
Imparagonabilmente più fornita, più illuminata, più organizzata della prima rivendita gestione
familiare con sigarette sottobanco, la Nuova è un capannone di 800 mq. pieno d’utensili che
partecipa alla rivoluzione estetica in atto nelle aziende del Veneto. Qui si inizia a parlare non
più di consumatori che comprano ma di corpi emozionali che scelgono.
I cambiamenti estetici derivano e comportano sempre cambiamenti esistenziali quindi, se il
proprietario della Nuova con questa operazione di restailing si è trasformato in art dealer, gli
scontrini ora passano a biglietti, i cacciaviti si trasformano in pennelli, i rappresentanti in art
promoter, ed io da cliente passo ovviamente a spettatore, collezionista, critico.
Entrando nella ferramenta in questa moderna veste le mie occorrenze sono cambiate in
piaceri: una volta trapanavo, adesso colleziono, non lavoro più, piuttosto guardo tra gli scaffali,
con piacere disinteressato e nobile, paranchi, mandrini, smerigliatrici, etc…
D’altronde se dovessi giudicare dall’impegno profuso, dal clamore sociale, dall’ arditezza degli
intenti è già un secolo che i sogni sono economici, le meraviglie sono tecniche e le fantasie
commerciali.
Tra le presunte miserie del nostro tempo c’è invece in nuce una forma classica che va
sviluppandosi carsicamente.
Gli antichi dicevano che l’uccello della sapienza spicca il volo al tramonto, e non è un caso che
il simbolo della Nuova sia proprio una civetta che arpiona un martello: eterogenesi dei fini!
So per certo che la prossima mossa estetica della ferramenta sarà di puntare su opere come le
Forbici di Norinberga. Per me è un errore. Ho insisto più volte con il proprietrio perché non
leghi troppo la sua galleria ad un provincialismo figurativo fatto di leve, seghe, e saldatrici.
L’ho consigliato di proporre opere estreme, più universali, più grammaticali come il Saldare,
l’Avvitare, l’Alzare, il Fondere.
Ma cosa posso pretendere…siamo nel Veneto.
CONTENZIOSO IMMOBILIARE
Gentile collega, La disturbo per chiederLe consigli riguardo un contenzioso particolare
capitatomi di recente.
Un inquilino mio cliente, tale Umano Genere, si lamenta che l’immobile a lui locato arredato,
manca di regolamento condominiale riguardo il godimento estetico di quest’ ultimo. Il
problema, mi spiega, non è per lui secondario perchè oltre alle piacevoli riunioni con continue
disquisizioni sul come e sul cosa godere, i condomini si trovano costretti a dover rinnovare,
cambiare, migliorare, l'estetica del palazzo ad ogni mezz'ora, e inoltre sanzionare chi non
segue un regolamento mai fissato definitivamente, con ovvia conseguenza di continui
costosissimi condoni, risarcimenti, scuse.
Il conduttore deplora al locatore che data l’ indefinita varietà e vastità dell' immobile, ed in
mancanza di regole precise, di fatto non si poteva neppure parlare, prima degli interventi da lui
effettuati, di "locale arredato", in quanto ogni elemento era indistintamente, smarrito tra la
molteplicità, abbandonato.
La controparte in questione, il locatore, non solo ribatte che l’incapacità di vedere belle o
brutte le cose in modo consensuale è semmai tutta attribuibile a deficienza del conduttore, ma
che anzi è lui stesso a trovarsi nella necessità di citare a sua volta il mio cliente in quanto
avrebbe già apportato, a suo stesso dire, modifiche strutturali al locale senza previa prevista
comunicazione.
Continua il locatore a sostenere che la sovrabbondanza delle cose belle che arredano la casa
comune, la loro sconfinata varietà e indeterminatezza, è proprio determinata da mancanza di
regole limitative e ciò attesta semmai la bontà del bene. Il locatore, mi ricorda che l’immobile
dovrà essergli riconsegnato tale quale, salvo il normale deperimento d’uso. Il locatore
aggiunge inoltre che il contratto stipulato tra le parti parla di ”affitto di immobile arredato” e
non di “affitto aziendale” e che quindi tutte gli interventi atti allo svolgimento dell’attività
umana sulla terra, tra cui include il godimento estetico, sono a carico del conduttore che non
può certo in nessun modo auto risarcirsi sul canone mensile per le sue supposte spese di
miglioria o sul mancato avviamento delle attività sue proprie.
Vista in breve la situazione, Le chiedo gentile collega se, per un’eventuale richiesta di
risarcimento danni, posso avvalermi del concetto del vizio occulto nell’immobile o se il
suddetto non può configurarsi poiché è anch’esso subordinato all’attività specifica del
conduttore.
La ringrazio e nell'occasione Le porgo cordiali e distinti saluti.
L’ ITALIANA SCULTURA
Un sociologo dell’arte svizzero in questi mesi sta conseguendo notevole popolarità grazie ad
una singolare scoperta pertinente l’ italiana scultura.
Il sopraccennato uomo di scienza per decenni indagò una ad una tutte le elaborate
complicazioni volumetriche dei marmi italiani senza mai riuscire a trovare il nesso tra quelle
forme e l’indole fantasiosa del popolo italiano.
Venuto per caso in possesso di una dichiarazione fiscale italiana ed osservandone le
magnifiche complicanze, all’ elvetico sorse un allucinante dubbio: ”…e se tutta l’ incredibile
bellezza imprigionata nei marmi italiani…”, iniziò a chiedersi, “…fosse in realtà solo un grande
ammasso di carte? …un blocco di fogli che il tempo ha compattato, un enorme faldone di
pagine costipate quasi a fondersi facendosi massi?”.
Da qui riprese con nuove indagini e finalmente giunse alla sua geniale scoperta: l’artista, il
genio italiano è commercialista; non solo, ma fu proprio nei lunghi secoli del potere temporale,
del gran mecenatismo della Chiesa romana che la carta burocratica si trasformò in falda, grazie
all’arruolamento nel magistero fiscale dei migliori giovani talenti del paese.
Fino a questa recentissima scoperta si sapeva solo che lo stato era un genio totale della
creatività contributiva, inventore dei falsi in bilancio, raffinatissimo elusore, ideatore della
postergazione dei debiti, vero rivoluzionario nella storia della sistema tributario. La fiscalità
dello stato era talmente ardita, estrosa, che gli stessi italiani dell’epoca, essendo stati a tal
punto assoggettati -ma anche incantati- dalle invenzioni fiscali senza poterle contrastare che le
hanno feticisticamente trasformate, trasfigurate in opere d’arte per una sorta di riflesso
d'autodifesa.
L’italiano quindi, continua a spiegarci lo scienziato, è particolarmente dotato in questa capacità
immaginativa e quindi creativa perché nei secoli si è talmente abituato a contrastare
complicazioni ed elucubrazioni fiscali, da aver necessariamente acquisito una capacità estetica
di tipo trasfigurativo che poi ovviamente si riversa in ogni comportamento quotidiano: dalla
cucina alla moda, dal design all’architettura. Il popolo italiano ha la capacità innata di
differenziarsi da altri popoli, soprattutto di area anglosassone, che stretti da una sclerotica e
stagna cultura vedono l’arte in poche cose, chiamiamole “museabili”, così che in queste terre
non nascono come in Italia percentuali elevate d'artisti, pittori dell’evasione.
SAPIENTINO, DIALOGO TRA VISTA E SUO VICINO PALATO.
La Vista al Palato: “Vedo con invidia che ora il cervellino di Sapientino inizia a celebrarti: sei
sempre più famoso, tutti non fanno che parlare di te! Finalmente la tua bocca ha raggiunto il
mio occhio, così che le cantine sono musei e i risotti romanzi. Ti faccio ugualmente i miei
complimenti, e do il benvenuto ai fumi di cucina nell’alveo delle grandi arti.“
Palato: “Ma scherzi, spero! Tutta questa storia dell’arte culinaria se l’è inventata da capo a
fondo Sapientino. Fosse per me continuerei solo a nutrirmi. Tutti mi dicono che dovrei essere
contento di questa mia rivalutazione, ma ho paura che di questo passo, il cervellotico
Sapientino non si limiti a qualche monetina celebrativa, bensì si metta a fare con me ciò che ha
fatto a te con i quadri. Lo sapevi che, preso da tutto questo entusiasmo, incomincia già a
farneticare? Già parla d’imminenti rivoluzioni stilistiche nella culinaria, come la cucina del tatto
o per endovena.
Proprio non lo capisco: certe volte mi lusinga con continue attenzione, mazzi di formaggio,
anelli di marmellata, altre volte invece mi umilia sognando musei della lasagna o pensando alla
storia degli involtini primavera: tutte cose che io non posso godermi.
Forse per te sarà stato più facile ma io le cose che mi passa Sapientino me le devo ingoiare
tutte, mica scherzi: mi spieghi come farò a mandarmi giù una merda d’artista, o a digerirmi una
ruota di bicicletta? Meno male che semmai posso sempre vomitargli tutto addosso!”
Vista: “Fortunato te invece, che hai i limiti della commestibilità; a me Sapientino fa entrare di
tutto, non ha limiti...”
Palato: “Forse il tuo problema è che non hai nervo, non sai opporti. Già il tuo aspetto da
l’impressione di qualcosa di molliccio, di gelatinoso. In effetti con due petali e quattro peletti
ridicoli, è difficile difendersi da un tipo sveglio come Sapientino e lui ne ha approfittato.”
Vista: “Sai… io avevo calcolato di dovermi premunire dalla polvere, dall’ intensità della luce, o
dall’aria secca. Sinceramente non mi era passata per la testa la possibilità che un qualche
Sapientino di turno potesse generare certa arte; d’altronde anche i porcospini si sono trovati
spiazzati nel trovarsi davanti alle auto in corsa.”
Palato: “Gia!“
LA MORTE DELL’ARTE DEL DOLCE ALLA PERA
Mi fanno ridere quegli chef, puristi dell’ultima ora, che solo oggi mercoledì, dopo essersi
sbizzarriti in tutte le gelatine, le mousse alla pera, cercano di difendere le loro invenzioni,
ormai inutilmente, con il non concedere ad un burro zuccherato con il pseudo sapore alla pera,
la possibilità di esibirsi ai prossimi campionati mondiali del dolce alla pera. Dico loro: “chi di
spada ferisce di spada perisce”.
L’ arte per me è sempre e solo stata il dolce alla Pera intendendo per pera una Pera intera,
integra, non certo divisa come invece da quel novembre la maggioranza moderna convenne
d’accettare.
Io rimango con le mie eterne pere; tre ne ho nell’intimo del mio palato: le pere neoclassiche, la
pera San Sebastiano, ed il mitico dolce alla pera flambè San Lorenzo. Tutti capolavori dell’arte
culinaria che risiederanno per sempre nella forma classica del dolce alla pera. E’ già passato
aprile e ancora questi tre dolci si eseguono nelle cucine di mezzo mondo e la gente li apprezza
ancora. Sento di inchinarmi solo davanti al dolce San Agostino, ma non per una questione di
gusto, ma per rispetto al grande cuoco.
Capisco invece, a malincuore, certi giovani chef, privi di vera cultura del gusto –perché tutta
questa esperienza la si è voluta buttare a mare- capisco dicevo, che nel chiuso delle loro cucine
concepiscono astrusità infornando dei dolci d'argilla, assolutamente immangiabili, se non con
gl'occhi; chef che nella loro follia considerano questi mattoni la realizzazione dell'idea pura
della pera.
Era d'altronde immaginabile che dopo la rivoluzione culinaria dello scorso giovedì, da noi
eroicamente compiuta e vinta contro le solite patetiche crostate della nonna, si sarebbe
dovuto mettere un freno alle evoluzioni e far finire il gusto con il nostro unico vero dolce alla
pera integra.
COMPENDIO DI STORIA OFTALMICA
Schematizzando possiamo dire che oggi l’uomo vede grazie a due tipi si strumenti: strumenti
primari, e strumenti coadiuvanti.
Gli strumenti primari della vista sono le grandi famiglie dei colliri: colliri epistemologici, colliri
morali, o i recenti colliri a base sintetica come i colliri scientifici che contenendo un bassissimo
residuo fisso di dubbio, non rilasciano nel corpo umano scorie di incertezze. Grazie alla loro
sintesi l’uomo vede le cose finalmente fedelmente.
I secondi, detti strumenti coadiuvanti, non hanno capacità diretta di produrre vista come i
colliri semmai aiutano, sono d’ausilio a questi ultimi nel limitare le immagini esterne, quindi
impure, che talora ci insidiano. Coadiuvanti sono detti quindi tutti gli strumenti a membrana
filtrante come le spugne foto ricettive, le bacinelle imitàgine, e i nidi locani.
Piacere di completezza vuole che in questa sede si parli anche di tracce terminologiche ancora
presenti nella vulgata che riguarderebbero un terzo gruppo detto impropriamente
“strumento” visivo.
Si possono trovare questi strumenti sotto il vocabolo gergale di “occhio” o “occhi”, remota
parola indicante l’unico strumento nell’antichità, atto all’osservazione. La confusione
terminologica che definisce il suddetto occhio come strumento è in realtà giustificata dall’
ormai totale inutilizzo di tale coso.
Amplissima la letteratura riguardo il mal funzionamento di tale aggeggio, impreciso, variabile,
volubile, inaffidabile e spesso oggetto di contestazioni irrisolte ed irrisolvibili. Già tra gli antichi
nacquero le prime certezze riguardo l’ inaffidabilità del coso, e proprio in questo periodo
abbiamo i primi foglietti d’istruzioni che sconsigliano l’occhio per la comprensione degl’enti
certi.
Documenti dell’epoca o di poco posteriori, come multe, lettere d’amore, ci dicono delle
continue disquisizioni scatenatesi tra gli utenti dell’occhio a causa della scarsa affidabilità di
quest’ ultimo.
Ottimi documenti storiografici riguardanti la sfiducia nel mezzo e del suo uso ormai
accademico, le abbiamo nelle pitture del periodo contemporaneo o nelle infinite variazioni
basate sul prototipo principale per migliorarlo: l’occhio scientifico, l’occhio artistico, l’occhio
clinico etc…
Sfatata risulta invece la leggenda che voleva l’esistenza di un particolare occhio capace di
secernere un collirio sentimentale sedicente liquido lacrimale.
Ultime testimonianze dell’uso attivo dell’occhio le ritroviamo ormai solo tra la setta degli
ingenui, e dei provocatori pornografi.
IL MUSEO MAIALINO
Un esperto su come procurarsi denaro in borsa affari scrive: "Il trading intraday ha un fascino
insuperato per molti che operano sui mercati finanziari. Il desiderio di quasi tutti sarebbe
infatti quello di aprire una posizione in giornata, constatare che effettivamente il mercato ci dà
ragione, quindi chiudere subito dopo la posizione -sempre in giornata- e portare a casa un
guadagno."
Queste invece le parole del direttore del museo attualmente più grande al mondo:
"Il mio lavoro consiste nel far si che l'80% delle persone che entrano nel museo, ne escano in
giornata con almeno un pensiero nuovo".
I maschi sembrano essere in preda a un delirio che li fa vaneggiare d’essere mamma, coniare
spirito, battezzare valore.
Uno tra i più grandi banchieri della storia fu contemporaneamente il primo creatore del
museo, il suo.
Stiamo prendendo consapevolezza della vanità di tutte le cose e quindi ci raggiunge l’effetto
alcolico di poter colmare con magie questo vuoto?
A me un sospetto: in quell’ importante museo ci sono entrato almeno sessanta volte…dove
sono i miei sessanta pensieri?…se li sono già fregati in tasse, o sono a fare un giro da qualche
parte, magari con degli sconosciuti?
Ieri mattina sono andato allo sportello della mia banca e con la commessa abbiamo controllato
il mio conto.
Sorpresa, c'erano in più duecentoquindici euro.
Chiedo allora subito giustificazione dell'accaduto e mi si dice, con tanta tranquillità, che i miei
soldi, avevano fruttato, prodotto utili. Non sono così stupido da non riuscire a tradurre termini
tecnico bancari in senso comune: i miei soldi erano proliferati… ma allora un rapporto, una
relazione ci sarà pur stata, che nascita senza copula non si è mai vista sulla terra.
Chiesi se sapevano dirmi dove il mio denaro era stato messo, in quale cassa rurale, magari una
cascina, per essere arrivato a riprodursi, e mi spiegano che i soldi circolano e si sa …circolando
con altri soldi…. generano nuova ricchezza.
La cassiera mi spiegò: “non si preoccupi Señor …i suoi soldi sono fruttati…deve esserne solo
che contento!”
Che belli i tempi in cui impiegavo mesi per partorire un pensiero inutile e già detto o in cui da
piccolo tagliavo l'erba al vicino e sudate le mie monetine correvo subito a ficcarle dentro alla
fessura del mio maialino di terracott…odddio!… ora, m' investe l’atroce sospetto su cosa
facevo anch’io ingenuamente, inconsapevolmente a quel salvadanaio!
626/94
Il presente decreto legislativo prescrive misure per la tutela dell'intelletto e per la sicurezza
degli individui nelle esperienze estetiche in tutti i settori di attività culturali sia pubbliche che
private.
Art.1) La presenza di quadri o più genericamente di opere d’arte negli ambienti, come
appartamenti, bar, ristoranti, uffici, centri commerciali, ecc…, deve essere compatibile con il
fabbisogno culturale dei soggetti che vi soggiornano.
A tal fine occorre che siano assicurati: il ricambio delle opere e/o la protezione degli individui.
Art.2) Il ricambio: può essere effettuato mediante gli appositi dispositivi di innovazione
culturale installati unicamente da ditte culturali (gallerie, associazioni, club, assessorati,
accademie, etc...) inscritte all'albo, e certificanti il contenuto salubre delle opere.
Art.3) La protezione: quando negli ambienti la presenza di opere è superiore ai valori limite
dell’intelletto i dispositivi di protezione vanno calcolati analizzando lo stato delle opere.
Le opere d’arte si possono propagare nocivamente agli individui in tre stadi fisici: solido,
liquido, gassoso.
1-Arte in polveri/fibre: particelle generate da frantumazione di opere solide: sculture,
architetture, quadri, o libri intesi però come oggetto fatto di carta ottenuta per
spezzettamento di alberi.
Dispositivi di protezione: serie di mascherine con filtri/vagli critici, allestimenti museali,
percorsi orientativi, indolenza.
2-Arti in nebbie o vapori: minuscole goccioline liquide in sospensione nell’aria come aliti di arti
oratorie, starnuti di dialoghi, sudori di discussioni, profumi d’alta cucina.
Dispositivi di protezione: serie di tappi auditivi ed olfattivi, numeri a sedere, arti nobili,
pregiudizi.
3-Arti in gas: sostanze in fase gassosa: presenza di solventi di poesia, dubbi allo stadio
persistente, perplessità con concentrazioni maggiori al 17%.
Dispositivi di protezione: set di erudizioni estetiche, riconoscibilità sociale, accidia, obblighi
coniugali, professionali, fiscali, ricchezza.
Il presente decreto, munito del sigillo del buon gusto, sarà inserito nella raccolta ufficiale degli
atti normativi della cultura. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
AESTHETICS TRAINING
L'allenamento di cui parliamo oggi è l'Aesthetics Training, indicato a tutte le età sia per la
prevenzione del tipico sentimento di incomprensione al cospetto di certe immagini, o di quel
ingenuità che vi fa apprezzare cose "un tantino così".
Partiamo ottimisti con il convincerci che l’ignoranza sull’arte non è e non deve essere un
disturbo irreversibile, e che con un buon A.T. tutti possiamo vedere quello che altri vedono con
naturalezza e senza sforzo.
Disporre di buona cultura artistica vi tornerà utile alla vostra personalità ma anche per altre
svariate professioni: nel campo dell’architettura, dell’arredamento, come pure per preparare,
ad esempio, una bella tavola o saper servire un piatto che non sia solo buono. La cultura
estetica è un obiettivo raggiungibile al pari di un'ottima forma fisica, è una questione anche in
questo caso di ginnastica. Mettetevi in testa che con un adeguato allenamento potrete
raggiungere efficacemente il vostro scopo.
Come per ogni tipo di ginnastica, anche quella culturale artistica deve essere eseguita
correttamente e con regolarità, se si vogliono ottenere benefici apprezzabili. Il consiglio è
quindi di svolgere le prime sedute presso un’università rinomata, o un corso specializzato
meglio se presso un’art school.
Quanto dedicare alla cultura estetica? Anche quindici/venti minuti al giorno.
Tempo e luogo sono in questo caso due costanti facili da trovare, anche per la persona super
impegnata: al mattino appena alzati facendo colazione con oggetti di design, una tazza
particolare da cafè o da tè, o durante una pausa in ufficio ammirando un bel quadro o in
qualsiasi altro momento della giornata in cui potete concedervi una breve contemplazione
sospirando.
Oppure potete diventare dei veri specialisti nel A.T. dedicando gran parte del vostro tempo nel
promuovere la ricerca nel campo delle problematiche estetiche per estenderne l’interesse per
una loro migliore conoscenza, o nel valorizzare e tutelare la professionalità degli estetologi in
tutti gli ambiti in cui si eserciti la loro attività facendo anche da stimolo per l’incontro e la
collaborazione dei cultori d’estetica.
COIFFEUR CON TURBANTE
Le opere, per quanto non lo creda questa epoca con smanie d’autocritica, spesso
compiono il loro lavoro antibiotico al buio, dalle ossa, e perché passassero a questa funzione
endogena è bastato sovra esporle.
Così càpita alla porta nord del battistero di Firenze che lasciata dal sovrintendente, al traffico
del turismo sembra conformata ai suoi destini d’ oscenità e massima riservatezza.
I fiorentini, gli italiani, gli europei hanno in tavola non una comune saliera, ma un cesello in
bronzo che con solenne indifferenza viene usato ciecamente dalla quotidianità.
Poi il lavoro di un editore che pubblica le riproduzioni fotografiche di questo portale, mi dà
modo di usare quest’ opera nel chiuso della mia stanza e vedere l’ impresa dell’ autore, forse
scultore, forse orafo, a seconda.
Fedele al mio tempo, solo le fotografie mi hanno disegnato la forma di quell’ opera d’arte
come completamente vista. La mia consapevolezza estetica non riesce ad obliare che si mostra
a me come evidente la copia della copia della copia; il metodo a cui siamo fedeli è l’unico a
donarci vergini immagini.
Nonostante quindi l'acclarata menzogna delle fotografie, queste mi portano sulla scrivania la
verità: l’autore della porta nord del battistero di Firenze non era uno scultore, bensì un coiffeur
frustrato.
Vi dimostro che la scultura fu per lui una sorta di obbligo storico, un destino mai accettato, e
che la sua vera indole era fare il parrucchiere. Il successo artistico gli negò l’uso del pettine, ma
quel genio in parte si vendicò privatamente nel suo studio con il bulino.
Nelle venti formelle della storia del Cristo presenti nella porta bronzea vi sono circa
centottanta teste. Avete mai notato che tutte hanno i riccioli?!
Non c’è soldato, pastore, pescatore, mercante, popolano, sapiente, flagellante, traditore, che
non sia riccioluto. La ricchezza di spirito dovrebbe far pensare ad un Dio disceso in terra dal
portamento leggiadro e dai lineamenti puliti e fini, ma qui anche il diavolo è boccolone e
perfino il bue! Da questa mia geniale intuizione si può finalmente svelare il mistero del
famoso autoritratto con turbante che l’autore si è fatto: sotto il drappo si nasconde una
magnifica, straordinaria, finalmente per noi moderni, rivoluzionaria parrucca.
OPERE MORALI
Mio nonno -che fece la prima guerra mondiale a cavallo e con la sciabola- mi raccontava il suo
stupore nel vedere passare la prima motocicletta.
Io invece delle novità tecnologiche non mi stupisco più. Gli aerei, ma lo stesso viaggiare in
chissà quali galassie, non mi dà più meraviglia. Se domani mi dicono che al posto del cuore mi
mettono un calzino, certo proverei interesse, ma non vero stupore.
I cambiamenti tecnici c’hanno già attraversato, ora spetta a quelli etici, morali.
Quando a Valencia nel mio palazzo si sparse la voce che la vicina, la nera di Amsterdam, si era
innamorata veramente del suo botolo Brando, quello si che mi fece scalpore.
La differenza tra immaginarsi un calzino pulsante al posto del cuore o Brando, teoricamente
non c’è. Anche per me che sono affascinato indistintamente dalle cose, dovrebbe fare lo stesso
pensare al movimento del calzino e a quello di Brando. Non che queste cose non accadessero
nel passato ma la differenza tra la generazione di mio nonno e la mia è che a lui la tipetta non
avrebbe generato sentimenti estetici, non possedendo un porto grammaticale per ricevere
quel tipo di immaginazioni. Per me invece quella ragazza era una nave carica di immagini con
cui potevo andare in spiaggia e portarmela dietro la motoretta come un ossimoro morale fino
al Polideportivo de el Cabañal e giocare a squash, con le sue belle tette d’appoggio.
Cosa comporterà che il mistero si generi dentro i limiti dell’uomo e non più nelle sue
macchine?
La tecnica ha avuto voglia di essere rappresentata così com’era, senza limiti, e come tutte le
fedi che esagerano nella loro coerenza interna, ha smesso di conciliare, dimenticandosi che da
soli non si va da nessuna parte. Così ora ci fanno trasognare di più le assurdità del regno degli
umani, dei generosi, dei buoni deviati, che i giochi scientifici di carta stagnola.
QUANDO LA BARCA AFFONDA I SORCI SCAPPANO
Più si stampa più ci si salva, così con nuove letture mi è apparsa anche la soluzione alle
continue umiliazioni intellettuali che ricevo e che mi procuro perseverando a giocare agli
scacchi.
Ammetto di aver usato gli scacchi non come gioco ma per accreditarmi un’ intelligenza che da
quello scenario a quadretti -apparentemente solo ludico- sarebbe dovuta, nelle mie illusioni,
passare a cartografie più ampie.
Ma a leggere alcune nuove estetiche sembrerebbe che io non perdo ma semplicemente seguo
di più la regola ottica degli scacchi piuttosto che quella logica. In un mondo, quello tecnico
scientifico, io sarei la rivalsa del visibile sull’egemonia dell’aspetto concettuale.
In effetti era già da un pò di tempo che stavo giocando a macchia di leopardo per vedere i miei
bei soldatini in maggioranza anche se già arsi logicamente in vicoli ciechi di scacchi matti.
Ma questa mia regola oculocentristica mi sa che non ha bisogno d’essere difesa da nessuno
strapotere del concetto.
Mi spiego con un esempio recente: ieri giocando a scacchi con un ingegnere tedesco, ero
sconquassato, aperto da ogni fianco, e mi facevo io stesso pena al vedermi come sparing
partner senza protezioni, alla bava .
Già alla prima ripresa al biondo teutonico mancava solo un alfiere che con somma stupidità gli
avevo mangiato invaselinandomi l'arcata intima posteriore e facendomi così sfottere di botto
regina con inserimento di scacco, uscito per miracolo dal quale un montante mi abbatteva
torre e pedone-protezione-Re; insomma uno spettacolo di sangue, il mio, ovunque e da
ovunque.
Ma la via di salvezza a questo patibolo mi venne mentre alla seconda ripresa cercavo a tastoni,
semi cieco dalle botte la dentiera persa al suolo; l’unno mi sodomizzava schiacciato all’angolo
anche l’ultima torre, e lì allora mi chiesi se non era il caso semplicemente di gettare la spugna,
di scappare, di emigrare.
Con tutti i giochi che ci sono da scegliere, un sempliciotto come me doveva proprio cacciarsi
negli scacchi o nell’arte? In queste scatolette, scacchiere, a righe o a quadretti, fatte ad hoc per
le diverse ideologie?
Proprio il tanto vituperato intelletto ha aperto così tanti spazi nell’universo, che ormai si perde
solo per una nostra fissazione da miopi nell’insistere al solito gioco. Chi ci obbliga a farci ciechi
dai pugni salendo nel ring dove dominano i pesi massimi?
I GENI
Se mi immagino oggi un genio non me lo vedo ostinato a battere sudato e impolverato una
materia ad infondergli spirito, ossia non vedo realistica tutta la brama della genialità, la sua
volontà idealistica starsene rinchiusa in un laboratorio, mentre fuori tutto il modo si inonda di
vita, di movimento.
Sinceramente però non me lo vedo neppure capitano d’impresa o giramondo industriale. Non
mi sembra che un talento prenda coda nella bolgia burocratica, nelle mediazioni dei cartelli o
nelle anonime sostituzioni azionarie che sono diventate le imprese; scienziato nemmeno,
troppe scienze, politico manco, troppa democrazia, e mistico o santo men che meno,
mancando la materia prima.
Ma se seguiamo gli indizi della mimica sentimentale allora noteremo che lo spirito continua
ancora a scrivere la parola genio nel corpo di qualcuno che vive. La fibrillazione, la meraviglia,
l’invidia sana, l’entusiasmo e tutte le verità facciali tipiche del genio al lavoro; il taglio dei suoi
occhi interessati ad un unico fine, il suo sorriso lungo e stretto avido di gloria sociale e
partecipativa, il suo delirio paranoide, tutto ciò esiste ancora, ma non si sa perché, lo si trova
solo nei creduloni.
Le opere che generano questi geni devono ancora incontrare la consacrazione degli storici che
per tic professionale si muovono solo tra i funerali non credendo più che qualcuno possa
ancora credere.
Gli stupidi ingenui, baccalà, non sono facilmente riconoscibili perché la genialità condivisa
socialmente scende su di loro non tanto per virtù del singolo bensì per legge probabilistica.
Avviene pressappoco così: vivono questi credenti rinchiusi nei loro sragionati sgabuzzini,
aspettano che il democratico caso ne elegga qualcuno tra loro non sapendo che tolti
dall’incubatrice del coccolo anonimato, rovineranno definitivamente la loro creatività
esponendola all’aria.
Mi è capitato, sempre per il solito caso, di incontrarne uno di questi geni proprio mentre mi
facevo la barba e al perfetto unisono decretammo categoricamente di non render pubbliche,
di tenere per noi le sue nuove leggi fisiche: troppo rivoluzionarie, sconvolgenti per uscire tra il
popolino.
LA MONGOLFIERA SPIRITUALE
In un giudizio universale a Padova un pittore affresca il committente, un usuraio inginocchiato
per donare una chiesetta alla Madonna e lo dipinge con due occhi teneri da beota e la bocca
semi aperta quasi fosse in trance: la sanguisuga come un povero cane bastonato. Anni prima
quel pittore era stato arruolato, assunto in qualità di mercenario guastatore dentro ad un’altra
chiesa, basilica, una portaerei romana approdata sopra il silenzio del colli umbri.
Gli affreschi qui servivano per riconvertire semanticamente il senso del pericoloso messaggio
francescano: la predica di San Francesco agli uccelli.
Il senso originale della predica di Francesco era rivolto non agli animali ma ai mendicanti, detti
nel medioevo uccellini perché sempre affamati; gli uccellini dell’affresco dovevano solo servire
da rimando, come simbolo della povertà, ma il pittore li ha dipinti in modo talmente naturale
da farli scordare come metafora umana sminando così il problema di un francescanesimo che
si rivolgesse direttamente ai poveri senza il tramite di madre chiesa. Da simbolo a segno che
nella natura trova il suo nuovo ed innocuo significato.
I committenti chiamavano gli artisti per risolvere problemi: la chiesa contiene le rivoluzioni
spirituali e gli usurai riconvertono l’attività del padre.
Cosa vi aspettavate dalla critica? i sotterfugi, gli intrighi, le intercettazioni?
L’altimetro segna alta quota, inizia ad esserci una mancanza di ossigeno che sta rendendo
ancora più allucinatorie le visioni del potere, si inizia a perdere il senso comune.
Questa creatività dello spirito esente da illusa stupidità dell’occhio sarà pagata con la sua
esclusione dalla terra, dai suoi limiti. Lo spirito abusa, dilata l’opera per alimentare la varietà
della sua visione; e dalla sua fa bene perché la proliferazione creativa necessita di un nucleo
che diventa anche luogo dominato, da difendere dagli altri campi di lotte senza fine. La
situazione in cui siamo è affascinante, ma non dimentichiamoci che stiamo sprofondando in
alta quota e se non vogliamo che il motore dell’ascesa si arresti dobbiamo assolutamente
cambiare ambiente, sniffare spasmodicamente nuova aria sempre più sopraffina, perché
questa è la regola della critica.
Guai se non sentiamo più nessuna vertigine…anzi da questo discorso appaiono invitanti le
storie degli imperi, della arte geopolitica.
Se l’ ideale che stiamo respirando pervaderà analgesicamente lo spirito, l’equilibrio porterà
l’aerostato a fissarsi, così finirebbero i viaggi della critica dando inizio a quelli dell’occhio.
LA PASTA
Non c’è dubbio alcuno che il paese al mondo più estetico sia l’Italia, perché nessun paese come
l’Italia avverte cose belle.
Forse l’unica rivale che può impensierire il primato italiano è l’India, ma personalmente credo
che nel caso indiano la presenza di una catena montuosa assolutamente unica, abbinata ai
tifoni, e all’effetto prolungato nei millenni del curry, abbia determinato una tracimazione della
religione nell’ estetica così che pensiamo che quel popolo ammiri un bello mentre realmente
adora un dio.
In Italia invece la consapevolezza del bello è pura e siamo certi che l’italiano riconosce il bello.
Ma iniziamo ad osservare dove questo talento di riconoscimento si esplica.
In Italia esiste, a lato di quella ufficiale, una museologia umanistica e non scientifica, musei
apparentemente nascosti che amano quest’ umanità, trascendendola.
Gli italiani, sapendoli individuare, vanno talmente fieri dei loro artisti che giustamente li
pagano e li proteggono con quelle che vengono chiamate amicizie o esìli ma che appunto sono
i nuovi musei. Si fa attenzione che il talento dell’opera nepotistica vada trattato secondo sua
intelligenza e forma, e quindi con buona ed adeguata ricompensa alle fatiche d’essere vili per
una vita; ma dall’altra parte si lascia anche che l’indole virtuosa si rafforzi nell’esercizio dell’
anonimato o del fallimento così che la sua idealità, spingendosi sempre più addentro a se
medesima, sappia morire o rifulgere di solo suo stesso splendore.
Baronati, segnalazioni, lodi, simpatie: secondo il freddo modo di valutare gli umani in relazione
alle capacità, il metodo italiano viene considerato non meritocratico, quasi a volergli dare
un’accezione negativa. Ma l’umanesimo italiano si basa su qualcosa di più grande della scienza
moderna, si fonda sull’estetica, sul canto delle vicende che narrano di uomini che lottano o si
alleano con altri consimili, nella stregua della commedia pubblica o intima tragedia.
I popoli non si distinguono solo per il livello di modernizzazione ottenuto, ma anche secondo
un senso estetico proprio che porta con se alcuni piccoli danni ritenuti evidentemente
collaterali.
IL CONFUSO CASO DELL’ IMBIANCHINO
Credo che sia giunto il momento di porre le giuste parole sul caso dell’ imbianchino, togliendo
finalmente questo problema ai critici dell’arte che fino ad ora non hanno saputo o non hanno
potuto, risolverlo ed affidarlo definitivamente al bel castello del marcondiro diron dello.
Fino ad oggi infatti l’imbiancatore, essendo comunque pittore, è stato trattato come un caso
artistico da escludere…anzi no! da includere, a seconda di come ci gira.
Intiepidiamo i termini, poi una volta belli lessi, prendiamo quel che resta dell’imbianchino e lo
lasciamo a bagno maria; intanto frulliamo l’era dell’agricoltura, e mettiamo nel forno l’era del
nomadismo. In questa visone più ampia dell'arte che prende le ere e non solo i secoli o i
millenni, l’imbianchino è quel genere di ingrediente utile in quanto insipido ed inconsapevole,
stupido come un qualsiasi animale, che lascia le sue impronte nei cantieri indifferente se
diventeranno fossili e quindi studiate, vagliate, o se verranno a perdersi nel consumo
immediato del fango.
Questo imbianchino quindi dipinge e imbianca indifferentemente. Anche se volessimo
nobilitarlo, cosa volete che gliene freghi di una riabilitazione in qualche libro di cucina che uno
come lui mai leggerà. Ex pugile argentino di Mendosa, assassino per orgoglio, poi pappone ad
Amburgo ed infine mio capo imbianchino a Valencia, dove prendere il furgone ogni mattina
con il buio e ascoltare teorie e storie di puttane e pugni è uno spasso.
Severino, agg. dim.: saggio, serio, solido.
Mi chiedo se il sommo Filosofo quando parla spesso di eternità di ogni evento lo fa a replica, o
perché vuole che non ci siano, su cose tanto importanti, equivoci, bivi, tiri.
Me lo chiedo perché il pensiero della verità incontrovertibile che lui ci annuncia, oltre a
dimostrare cose vere senza dubbio ed incontrovertibili, ed etc, etc… è un pensiero che può far
ridere quelli che non lo intendono veramente: cosa che se avvenisse non offenderebbe
minimamente, a quanto sembra, il Filosofo che giudicherebbe la burla al suo pensiero come
una delle tante sfaccettature della follia che nega il pensiero che prende il suo nome.
Ad esempio un comico sia pur abile volendo beffeggiare l’eternità perfetta di tutte le cose -che
altro c’è!- dovrebbe riuscire a farla scivolare su di una qualche buccia di banana, prenderla per
il bavero, cosa appunto impossibile visto il suo ferreo aplomb epistemologico. A voler far
attecchire l’ironia sul pensiero perfetto si lascia che la burla inevitabilmente aggredisca il
nostro tentativo, lo manifesti come inutile, goffo.
Mi si potrebbe obbiettare che non c’è bisogno che tutto sia fatto per essere deriso; ma su
tutto, eccetto che sulle vittime, almeno deve essere possibile che l’ironia si posi, un caso che
nel pensiero della verità necessaria espressa dal Filosofo è appunto impossibile data la sua
assoluta impermeabilità.
Insomma, per quanto ci sforziamo di trovarci la battuta, l’equivoco, la demenzialità, sembra
che con le cose verissime ci stiamo un po’ tutti auto prendendo per il culo, si perché, a giocarci
sopra a quella logica sferica e perfetta siamo noi a perdere l’equilibrio ed ad essere di scherno
a noi stessi.
Ma il fatto che cercando di ridere di lui ridiamo di noi stessi, non è questo, da par nostra, un
aspetto buffo proprio del pensiero del Filosofo sommo?
Forse il destino necessita che non potendo ridere di lui noi uomini possiamo continuare a
ridere di noi stessi; ma per esaudire quest’ obbligo dobbiamo non solo vedere ma anche di
scivolare veramente.
L’ironia ha senso estetico ed ha bisogno di tonfi fragorosi, completi. Nulla, niente deve
rimanere aggrappato; il capitombolo, la caduta deve essere grassa, totale, anche
grammaticalmente.